L’Italia sta diventando, tra i grandi Stati membri dell’Unione Europea, quello maggiormente contrassegnato dal fenomeno dell’immigrazione. Abbiamo visto recentemente, proprio presso il Cnel nel corso di un convegno organizzato insieme all’Ambasciata tedesca, che probabilmente basteranno dieci anni perché l’Italia superi la Germania e i suoi 7 milioni di immigrati. Stiamo assistendo a ritmi di crescita della popolazione straniera che sono nettamente differenziati: poche decine di migliaia in Germania, e diverse centinaia di migliaia l’anno nel nostro Paese.
Il profondo cambiamento, che sta causando l’insediamento di questi nuovi cittadini lavoratori e delle loro famiglie, ha portato gli studiosi a qualificare il fenomeno dell’immigrazione come quello attualmente più rilevante nella società italiana. Ciò nonostante, non risulta ancora radicata nel Paese quella mentalità di apertura e di accoglienza che ha contraddistinto altri grandi Paesi di immigrazione nel gestire a loro volta flussi migratori di massa e i relativi problemi. Basti pensare agli Stati Uniti o all’Argentina, dove i nostri migranti hanno avuto un peso preponderante, e alla stessa Germania, un esempio più vicino nel tempo che invita a riflettere sulle facili contraddizioni in grado di ostacolare la via dell’integrazione.
La questione di fondo è che non si può avere strutturalmente bisogno dell’immigrazione senza volere gli immigrati: non basta considerarli lavoratori indispensabili nelle fabbriche e nelle famiglie, ma bisogna ritenerli partner acettabili nella quotidianità delle nostre città e in ogni contesto di vita, anche dopo l’orario di lavoro. Invece, il nostro atteggiamento è molto contrastato e non sempre siamo coscienti che l’immigrazione sta dentro la storia di intere popolazioni di ogni tempo e rimane la risorsa che la storia stessa ci mette a disposizione per far fronte ai deficit demografico e occupazionale.
I cittadini romeni sono attualmente gli ultimi nella considerazione degli italiani, avvolti da una coltre di ostilità se non addirittura di disprezzo. In questo modo si sta facendo pagare a un’intera collettività i misfatti di frange di delinquenti. Anche se alcuni casi hanno molto colpito l’opinione pubblica è scorretto arrivare a un processo di criminalizzazione di un’intera popolazione. Andando al di là dei fatti di cronaca, veri e preoccupanti ma circoscritti, i romeni, diventati nel fratempo la prima collettività, sono stati presi come simbolo del fenomeno migratorio che aumenta e che genera timore.
Anche se non c’è da accordare facili attenuanti, bisogna sforzarsi di capire cosa sta concretamente accadendo. La velocità di crescita dell’immigrazione, se da un lato consente di risolvere più speditamente i nostri problemi occupazionali, dall’altro richiede più attenzione politica e più risorse pubbliche. Ciò è stato fatto in maniera prevalente per i problemi connessi alla sicurezza, mentre per l’integrazione, che è un obiettivo includente molti aspetti, la disattenzione e la trascuranza sono consistenti.
Non è infondato ipotizzare un patto tra i nuovi venuti e il paese Italia, che comporta per entrambe le parti diritti e doveri. Senz’altro è richiesto un forte impegno degli stessi immigrati, impegno che va sottolineato con estrema chiarezza e al di là di ogni ambiguità. Ma è richiesto anche l’impegno degli italiani per accogliere gli immigrati, punto sul quale non sempre si insiste adeguatamente e che invece trova ricorrente richiamo nei documenti pontifici sull’immigrazione. Senza un giusto equilibrio, tanto di obiettivi che di mezzi da mettere a disposizione, la politica migratoria è destinata a perdere la sua efficacia e a far crescere problemi più che reciproche opportunità.
Di questa corretta impostazione qualcosa non ha funzionato nel caso dei romeni, perché molti hanno ritenuto opportuno imputare le responsabilità penali di frange limitate di connazionali all’intera collettività immigrata, che invece ha assicurato alla società un apporto positivo. Questa scorretta impostazione politica e culturale ha fatto dei romeni il capro espiatorio di turno. E’ bene precisare che l’ordine pubblico e l’immigrazione, pur avendo evidenti interconnessioni, non sono la stessa cosa e che la politica migratoria non si esaurisce nei povvedimenti di sicurezza. In particolare, come ha autorevolmente affermato la Conferenza Episcopale italiana, legalità e solidarietà sono due concetti da coniugare insieme. A questo riguardo non si può fare a meno di ritornare sul cosiddetto “pacchetto sicurezza” che il governo ha varato in tema di immigrazione.
