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Ottobre-Novembre/2008 - Articoli e Inchieste
Evoluzione e progresso
Intelligenza e stupidità dell’uomo moderno
di Marco Cannavicci - Psichiatra

La forza della tecnologia è sproporzionata rispetto alle sue fragilità nervose e fisiche

Fino a qualche anno
fa il termine disadattamento era un sinonimo
di esclusione, incapacità,
difficoltà di sopravvivenza. In realtà si tratta
di un fenomeno complesso
comune agli esseri viventi, legato agli stimoli
del mondo esterno


Da sempre l’uomo ha usato la sua intelligenza per cercare di adattarsi nel migliore dei modi all’ambiente, alla natura ed alla realtà che lo circondava. Questo gli ha permesso di sopravvivere e riprodursi. Le teorie evoluzionistiche hanno concordemente affermato che la sopravvivenza di una specie animale non era legata alla forza posseduta dall’animale, bensì alla sua intelligenza nell’adattarsi all’ambiente, al suo clima, ai suoi ritmi stagionali e giornalieri, alle fonti di cibo ed ai rischi presenti. La sopravvivenza è sempre stata appannaggio non dell’animale più forte, come è accaduto per i dinosauri, forti ma stupidi, bensì degli animali più “plastici”, adattabili ed intelligenti. Nell’evoluzione delle specie animali, e di quella umana, intelligenza ed adattamento sono andati costantemente di pari passo.
L’uomo, con lo sviluppo delle conoscenze scientifiche e della tecnologia, dopo millenni di proficuo adattamento e sincronia con i ritmi e gli stimoli dell’ambiente, ha progressivamente smesso di adattarsi alla realtà circostante ed ha quindi cercato, spesso riuscendoci, di contrastare, modificare e manipolare l’ambiente, la natura, la realtà ed i suoi limiti. Nell’ultimo secolo, nella continua progressione di questo delirio di onnipotenza e di onniscienza non ha tenuto conto che stava esponendo il suo corpo e la sua mente a sollecitazioni, sforzi e prestazioni eccessive, sproporzionate, non più compatibili ed in sincronia con ciò che millenni di evoluzione avevano selezionato, modellato e costruito nell’uomo.
L’uomo moderno, in questo ultimo secolo, ha smesso di adattarsi al clima modificando le temperature con il riscaldamento ed i condizionatori d’aria, ha smesso di adattarsi ai ritmi della luce solare con le illuminazioni permanenti, ha smesso di adattarsi agli impegni motori con lo sviluppo di ogni tipo di “protesi meccanica”. Le macchine che vengono costruite in fondo sono tutte delle “protesi motorie” cui delegare il lavoro muscolare (automobili, autobus, ascensori, elettrodomestici) e così via. Ciò ha determinato un marcato risparmio dei suoi tempi, liberando l’uomo dalle incombenze ripetitive e prolungate, e gli ha permesso di fare altro.
Tuttavia questo tempo “risparmiato” non è stato utilizzato per il benessere e la qualità della vita. Ha avuto più tempo per prolungare il suo lavoro e le sue ore di prestazione con un incremento di attività e quindi del bisogno di attenzione continua, di una prolungata concentrazione, moltiplicando alla fine gli impegni e le incombenze. In questo modo i tempi di riposo, di recupero, di ristoro della mente e del corpo si sono progressivamente ridotti e quando ha iniziato a sentire l’affanno e la stanchezza li ha compensati farmacologicamente con caffè, sigarette, alcolici, stimolanti ed eccitanti di ogni tipo. Ed hanno cominciato a risentire di questo continuo sforzo di prestazioni supplementari, di continua negazione della fatica e del riposo, di continua manipolazione e non adattamento all’ambiente ed ai suoi ritmi, organi ancora imperfetti e fragili, come ad esempio il cervello (e la mente), l’intestino (con le coliti croniche), la colonna vertebrale (con le cervico e lomboartrosi), le arterie (con i deficit vascolari) e tutte quelle strutture che attualmente rappresentano le prime cause di morte (come il cancro, l’infarto, l’ictus) o di disabilità (come l’artrosi, la demenza, il Parkinson).
