Il terzo dossier della Caritas-Migrantes
è dedicato in buona parte ai romeni
presenti nel nostro Paese. Il volume
è stato anche curato da studiosi
della Romania che raccontano
le esperienze, anche tragiche
dei loro connazionali
La Caritas italiana, nel mese di giugno 2004, subito dopo l’allargamento dell’Unione Europea a 10 nuovi Stati, ha pubblicato il primo libro dedicato ai flussi di origine est-europea in Italia, seguito due anni dopo da un volume sulla Polonia e, ora, da un terzo libro dedicato all’immigrazione romena. Questo impegno conoscitivo di natura socio-statistica ha l’obiettivo di descrivere la realtà in esame senza pregiudizi e, quindi, di arricchirla con apporti di natura storica, giuridica, sociale, politica e religiosa.
I redattori del Dossier Caritas-Migrantes hanno operato in sinergia con uffici di ricerca (Consiglio italiano per le Scienze Sociali), strutture pubblliche italiane e romene (Ufficio nazionale Antidiscriminazione, ministero dell’Interno tra quelle italiane), mondo imprenditoriale (segnatamente Unicredit, notoriamente impegnato in Romania), centri pastorali (Caritas e Migrantes) e associazioni di italiani e di immigrati. Tra i 50 autori del volume, oltre un terzo è costituito da studiosi romeni, chiamati a presentare direttamente il loro punto di vista e a raccontare l’esperienza migratoria dei loro connazionali. Sono sei le indagini sul campo delle quali vengono riportati i risultati.
Il volume, che ha completato i dati degli archivi ufficiali con una stima per far luce sulla effettiva consistenza dei romeni, li ha inquadrati “dal vivo”, mostrando chi sono, come vivono, quali problemi incontrano, come si pongono nei nostri confronti, evitando di cadere in ragionamenti scontati e in pregiudizi.
Dopo la caduta del Muro di Berlino e dei regimi totalitari marxisti, anche a seguito del lungimirante apporto di Papa Giovanni Paolo II, è tempo di riflettere sul senso più profondo di questa fase storica e di riconoscere i vantaggi, senza continuare a rimanere bloccati dalla paura di una “invasione” dall’Est. Per il popolo romeno l’adesione all’Unione Europea non è stata una forzatura ma un esito atteso, che ha favorito il progresso economico, culturale e sociale, nonché l’unificazione del continente: eppure, come nel caso dei polacchi, gli umori nei “vecchi” Stati membri non sono stati tra i più favorevoli.
La Romania, nuovo Stato membro
dal forte dinamismo
La Romania (21 milioni e mezzo di abitanti), agevolata dall’ingresso nell’Ue, ha beneficiato del fatto di essere un Paese dal lavoro a basso costo. Diverse aziende italiane vi hanno delocalizzato le strutture produttive, pur mantenendo in patria il centro della direzione commerciale, del disegno dei prodotti e di alcune altre fasi a più alto valore aggiunto. Sono stati elevati, e continuano ad esserlo, gli investimenti esteri (7,2 miliardi di euro nel 2007), indirizzati specialmente verso alcuni settori (bancario, costruzioni, telecomunicazioni, reti di distribuzione al dettaglio, auto, settore energetico e servizi privatizzati). Sono quasi 4 miliardi le rimesse che pervengono annualmente in Romania, a loro volta di grande aiuto per lo sviluppo del Paese e il benessere delle famiglie. Questi fattori hanno determinato una forte dinamica dei consumi e forti investimenti in edilizia. Gli aspetti negativi sono, invece, costituiti dalla povertà diffusa, dagli appesantimenti burocratici, dalla corruzione e dal problematico approccio alle minoranze (segnatamente quella dei rom).
