Anche la scelta della parte
del corpo da tatuare
nasconde significati
interessanti dal punto di vista
psicologico: se si vuole mostrarlo
in pubblico, o riservarlo all’intimità
Le origini del tatuaggio sono antichissime tanto che anche la “mummia di Similaun”, trovata tra i ghiacci delle Alpi nei primi anni ’90 e datata 5300 anni fa, ne riportava uno sulla schiena. Il termine deriva da “ta-tau”, che in polinesiano significa “segno sulla pelle”, ed è stato introdotto in Europa nel Settecento dall'esploratore inglese James Cook di ritorno da uno dei suoi leggendari viaggi nei Mari del Sud. Nelle popolazioni primitive, tatuarsi non ha nulla di trasgressivo, ma è anzi un segno di integrazione sociale. I maori della Nuova Zelanda usavano tatuarsi il viso in segno di distinzione di rango. Il disegno, chiamato “moko”, rendeva l'individuo unico e inconfondibile, come le impronte digitali. Sono davvero lontani i tempi in cui a tatuarsi erano quasi esclusivamente i malavitosi, i carcerati, le prostitute e i militari.
Oggi il tatuaggio è diventato un fenomeno di massa, senza perdere del tutto il sapore di piccola ed eccitante trasgressione. Gli studiosi del comportamento si sono chiesti perché in una società così mobile come la nostra, dove si cambia casa, lavoro e partner con estrema facilità, sentiamo il bisogno di lasciarci segni indelebili sulla pelle. La risposta che viene offerta dagli studiosi spiega come il tatuaggio oggi assolve le stesse funzioni che aveva nelle società tradizionali, anche se reinterpretate secondo i nostri codici culturali: viene usato per abbellirsi, comunicare, appartenere a un gruppo ed esorcizzare le paure.
Il mondo dei tatuaggi ha radici profonde nella storia dell’umanità e la sua moda, che ha conquistato in Italia non solo i giovanissimi, ma anche insospettabili over trenta e quaranta, fa interrogare sul perché di una scelta tanto particolare e definitiva che coinvolge l'immagine che di noi diamo agli altri. Ciò che oggi colpisce riguardo a quest’arte di decorare il proprio corpo in modo permanente è il suo essere diventato un fenomeno di costume che è uscito dagli ambiti ristretti di una specifica cultura underground per coinvolgere tutti i ceti sociali e tutte le età.
Le motivazioni per una scelta del genere sono in realtà diverse e non è escluso che molte di queste siano di natura strettamente personale. Non è detto però che non si possano riscontrare dei tratti comuni spiegabili con l’aiuto della psicologia.
La molla più potente e profonda che spinge a desiderare un tatuaggio è probabilmente quella di volersi distinguere da tutti gli altri, il bisogno di riaffermare a livello visivo la propria diversità, il proprio essere unici rispetto alla massa. In effetti non bisogna dimenticare che nelle società primitive il tatuaggio aveva la funzione di distinguere i vari gruppi sociali, oltre che quella di essere terapeutico e curativo.
Diventando parte integrante della propria identità personale, il tatuaggio “porta fuori” qualcosa di noi che in genere viene tenuto nascosto o non espresso. In questo senso, può rappresentare un modo per dichiarare la propria posizione rispetto al mondo, esteriorizzare quindi il proprio modo di essere davanti agli altri. In una società in cui le differenze sociali sono diventate meno palpabili, il tatuaggio aiuta sì a riconoscersi come parte di un gruppo o movimento, ma ha forse conservato un significato ancora più potente nel suo essere capace di esprimere sul corpo la propria interiorità.
Una prova di questo appare evidente se consideriamo come le motivazioni possano cambiare con l’età. Gli over 40 che ricorrono al tatuaggio, infatti, lo fanno per motivi completamente diversi rispetto a quelle dei giovanissimi. Per gli adolescenti, il tatuaggio può essere un modo per affermare una personalità ancora in via di costruzione, per un adulto che invece possiede una personalità ben strutturata la scelta risponde al desiderio di fermare il tempo ad un momento della vita in cui è ancora possibile trasgredire.