Caritas italiana, come qualsiasi realtà che si occupa di solidarietà, è rimasta profondamente turbata da atti delittuosi compiuti da immigrati nei confronti di italiani, così come da reazioni inaccettabili di italiani contro gli immigrati. L’ordine pubblico e la sicurezza sono valori da salvaguardare per garantire un’armoniosa convivenza, con la fermezza e la funzionalità necessarie. Però, rimane vero che si tratta solo di un aspetto del problema. Così come non si deve pensare all’immigrazione in maniera disgiunta dall’accoglienza, dallla solidarietà e dalla giustizia e a questo secondo riguardo sono notevoli le carenze e le reticenze.
Abbiamo preso atto che il pacchetto sicurezza considera la situazione di irregolarità un’aggravante della pena, dispone la confisca dell’immobile in caso di affitto a uno straniero in posizione irregolare, prolunga il trattenimento nei centri di permanenza temporanea fino a 180 giorni, prevede l’allontanamento coatto - anche previo trattenimento nei Cpt - degli stessi comunitari. Su alcuni di questi aspetti Caritas italiana, peraltro non isolata, ha espresso fondate riserve. Senza ritornare sulle motivazioni specifiche, che il Parlamento avrà modo di vagliare con serenità, è qui il caso di ribadire che il contenimento, la repressione, le misure penali non possono essere proposte come l’essenza della politica migratoria, in quanto sono una parte residuale che deve entrare in azione in presenza di comportamenti difformi rispetto alla norma.
E’ risaputo che molti immigrati sono venuti in Italia per passarvi buona parte se non tutta la loro vita. Secondo una lettura non superficiale delle statistiche, gli immigrati regolari (i vicini di casa, per intenderci), solitamente non hanno addebiti con la giustizia e il loro tasso di criminalità è uguale a quello degli italiani. Si tratta di circa quattro milioni di persone, che da una parte sono d’accordo con le misure necessarie per garantire l’ordine pubblico, e dall’altra dicono che il “pacchetto sicurezza” non basta. Essi reclamano giustamente il “pacchetto integrazione”.
Una politica immigratoria, che non faccia perno sulla forza incentivante dell’integrazione, è priva di attrattiva. Il collante di cui necessita una società multiculturale sono le disposizioni in grado di accogliere i nuovi venuti, sostenerli con l’offerta di pari opportunità, incentivare e fluidificare la convivenza. Giova ricordare che la politica migratoria è una sorta di partita doppia, nella quale è lecito chiedere ma è anche doveroso dare. Sappiamo che il Paese versa in una fase difficile, ma queste risorse devono essere assolutamente trovate.
Il buon senso porta a ritenere che sono diverse le impostazioni, per una crescente azione d’integrazione, che potrebbero trovare il sostegno sia delle forze di governo che di quelle di opposizione:
- investimenti consistenti per attenuare la gravità del fenomeno alloggiativo. La necessità di un tetto è fondamentale e servono a tal fine specifiche risorse finanziarie, senza che basti la garanzia formale fornita dal datore di lavoro al momento della stipula del contratto di soggiorno;
- meccanismi d’ingresso e di soggiorno burocraticamente gestibili, senza dare l’impressione di uno Stato che non riesce a rispettare gli impegni presi, finendo per risultare vessatorio e inconcludente. E’ proprio in questo modo che, al di là delle buone intenzioni, si finisce per alimentare il sommerso e l’irregolarità. E’ il caso di ripensare a una nuova sperimentazione della venuta per la ricerca del posto di lavoro, che garantisca la registrazione dei nuovi venuti (rispondente anche alle esigenze di controllo delle Forze di polizia) e assicuri loro vitto, allogio e assistenza sanitaria a spesa dei datori di lavoro, interessati ieri come oggi ad assumere le persone sul posto e non a distanza;
- sostegni adeguati ai processi di integrazione, attraverso, ad esempio, interventi nelle scuole per i loro figli, corsi di lingue per genitori, più mediatori culturali a sostegno delle strutture pubbliche e della convivenza sociale. Un sostegno convinto va assicurato anche alle associazioni, da considerare un formidabile strumento di inserimento.
Più in generale va ribadito che un’efficace integrazione, attraverso qualunque iniziativa si voglia promuovere, necessita di fondi ed è per questo che desta non poche perplessità l’aver appreso che quasi tutti i 50 milioni di euro previsti dal fondo per l’inclusione sociale degli immigrati, istituito con la Finanziaria 2007, sono stati diversamente destinati.
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