Iniziano a farsi sentire gli effetti negativi dell’eccessivo turn over dei lavoratori qualificati (maggiormente attratti all’estero e disposti a trattenersi solo per retribuzioni più elevate) ed è insufficiente la stessa manodopera generica, specialmente nelle costruzioni, dove servirebbero altri 300mila operai. Non di rado avviene che i romeni si licenzino in Romania per venire a lavorare in Italia, costringendoo talvolta alla chiusura anche alcune aziende italiane. Seppure non più conveniente come nel passato, rispetto alle possibilità offerte da diversi Paesi asiatici, la Romania continua a richiamare attenzione non solo in quanto mercato interno meno saturo, ma anche come base per la penetrazione nell’Est Europa.
Gli immigrati romeni
Prima della caduta del Muro di Berlino a emigrare dalla Romania furono complessivamente 300mila persone, per lo più appartenenti alle minoranze tedesche ed ebree; dopo il 1989 i flussi sono notevolmente aumentati, inizialmente verso i Paesi vicini e poi a più largo raggio, fino a coinvolgere in maniera massiccia anche le donne e gli abitanti dei villaggi. Per inquadrare la propensione all’espatrio bisogna far riferimento all’urbanesimo forzato voluto da Ceausescu e alla conseguente soppressione di 7.000 villaggi: a seguito della chiusura delle fabbriche, questi lavoratori hanno continuato l’esodo, questa volta a livello transnazionale, specialmente a partire dal 2002, anno in cui è venuto meno l’obbligo del visto Schengen.
Specialmente nella prima fase, si sono sviluppare le cosiddette migrazioni informali o circolari, spesso di breve durata e funzionali alla sopravvivenza delle famiglie. Il ritmo dell’esodo è andato aumentando, sostenuto per lo più dalle reti amicali e parentali, nonostante l’inasprimento delle condizioni previste a livello normativo per l’espatrio (assicurazione medica, biglietto di ritorno, valuta estera) e le convenzioni bilaterali sottoscritte dalla Romania per facilitare il rimpatrio agli immigrati irregolari. Nel 2007, in coincidenza con l’adesioone formale all’Unione Europea della Romania e della Bulgaria, le politiche restrittive di quasi tutti i Paesi europei si sono proposte il contenimento di questi flussi.
All’inizio del 2006 erano più di 1 milione i romeni in età da lavoro che si trovavano nell’Ue a 15, con i maggiori insediamenti in Spagna e in Italia: due anni dopo questi Paesi rimangono ancora i poli principali, mentre il numero dei romeni è salito a circa due milioni. Secondo la Fondazione Soros una famiglia romena ogni tre e il 23% degli adulti hanno conosciuto l’emigrazione, nel 50% dei casi diretta in Italia e in un quarto dei casi in Spagna.
Quella attuale è senz’altro una situazione di transizione. Molti emigrati romeni, dalle risposte date nelle indagini, sarebbero disposti a ritornare in patria a determinate condizioni economiche; e in effetti non mancano quelli che tornano con un accresciuto bagaglio professionale. Aumentano, però, quelli che si insediano in Europa occidentale e il ritorno, specialmente per quanto riguarda chi si è insediato in Italia, è tutt’altro che scontato, almeno per quanto riguarda una prospettiva a breve termine.
Primi in Italia
per numero di immigrati
I romeni, che in Italia erano appena 8.000 nel 1990, sono andati continuamente aumentando, fino a diventare un milione circa all’inizio del 2008: cento volte di più nel volgere di 17 anni. Essi si collocano al di sopra delle già consistenti collettività di albanesi e marocchini e i loro flussi hanno per così dire anticipato la formale adesione all’Ue: 150mila su 700mila domande presentate in occasione della regolarizzazione del 2002; 130mila su 500mila in occasione del decreto Flussi del 2006. L’unificazione del territorio comunitario e lo sganciamento del sistema delle quote ha reso più agevoli i loro trasferimenti, senza che però questo regime giuridico più favorevole li abbia liberati dallo sfruttamento (lavoro nero, caporalato, discriminazione).