Se paragoniamo un lavoratore attuale con un cacciatore della preistoria possiamo osservare che il cacciatore preistorico era in grado di procacciare gli alimenti per sé, per la sua famiglia ed inoltre poteva contribuire al mantenimento degli individui meno fortunati del gruppo, lavorando e cacciando solo poche ore al giorno, durante le prime ore di luce del mattino, riposando e stando in gruppo, in attività sociali, per il resto della giornata. Ben diversa é la situazione attuale dei lavoratori in molte parti del mondo, dove una miriade di persone é costretta ad effettuare estenuanti turni di lavoro in cambio di un compenso che è ai limiti della sussistenza.
C’è da chiedersi se con l’evoluzione ed il progresso sia veramente migliorata la condizione esistenziale dell’uomo. In più possiamo osservare che le calamità naturali come gli incendi, le inondazioni, i terremoti, le eruzioni vulcaniche, avevano degli effetti contenuti in gruppi che non avevano insediamenti stabili, ben lungi dagli effetti disastrosi di un terremoto o un'alluvione nei grossi centri urbani attuali. I cacciatori preistorici vivevano perfettamente integrati nel loro habitat ed il loro adattamento prolungato a un determinato tipo d'ambiente ha permesso lo sviluppo di una efficace immunoresistenza agli agenti patogeni ed infettivi del luogo, come ancora si osservano nei gruppi sociali degli indigeni dell’Amazzonia o dell’Oceania. Le malattie infettive, come oggi le intendiamo, erano cosa sconosciuta, o quasi, fino a quando dei tipi umani, sufficientemente diversi geneticamente ed immunologicamente, sono venuti a contatto tra loro. Altra cosa è la situazione nella nostra società consumistica, basti pensare alla rapidità di diffusione delle attuali epidemie ed ai danni umani ed economici che può causare una "semplice" epidemia influenzale.
A ben guardare all'evidenza dei fatti che abbiamo sotto gli occhi, non si potrebbe dire che l'uomo abbia fatto un buon investimento dello sviluppo tecnologico. E non poteva essere altrimenti, visto che é stato il frutto della superbia tecnica e scientifica dell'uomo sull’ambiente e sulla natura. D'altra parte va precisato che lo strumento tecnologico é solo il mezzo e non la causa dei mali dell'umanità, che invece vanno attribuiti agli sconsiderati comportamenti umani della nostra “civiltà” nei confronti dell’ambiente, nell’uso del tempo, del proprio corpo e delle proprie risorse.
Infatti, la necessità sempre crescente di avvalersi di tecnologia sempre più raffinata e sostitutiva dei limiti naturali dell’uomo, evidenzia che il modo di vivere dell'uomo si è allontanato e si allontana sempre di più dalla sua natura. Sono in progressivo incremento le patologie, fisiche, psichiche e comportamentali, legate al disadattamento, come lo stress cronico, la depressione, l’insonnia, la bulimia e le malattie degenerative circolatorie e cerebrali. Le conoscenze scientifiche degli ultimi secoli, le tappe del cosiddetto progresso, e le loro ricadute tecnologiche sulla vita di tutti i giorni, stanno quindi negando e rendendo inutile tutto il percorso evolutivo che è stato compiuto dall’uomo fin dalla notte dei tempi e lo stanno rendendo sempre più disadattato sia rispetto all’ambiente ed alla natura che lo circonda, sia rispetto alle proprie ambizioni e velleità.