Se la tecnica del tatuaggio è rimasta immutata da millenni, le motivazioni sono invece cambiate. I ragazzi oggi si tatuano per anticonformismo, rifiuto dell'omologazione, ribellione. Ma il tatuaggio è nato come rispetto della tradizione e segno di appartenenza a un gruppo. Omologazione, quindi. I polinesiani, per esempio, raccontavano con tatuaggi simbolici la loro storia personale (ingresso nell'età adulta, matrimonio, status sociale, tribù...) e si marchiavano il corpo per essere degni di rispetto e più vicini alla divinità. E quando il tatuaggio è stato avvolto da un'aura sulfurea, segnale di immoralità e antisocialità, per certe comunità maschili rappresentava il simbolo di appartenenza, di legame: basti pensare all'Esercito o alla Marina, dove era disapprovato ufficialmente ma, di fatto, non impedito.
È curioso anche il fatto che una volta chi si tatuava dimostrava grande sicurezza in se stesso e disinteresse per il giudizio altrui. I ragazzi di oggi invece spesso scelgono il tatuaggio per esorcizzare la paura, l'insicurezza e la solitudine. Non a caso, in una società dove la famiglia e le comunità tradizionali sono in crisi, i segni tribali sono tra i preferiti.
Anche la scelta della parte del corpo da tatuare nasconde significati interessanti dal punto di vista psicologico. Un tatuaggio studiato per essere collocato in una zona del corpo molto visibile, e quindi costantemente sotto gli occhi di tutti, da al disegno una sorta di dimensione pubblica, tutto il contrario per quello disegnato nelle zone nascoste del corpo, da mostrare solo nei momenti di intimità.
In effetti, tutto questo mette in evidenza il grande valore comunicativo del tatuaggio ed è innegabile che esso susciti in chi lo guarda la curiosità di saperne di più sulla storia personale, sui gusti e sul modo di pensare della persona che lo esibisce. Non si spiegherebbe altrimenti il motivo per il quale i suoi cultori più accaniti vengano costantemente bersagliati di domande sulla loro vita privata nel corso delle manifestazioni del settore.
Dietro i disegni indelebili di questa tecnica si cela insomma il bisogno di uscire fuori dall’omologazione della propria immagine, così come viene dettata da moda e mass media. Per motivi diversi, certo, ma per un unico grande desiderio: poter dire agli altri ciò che si è, senza bisogno di parole e solo grazie alla portata universale del linguaggio delle immagini.
Il tatuaggio, dunque, è un messaggio che porta l'individuo in comunicazione con se stesso e con gli altri, racconta qualcosa della sua vita, delle sue scelte e dei suoi sentimenti. Recentemente è nata anche la “psicologia del tatuaggio” davanti alla sempre maggiore diffusione del fenomeno. La neo disciplina studia il carattere delle persone in base ai segni impressi in modo indelebile sulla loro pelle. Quando si tratta del nostro corpo, il significato dei simboli non può essere interpretato con la semplice intuizione, ma va cercato nell'inconscio. La scelta del disegno e della zona da tatuare non è mai neutra, ma rimanda al mondo dei simboli e fa emergere quello che è nascosto all'interno dell'individuo, il suo vero carattere.
Secondo la psicologia del tatuaggio, ad esempio, tatuarsi sulla parte sinistra del corpo, che per la psicoanalisi rappresenta il passato, è tipico delle persone pessimiste, con poca fiducia in se stesse. La destra, invece, legata al futuro, sempre secondo questi psicologi, denota un carattere solare, aperto ai cambiamenti, ma ben ancorato alla realtà.