All’inizio del 2007, su un totale di 3.690.000 stranieri regolari, i romeni sono risultati 556mila secondo la stima del Dossier Caritas-Migrantes, per il 53,4% costituiti da donne. Aggiornata all’inizio del 2008, la stima, basata sull’utilizzo incrociato di tutti gli archivi disponibili, ipotizza la presenza di 1.016.000 romeni (stima massima), inegualmente ripartiti tra motivi di lavoro, di famiglia e altre ragioni.
Con circa 200mila unità di romeni presenti, troviamo il Lazio (la provincia di Roma supera da sola le 100mila presenze), con 160mila la Lombardia, con 130mila il Piemonte, con 120mila il Veneto, con 80mila l’Emilia Romagna e la Toscana e, nel Meridione, con 20mila Abruzzo, Campania, Puglia e Sicilia. Al Sud l’aumento dei romeni (sia maschi che femmine) è stato in percentuale più consistente, anche perché partiva da numeri più bassi rispetto ai contesti del Centro-Nord.
Una presenza così consistente e diffusa, come già avvenne per il Marocco e l’Albania, ha generato una sorta di “sindrome da invasione”, una eventualità improbabile trattandosi di un Paese caratterizzato dall’invecchiamento della popolazione, dal buon andamento economico e dal forte bisogno di trattenere forza lavoro aggiuntiva. Si è, invece, trascurato di riflettere sufficientemente sull’apporto che i romeni assicurano al “Sistema Italia”.
L’apporto al sistema
produttivo italiano
In Italia gli immigrati, all’incirca 1 ogni 10 occupati, sono diventati una componente strutturale e sempre più rilevante del mercato occupazionale, in cui il tasso di disoccupazione è da anni in costante diminuzione: ormai sono gli immigrati a coprire i due terzi del fabbisogno di nuova forza lavoro e i romeni stanno in prima fila.
In effetti, ogni 6 nuovi assunti stranieri uno è romeno: secondo stime, i romeni garantiscono l’1,2% del Pil italiano (Avvenire, 25/5/2008). Nonostante l’alto livello di preparazione, essi trovano sbocco nei posti meno garantiti e, perciò, sottoscrivono in media 1,5 contratti l’anno. L’inserimento avviene per un terzo nell’industria (notoriamente in edilizia), per la metà nel terziario (assistenza familiare, alberghi e ristoranti, informatica e servizi alle imprese) e per il 6,6% in agricoltura.
L’aumento degli occupati registrati dall’Inail tra il 2006 e il 2007 è stato eccezionale, passando da 263.200 a 557.000, anche se solo in parte si è trattato di nuovi venuti e in larga misura di persne già presenti in Italia ed emerse grazie alla normativa più favorevole derivante dall’adesione all’Unione Europea. Sono aumentati specialmente gli uomini (dal 51,7% al 54,1%), avendo molti di loro (70.000) fruito delle misure di emersione nel settore edile (la legge 4 agosto 2006, n. 248, il cosiddetto “pacchetto Bersani in edilizia”); purtroppo, contemporaneamente è diminuito il numero di ore lavorate e sono aumentati i rapporti part-time, spia della maggiore diffusione del lavoro “grigio”.
La retribuzione loro corrisposta è leggermente inferiore a quella media percepita dalla totalità degli immigrati (10.042 euro nel 2004, secondo l’Inps): le donne percepiscono il 40% in meno rispetto agli uomini.
Un buon numero di donne romene (più di 1 ogni 4) lavora nel settore dell’assistenza alle famiglie ed è tutt’altro che scontato che i loro rapporti di lavoro siano del tutto emersi dopo l’ampliamento dell’Ue. E’ vero, tuttavia, che le donne romene, in misura ben più consistente rispetto a quelle filippine o di alcune collettività latino-americane, sono inserite anche in diversi altri settori (come quello infermieristico, ad esempio).