Fino a qualche anno fa il termine disadattatamento era un sinonimo di esclusione, incapacità, difficoltà di sopravvivenza ed il termine di disadattato era utilizzato spesso quasi come un insulto. In realtà dal punto di vista etimologico e medico il termine disadattato sta semplicemente ad indicare un disturbo, un'alterazione dell'adattamento. Parlare delle modalità e dei meccanismi dell’adattamento significa parlare di fenomeni complessi ed esclusivi degli esseri viventi e l’efficienza dei meccanismi di adattamento dell’uomo ne ha determinato il percorso più favorevole nella scala dell'evoluzione tra tutte le specie animali. Ogni giorno l'organismo umano è sottoposto ad un numero considerevole di stimoli provenienti dal mondo esterno (uditivi, visivi, tattili, termici, dolorifici, ecc.) e da quello interiore (desideri, motivazioni, emozioni, paure, ecc.). La stragrande maggioranza di essi sono noti, cioè già sperimentati nell’esperienza passata della persona, e rispondervi non comporta alcun problema o sforzo. Un numero più limitato di questi stimoli invece costituisce una novità per la mente e per l’organismo. Uno stimolo nuovo richiede una risposta nuova, intelligente, adattativa (attiva o passiva) del nostro organismo, sia dal punto di vista fisiologico sia da quello cognitivo ed emotivo. Quando gli stimoli nuovi superano una certa soglia, oppure hanno una particolare "forza", vengono definiti stress ed innescano precisi meccanismi fisiologici e psicologici di ricerca dell’adattamento che coinvolgono alcune ghiandole endocrine e il cervello.
Un esempio della forza o dell’intensità marcata di questi stimoli nuovi potrebbe essere rappresentata da un'esperienza traumatica improvvisa e incontrollabile che mette a repentaglio la stessa vita (un incidente, un evento catastrofico naturale, un episodio di violenza o delle gravi lesioni corporee) e che comporta risposte immediate fisiche e psichiche. Fra queste ricordiamo l’incremento del respiro, della pressione arteriosa, del battito cardiaco, della tensione muscolare, la comparsa di uno stato di allarme psichico con la relativa amnesia o di una sensazione di distacco mentale difensivo con apparente assenza di emozioni. I sintomi prodotti possono non scomparire in poco tempo e possono persistere anche per settimane dopo l'evento (ansia, insonnia, irrequietezza, stato di allarme, incubi e sensazione di rivivere l'evento acuto...) o permanere in forma più lieve in modo cronico e persistente. Per fortuna si tratta di situazioni non quotidiane ed abbastanza rare che costituiscono un problema collettivo solo in occasione di catastrofi o eventi straordinari.
Ben più frequenti e, tutto sommato abbastanza prevedibili, sono invece gli stress cronici ed i cambiamenti della vita di una persona che possono richiedere al soggetto un periodo più o meno lungo e sofferto di adattamento. Costituiscono uno stress psicofisico non intenso come una catastrofe, ma possono persistente nel lungo termine. Fra questi ricordiamo tutti gli eventi del cosiddetto ciclo vitale: dal distacco dai genitori all'inizio della scuola materna al periodo del servizio militare, dal cambiamento di residenza ad un nuovo lavoro, dalla disoccupazione al matrimonio, dal pensionamento alla morte di un parente stretto. La risposta adattativa dell'individuo agli eventi, ai contrattempi e agli incidenti della vita è ovviamente diversificata e riflette il carattere, l’intelligenza e la storia particolare di ogni individuo. Ad esempio per una persona anziana che è sempre vissuta nello stesso ambiente domestico un ricovero ospedaliero può rappresentare un'occasione di intenso stress emotivo, con conseguente scompenso psico-fisico di tipo reattivo. Tra gli eventi stressanti più importanti per lo sviluppo del disadattamento troviamo le malattie fisiche gravi del soggetto o di un familiare. Ma si può verificare anche la situazione opposta: vale a dire malattie fisiche provocate da situazioni di stress cronico che portano ad una condizione di esaurimento delle capacità di risposta dell'organismo, accompagnata da una riduzione della risposta immunitaria.
L’uso costante delle “protesi” muscolari e delle continue manipolazioni ambientali ci ha condotto quindi ad una condizione esistenziale dove qualsiasi avversità o cambiamento trova la persona nella incapacità di gestirlo e di trovare adeguate risposte. Al giorno d’oggi una persona abituata alle comodità domestiche entra in crisi se il riscaldamento non funziona, se manca l’acqua calda, se l’aria condizionata è assente, se il telefonino è scarico, se l’ascensore si rompe, se la macchina non si mette in moto, se non si trovano centri commerciali aperti, se il Pc non riesce a collegarsi ad Internet, e via discorrendo. Quando ci si lega troppo alla presenza degli aiuti tecnologici nello svolgimento delle attività quotidiane, qualsiasi contrattempo o malfunzionamento della tecnologia accessoria riesce a provocare una crisi di sconforto, di scompenso emotivo o disadattamento.