Tatuarsi il tronco denota concretezza e capacità decisionali. Se la scelta cade sulle braccia, significa che l'individuo sta attraversando una fase di lenta maturazione. Mentre le persone infantili e poco riflessive preferiranno le gambe. Se il tatuaggio si trova in una parte anatomica normalmente nascosta come l'ombelico, l'interno cosce, la persona è timida e insicura, con forte senso di inferiorità. La caviglia è la zona preferita dalle donne sospettose e gelose, ma anche molto femminili e dagli uomini competitivi e battaglieri. Tatuarsi le zone genitali, infine, assume significati opposti per uomini e donne. Combattive, autonome e sensuali queste ultime. Maldestri e passivi i primi.
La zona da tatuare varia anche a seconda del sesso: gli uomini preferiscono la schiena, la spalla e il braccio destri. Le donne, la caviglia e il polso, adatti ai disegni più piccoli come fiori, rondini o delfini, che sono i prediletti dal sesso femminile. Il soggetto più tatuato in assoluto è il drago. Punto di incontro tra cultura orientale e occidentale, secondo gli psicologi il drago è la metafora della forza originaria e generatrice, testimonia il desiderio di affermazione di chi lo porta. Esiste anche nella sua versione “minimalista”, la lucertola, che rimanda a un'immagine di sé più contenuta e controllata. Sempre in tema di rettili, anche il serpente è molto utilizzato e rappresenterebbe un simbolo fallico.
Non mancano i cultori dei motivi astratti, primi tra tutti i “tribal”: grandi macchie nere, con il tratto spesso e le curve flessuose che ricordano i “moko” maori. È il tipo prediletto dai punk e, in generale, da chi rifiuta la massificazione e sente il bisogno di differenziarsi lasciando segni indelebili e così evidenti sulla propria pelle.
Gli ideogrammi giapponesi rivelano un animo raffinato, gusto estetico e fedeltà in amore.
Eroi guerrieri, vichinghi e motivi celtici costituiscono un'altra categoria molto precisa e sottintendono valori aggressivi. Non a caso sono i simboli scelti dagli skinhead, rimandano a una ipotetica comune matrice etnica e culturale, alla quale i gruppi di estrema destra sostengono di ispirarsi. Opposta e complementare a questa posizione c'è la passione per gli Indiani d'America, popolo identificato con l'oppressione e la privazione della libertà. Secondo gli psicologi del tatuaggio, quindi, la testa di un pellerossa comparirà più facilmente sul braccio di una persona impegnata a favore delle minoranze e molto curiosa nei confronti di altre lingue, storie e religioni.
Le ragioni di un tale successo vanno cercate anche nell’influenza di divi del cinema e delle rockstar nel mostrare i loro tatuaggi al pubblico.
Farsi un tatuaggio comporta tuttavia anche un po' di sofferenza fisica: perciò, seppure marginalmente, conserva per il dolore che infligge anche le caratteristiche di un rituale, di una prova di coraggio. C'è chi si tatua un portafortuna, chi vuole festeggiare così un avvenimento o segnalare un cambiamento: molti ragazzi, per il diciottesimo compleanno, chiedono a mamma e papà il permesso (e i soldi) per un tatuaggio.
C'è chi vuole giurare eterna fedeltà al proprio compagno e chi, viceversa, lo fa per riprendersi dopo un dolore, come la fine di un amore. In fondo, ogni esperienza di vita è indelebile come un tatuaggio. Perciò c'è chi si presenta dal tatuatore con le idee ben chiare, dopo essersi documentato sui significati simbolici. Moltissimi, però, non hanno tali preoccupazioni: il ragazzo alla moda vuole solo un disegno "trendy", per apparire più sexy o più aggressivo. Ed anche in questo caso il tatuaggio è un mezzo per comunicare qualcosa di sè. L'ultimo uso alternativo del tatuaggio se lo sono inventato l’estate scorsa sulla riviera romagnola: stampigliano sul braccino dei bambini il nome dello stabilimento balneare e il numero di telefono al quale rivolgersi in caso di smarrimento.
(cannavicci@iol.it)
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