Quanto al loro rapporto con il sistema previdenziale, bisogna riconoscere che i romeni sono al momento marginali fruitori non solo delle prestazioni pensionistiche ma anche delle prestazioni temporanee erogate dall’Inps. Invece, per quanto riguarda le prestazioni assistenziali, un certo numero di accertamenti ha motivato il sospetto che parte dei lavoratori neocomunitari (essi stessi o i loro familiari), complice la vicinanza dei Paesi di origine, possono incorrere in un indebito “turismo sociale” e fruire delle prestazioni assistenziali (assegno sociale) sulla base di una residenza formalmente dichiarata ma non effettiva.
L’Ufficio nazionale Antidiscriminazioni Razziali (Unar), che collabora con l’omologo romeno (Cncd) e con le associazioni dei romeni, sulla base delle segnalazioni ricevute, ha tracciato un quadro delle più ricorrenti situazioni di discriminazione e di disparità che caratterizzano i romeni, i quali appaiono in realtà più vittime che “untori”:
- diffusione di un’informazione tendenziosa sui fatti nei quali sono coinvolti i romeni;
- mancanza di informazione, di assistenza legale e di formazione a beneficio dei romeni che arrivano in Italia;
- sfruttamento sul luogo di lavoro, specialmente nel settore edile, primato dei romeni degli infortuni mortali e molestie sessuali subite dalle donne durante l’accudimento;
- perseguimento della sicurezza pubblica con atteggiamenti spesso indimidatori, come emerso durante i controlli effettuati sul territorio;
- riscontro di difficoltà burocratiche e di atteggiamenti ostili tra gli operatori pubblici con conseguente ostacolo ai romeni nella fruizione dei servizi sociali;
- persistenza di specifiche difficoltà al momento di procedere alle iscrizioni anagrafiche;
- segnalazione di impedimenti che hanno ostacolato l’esercizio del diritto di voto nelle elezioni amministrative italiane del 2007 (qualche Comune ha addirittura preteso una traduzione legalizzata della parola “Bucaresti”, come nome romeno della capitale).
Contrariamente a quanto spesso si pensa, la vita quotidiana dei romeni non è “facile” e numerosi sono gli aspetti problematici. Secondo gli studi del Cnel sull’integrazione, e gli approfondimenti in corso tramite l’utilizzo di indici differenziali per misurare il trattamento riservato agli immigrati, questi ultimi, nei contesti regionali più sensibili, arrivano al massimo al 60% degli standard di inserimento socio-lavorativo rilevati tra gli italiani, per cui si è ben lontani dall’assicurare pari opportunità. Merita anche ricordare che, al momento dell’entrata in vigore della legge 40/1998, le spese per l’integrazione erano pari a quelle per la repressione, mentre già nel 2004 il rapporto era diventato di 1 a 4 e ultimamente l’apposito Fondo per l’inclusione sociale è andato ulteriormente depotenziandosi. Questo trattamento differenziato, unito ad atteggiamenti di ostilità (si pensi alle difficoltà che si incontrano per ottenere una casa in affitto con regolare contratto), può portare i romeni a chiudersi nell’ambito delle reti familiari o dei connazionali.
Per giunta, molto spesso si tratta di famiglie smembrate, e quindi in maggiore situazione di disagio. Secondo un’indagine della Fondazione Soros sarebbero ben 170mila i bambini romeni che hanno almeno un genitore all’estero: si tratta, in un caso su due, del padre, in un caso su tre della madre e in un caso su cinque di entrambi i genitori. I figli, per poter rivedere i propri genitori, devono aspettare fino a quattro anni con gli inconvenienti affettivi facilmente immaginabili: migliaia di madri sottratte alle loro famiglie, figli affidati ai nonni, altri ragazzi messi in orfanotrofi. Sono costi umani non trascurabili che gli immigrati romeni pagano per il nostro benessere.