Entriamo così nel campo dei disturbi dell'adattamento non più legati alle cause classiche delle malattie o delle avversità ambientali, bensì legate ad un improvviso deficit della tecnologia o di disfunzione degli accessori elettronici di uso quotidiano. Guasti banali, ma in grado tuttavia di provocare condizioni di sofferenza psicofisica.
L’uomo è fondamentalmente un animale sociale e in quanto tale la sua vita è fondata sulla relazione con i suoi simili e sulla comunicazione che rappresenta lo strumento per interagire con il prossimo: relazione e comunicazione attualmente effettuata non tramite un contatto fisico diretto bensì attraverso una sofisticata strumentazione tecnologica. La necessità del contatto relazionale ha reso quindi l’uomo dipendente dalle sue macchine comunicative e reattivamente insofferente alla presenza fisica di altre persone nel suo ambiente (alla presenza fisica di un’altra persona nel nostro ambiente si preferisce una telefonata, un sms, una mail, anche se l’altra persona è nel suo ufficio a pochi metri di distanza dal nostro).
E così l'antico gruppo sociale dei cacciatori preistorici che si riunivano al mattino per andare insieme a caccia si é progressivamente assottigliato ad una sola persona e la tecnologia ha in sostanza sostituito l’aiuto e l’apporto degli altri elementi umani del gruppo.
Alla ricerca del fabbisogno alimentare quotidiano abbiamo inoltre sostituito uno sfruttamento intensivo delle risorse, come la distruzione delle foreste, l’inquinamento, e si stanno procurando immensi danni al nostro pianeta con effetti che si ripercuotono sull'umanità: effetto serra, buco dell'ozono, riduzione della biodiversità, mutamenti climatici ed altro.
Anche la struttura sociale é in crisi: la famiglia di coppia regge a fatica il peso della competizione ed é facilmente dissolvibile. Oggi, in misura sempre più marcata, per tutti i motivi che abbiamo passato in rassegna, prende piede l'individualismo. Una persona da sola, col sostegno della tecnologia, può vivere in modo autosufficiente per quanto riguarda i suoi bisogni materiali, ma questo va ovviamente a scapito della socialità, che rimane comunque un'esigenza naturale dell'uomo e che non gli consente di adattarsi pienamente alla solitudine.
Possiamo tuttavia concludere che l’uomo moderno sarebbe un forte disadattato ambientale senza l'ausilio della tecnologia e delle sue “protesi meccaniche” e che potrebbe facilmente diventare un disadattato, sofferente e malato, in qualsiasi tipo di ambiente. Possiamo dunque sintetizzare le riflessioni fin qui effettuate con alcune considerazioni finali:
- la tecnologia non é servita a migliorare il tenore di vita di tutta l'umanità, ma ha creato nuove dipendenze, perdita dei ritmi giornalieri, regressione della qualità della vita, nonché disparità economiche e ingiustizie sociali;
- la tecnologia non é servita a favorire la collaborazione tra i popoli, ma ha creato individualismi, distanze relazionali e cementato barriere culturali invalicabili;
- la tecnologia non é servita a migliorare l'ambiente naturale, fonte di pace, benessere e salute per l’uomo moderno, ma ha contribuito ad un suo più efficace sfruttamento e quindi a distruggerlo;
- la tecnologia non é servita a migliorare le condizioni igieniche e sanitarie dell'umanità, ma sta minando il suo equilibrio psicofisico frutto dell’evoluzione e della selezione naturale.
La causa dei mali dell'uomo, si ribadisce, non é però la tecnologia in se stessa, ma un suo uso innaturale, o meglio, il sostegno che offre ad un modo di vivere innaturale dell'uomo. Se si potesse eliminare la competizione individuale nelle prestazioni, nel lavoro, nello sfruttamento delle risorse e si ricostituissero i gruppi sociali, le persone sarebbero indotte a collaborare e la tecnologia potrebbe essere veramente un sostegno alla natura umana, al suo equilibrio psicofisico, ed una difesa per vivere l'ambiente in modo naturale.
(cannavicci@iol.it)


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