Le frange di devianti
Si può concordare con Rando Devole, un sociologo immigrato, quando afferma che “la questione sicurezza ha acquisito i colori della bandiera romena”. Egli si sofferma ironicamente sul titolo di un giornale (“Un ubriaco al volante travolge e ammazza una romena”), chiedendosi se non fosse più giusto riportare la nazionalità (italiana) dell’ubriaco e qualche altra considerazione al riguardo. Devole, nel suo capitolo, illustra che la paura - in una società caratterizzata dalla precarietà - può diventare ideologia e portare il Paese a diventare ostaggio di questo sentimento, finendo per parlare di ladri e assassini anziché di muratori e badanti. In effetti, è aumentata la percentuale di quanti ritengono che l’immigrazione sia un problema per l’ordine pubblico e si è diffusa la “sindrome dell’assedio”, così come una volta avveniva per altre collettività.
Senz’altro non devono essere sottovalutate le dimensioni della criminalità degli stranieri, riassumibili in questi dati: un quinto delle denunce penali (130.311 su 550.773 con autore noto nel 2005 secondo l’Istat, mentre le denunce totali sono circa 4,5 milioni l’anno), un quarto delle condanne, un terzo della popolazione carceraia. Tra i giovani, la categoria a più alto potenziale criminogeno, gli stranieri tra i 15 e i 24 anni sono passati dal 3% al 6%. Come si legge nel Rapporto sulla criminalità in Italia del ministero dell’Interno (2007), il 71% degli immigrati che commettono reati sono irregolari: quelli regolari sono stati nel 2006 all’incirca il 6% dei denunciati così come sono il 6% della popolazione residente. Bisogna, quindi, superare l’equazione “immigrato uguale a delinquente” perché viene denunciato solo uno ogni cinquanta regolari.
Seppure così ridimensionato, il problema è serio e può essere molto elevata l’incidenza degli stranieri in diversi tipi di reato: circa un terzo nei reati violenti (omicidi, lesioni dolose, reati predatori) e furti con destrezza, il 51% nelle rapine e nei furti in abitazione, il 70% nei borseggi. In particolare i romeni, che sono stati il 12% dei soggiornanti nel 2006, hanno inciso con una percentuale più alta in diversi reati (omicidi volontari consumati, violenze sessuali, furti di autovetture, furti con strappo, furti in abitazione, furti con destrezza, rapine in esercizi commerciali e rapine in pubblica via, estorsioni). Va però aggiunto che non di rado le vittime sono parimenti romene.
Anche tra i romeni vi sono, purtroppo le organizzazioni malavitose che si occupano di immigrazione clandestina, tratta degli esseri umani, lavoro nero, traffico di sostante stupefacenti, contraffazione, clonazione di carte di pagamenti, accattonaggio e sfruttamento di minori e di storpi. Per alimentare il circuito della prostituzione, le ragazze vengono reclutate con violenza nelle zone più povere della Romania: si tratterebbe, tra le romene e quelle di altre nazionalità, di 18.000/35.000 persone l’anno che circolano in Italia. Purtroppo, sono ricorrenti gli atti di violenza sessuale anche all’interno delle mura domestiche, a danno delle romene o di altre colf a servizio delle famiglie italiane.
Un aspetto ancor più preoccupante consiste nel fatto che un terzo dei minori stranieri denunciati è romeno (4.000 nel 2004), per lo più di sesso femminile e in prevalenza rom e accusate di reati contro il patrimonio; quasi un migliaio di questi minori sono passati nei centri di prima accoglienza. Inoltre i romeni sono i primi, anche tra i minori non accompagnati (più di 2.000), abbandonati o venduti dai genitori o desiderosi di sfuggire a un regime familiare oppressivo o allontanatisi per altri motivi.
I rom, nomadi o zingari, oltre a vivere in situazione di povertà ed emarginazione, sono svantaggiati per l’alloggio, i servizi soiali, l’occupazione, l’istruzione e oggetto di notevoli pregiudizi che li inquadrano come approfittatori, malviventi o vagabondi: essi, non di rado invisi anche in patria, costituiscono una questione specifica all’interno della questione dei romeni. In Romania i rom sono ufficialmente 535.140, il 2,5% della popolazione locale, ma in realtà sarebbero fino a 4 volte di più: studiati in profondità da Etnobarometro, essi si ripartiscono in 23 gruppi e quindi in ulteriori sottogruppi, con caratteristiche differenziate: alcuni sono nomadi e altri sedentari, alcuni istruiti e integrati (le élite) e altri no, per cui dovrebbe essere maggiormente articolato l’approccio nei loro confronti.
Gli aspetti problematici, riscontrati in tutti i flussi migratori di massa, possono essere ridimensionati tramite l’insistenza sulla legalità (anche a livello lavorativo), il coinvolgimento delle associazioni dei romeni (un immigrato che delinque offusca innanzitutto l’immagine della collettività), la collaborazione bilaterale e una maggiore insistenza sui percorsi di integrazione: c’è bisogno di una strategia concreta e ispirata alla reciproca fiducia.
Le diverse indagini, condotte dalla Caritas con la collaborazione delle associazioni dei romeni, delle strutture pastorali, di qualche Università, del Consiglio italiano per le Scienze Sociali, insieme a quelle svolte direttamente dal governo romeno, ci restituiscono un’immagine inedita dei romeni, non sufficientemente esplorata, non priva di aspetti problematici ma anche ricca di virtualità.
Molti si presentano a noi come persone qualificate e tutti sono vicini a noi, non solo per la lingua e la religione, ma anche per il complesso dei loro atteggiamenti, per le loro qualità lavorative e la preparazione in precedenza ricevuta.
Secondo l’indagine Metro Media Trans (2007-2008), commissionata dal governo romeno), tra i romeni in Italia il 9% ha una casa di proprietà e l’8% vive presso il proprio datore di lavoro. Il 72% ha conseguito un titolo di studio superiore, il 90% ha un reddito mensile di 1.030,00 euro. Per il 71% la televisione è il principale mezzo di svago. I giornali preferiti sono quelli gratuiti. Il 60% ritiene che, in occasione dell’omicidio di Giovanna Reggiani a Roma, la stampa e i politici italiani abbiano mostrato un atteggiamento tendenzioso. Prevale in loro (52%) la considerazione positiva degli italiani, mentre - come attesta una indagine parallela - il 65% degli italiani non desidererebbe in famiglia una persona romena.
Le altre indagini concordano nel rilevare che la maggioranza si vuole fermare in Italia, anziché rimpatriare. Forse, a seguito delle esperienze che i romeni stanno facendo in Italia e in Spagna, la loro migrazione sta per trasformarsi (non totalmente ma in buona misura) da circolare e temporanea in stabile, a medio o lungo termine, se non addirittura in una prospettiva definitiva (basti pensare che a Roma, nel 2007, sono stati 10.000 gli acquisti di immobili da parte di romeni). Il miraggio di inserimenti più qualificati, che potrebbero dare altri Paesi come la Gran Bretagna o la Germania, viene accarezzato ma non coltivato più di tanto. La famiglia è il luogo principale della vita quotidiana e dei rapporti sociali, mentre non tutti fanno parte di associazioni, delle quali però si iniziano a riconoscere i vantaggi.
Secondo i testimoni privilegiati, i voti che gli italiani danno dei romeni sono più soddisfacenti (e anche più vicini agli aspetti che abbiamo preso in considerazione: affidabili, seri, bravi, lavoratori) di quelli che i romeni danno agli italiani (sfruttatori, razzisti, furbi, imbroglioni, aggettivi per lo più maturati nelle situazioni di irregolarità e di lavoro nero e, anche ora, di vigilanza pubblica insoddisfacente).
Questi immigrati in misura ricorrente si sono sentiti discriminati, senza che l’entrata nell’Unione Europea abbia potuto migliorare sensibilmente la situazione. Eppure la stragrande maggioranza ha amici italiani, più di quanto avvenga con i connazionali, e tende all’insediamento stabile tramite i ricongiungimenti familiari. L’esperienza italiana? Un voto di sufficienza, anche se si desidera una migliore integrazione. Perciò è tempo che anche gli italiani si sforzino di capire che senza i romeni l’Italia starebbe peggio e che la realtà è migliore rispetto a quello che si legge nella cronaca nera.
Nel futuro, Romania e Italia
Paesi di immigrazione
Nel futuro l’Italia senz’altro continuerà ad essere un grande Paese di immigrazione, ma tutto lascia intendere che anche la Romania subirà una profonda trasformazione in tal senso.
Già nel passato la Romania è stata una Paese di immigrazione. Tra la fine dell’800 e la seconda guerra mondiale vi si trasferirono 130mila italiani, in varie ondate per lo più a carattere temporaneo: molti di questi lavoratori venivano chiamati le “rondini” (in friulano “golandrinas”) perché, per evitare le pause morte, facevano la spola seguendo l’avvicendarsi delle stagioni e così potevano curare anche le proprie terre e mantenere i legami con la famiglia. Oltre che di friulani (la prevalenza), si trattava anche di veneti e di trentini. Erano lavoratori della pietra o del legno (segherie), tagliaboschi, piccoli impresari edili (Baumeister), agricoltori, muratori, scalpellini, tagliapietre e minatori.
Nel complesso, gli italiani diedero un grande contributo all’industrializzazione della “grande Romania” ed erano apprezzati da ottenere salari più vantaggiosi e riuscire a mettere da parte risparmi consistenti. I nostri impresari riuscirono ad aggiudicarsi numerose commesse in vari settori e specialmente nella costruzione della Transiberiana: nel 1845 erano italiani 23 dei 116 ingegneri occupati presso la Compagnia ferroviaria romena, mentre furono 2.000 gli operai italiani impiegati per la costruzione del ponte ferroviario di Cernavoda. Alla fine del secondo conflitto mondiale vi rimasero in Romania soltanto 8.000 italiani; poi con il regime comunista, il cambio della moneta e la nazionalizzazione, le loro fatiche vennero vanificate e per legge dovettero diventare cittadini romeni, privati dell’assistenza religiosa (solo nel 1967 è stata riaperta la Chiesa italiana di Bucarest). La nuova Costituzione ha riconosciuto agli attuali emigrati italiani (3.288 secondo il censimento romeno e circa il doppio secondo gli studiosi) lo status di minoranza etnica e il diritto di eleggere un proprio parlamentare. Ad essi si sono aggiunti nuovi imprenditori.
In questa fase, la Romania sta conoscendo un’evoluzione per molti aspetti simile a quella italiana dei decenni scorsi e, pur continuando a essere Paese di consistente emigrazione e dopo essere già divenuta area di passaggio, si sta trasformando in area di immigrazione e quindi anche di insediamento stabile. Atualmente sono circa 130mila le persone nate all’estero che vivono in Romania, concentrate nelle città e, in particolare a Bucarest; altre 300mila ne sono previste entro il 2013. La penuria di manodopera sta portando a reclutare non solo i lavoratori dei Paesi vicini (ucraini, moldavi, serbi), ma anche quelli di lontani Paesi asiatici (bengalesi, pakistani, indiani) come anche immigrati della Cina.
L’Italia e la Romania sono, già attualmente e ancor di più in prospettiva, due Paesi meno distanti di quanto si creda, tanto più che una significativa presenza lavorativa romena è insediata in Italia e una significativa presenza imprenditoriale italiana opera in Romania. La reciproca integrazione sta nella logica dei fatti, solo che bisogna rendersi conto che essa non si raggiunge per decreto legge. La collettività romena in Italia ha avuto anche i suoi aspetti problematici, ma è tempo di considerarla nella sua sostanza più valida, che è di sostegno al nostro sviluppo e di legame tra i due Paesi.
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