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Ottobre-Novembre/2008 - Articoli e Inchieste
Società
Perugia, bella e inquietante
di Gianni Verdoliva

L’omicidio di Meredith Kercher ha fatto
puntare i riflettori su una città
di anticha e nobile tradizione, nella quale
oggi convivono varie realtà, diverse, e tra
loro estranee o conflittuali


Parlare di Perugia non è facile. Troppo grande il rischio di cadere nel folto gruppo dei detrattori ad oltranza o di coloro che, al contrario, la esaltano oltre ogni misura. E non è neanche facile trovare persone disposte a parlare e a lasciare dichiarazioni e commenti se non in forma anonima. A riprova che, nel capoluogo umbro, dopo l’omicidio di Meredith la tensione è salita alle stelle. E nei confronti dei giornalisti c’è un atteggiamento di chiusura se non di malcelato fastidio.
Ad onor del vero una parte di ragione i perugini ce l’hanno. Il capoluogo umbro è stata la meta di un continuo andirivieni di giornalisti e cronisti, italiani e non, che, spesso e volentieri, hanno presentato la città sotto una luce totalmente negativa. Perugia è stata dipinta come un luogo di perdizione in cui droga, sesso, festini e depravazioni di ogni genere la fanno da padroni nelle notti brave degli studenti e degli abitanti locali. Come si dice in questi casi, si è fatta di tutta l’erba un fascio. Con comprensibile fastidio degli abitanti e degli amministratori locali. Non a caso il sindaco Locchi ed il rettore dell’Università per Stranieri, si sono sbracciati per correggere il tiro e far sentire l’altra campana. Riuscendoci però solo in parte. Sia perché ormai il danno era stato fatto, sia perché i vari rappresentanti della città e delle sue Istituzioni, nel prodigarsi nella difesa ad oltranza dell’immagine di Perugia, non sono risultati molto credibili. La città che dipingevano era una sorta di borgo medievale splendido e meraviglioso, dove si vive a misura d’uomo e dove tutto fila a meraviglia. La realtà, come spesso accade, sta nel mezzo. Per capire e conoscere un luogo occorre viverci. Mescolarsi agli abitanti, osservare, conoscere, sentire. Immergersi nella realtà locale. Cosa che mi è capitato di fare. Per questo ritengo di poter tracciare un quadro del capoluogo umbro. Avendoci vissuto, posso parlarne con cognizione di causa. Anche se non è semplice. Perché Perugia, pur essendo una città medio-piccola, ha al contempo una certa complessità. Che rende la sua realtà variegata. Piena di luci e di ombre.
Piccoli agglomerati di case. Villette. Arrivando in treno Perugia si comincia a vedere un po’ alla volta. L’espansione demografica ed urbanistica ne ha esteso di molto il territorio che diventa quasi un unicum con i Comuni circostanti. Un po’ come succede con le grandi metropoli. Arrivando alla stazione la prima impressione è di delusione. Tutto qua? A chi, sapendo trattarsi di una città storica, arriva per la prima volta a Perugia alla stazione di Fontiveggie, questa è la domanda che sorge spontanea. Palazzoni e case moderne, centri commerciali, e, davanti, un lungo viale alberato. Nulla che ricordi la storia del posto. Per quella bisogna andare in alto, nell’acropoli. E intanto il primo assaggio della città non è certamente confortante. A parte l’andirivieni di viaggiatori, si notano subito facce molto non del tutto rassicuranti. Drogati di entrambi i sessi ed extracomunitari dalle facce losche e dall’atteggiamento poco raccomandabile. Il microcosmo della piccola criminalità legata al consumo ed allo spaccio di droga è ben visibile alla stazione principale di Perugia. Ed è una presenza decisamente importante. Ben di più, giusto per fare un esempio con una città simile, di Arezzo, alla cui stazione, a parte qualche balordo, non c’è tutto quel brulicare di piccola malvivenza che si trova a Perugia. Certo, la presenza della Volante delle Forze dell’ordine, parcheggiata a fianco del botteghino che vende i biglietti per i mezzi pubblici, agisce come deterrente e rende il clima più sereno. Una volta partita la Volante però, tutto ritorna come prima.
La Perugia storica, quella delle cartoline, è in alto. Per raggiungerla, da un annetto circa, c’è il minimetrò. Vetture piccole che viaggiano a velocità sostenuta in alto. Accanto alle case. A volte talmente vicino che si può guardare dentro le abitazioni. Fatto che ha suscitato non poche polemiche in passato. Insieme all’eccessivo rumore causato dal percorso delle vetture. Se si soffre di vertigini il minimetrò non è il massimo. Ha il pregio però di portarti in pieno centro storico in pochissimo tempo. Stazione Pincetto. Il capolinea. Siamo sotto il mercato coperto dalla cui balconata si gode una vista mozzafiato sulle dolci colline umbre. Con il cielo sereno si arriva a vedere anche Assisi. Uscendo dal mercato coperto siamo in pieno centro storico. Case del ’400 e del ’500, vie e vicoli dai cui nomi riecheggia un lontano passato: via della Sposa, via dei Priori, via della Viola, via della Cupa. Grazie al traffico limitato il centro storico lo si percorre facilmente a piedi. A patto di essere pronti a tutta una serie di salite e di discese. Siamo in cima ad una collina e, per quanto non esagerato, il dislivello esiste. Ci si può abituare, mi dico, vedendo le anziane signore che si fermano a chiacchierare con la stiratrice rientrando da casa con la borsa della spesa. I perugini doc sono rimasti in pochi. Ci sono gli anziani. I commercianti. I proprietari delle case. E pochi altri. Li riconosci subito. Dalla parlata. Caratteristica ed al contempo poco classificabile. Il perugino sembra un toscano grezzo con influenze romanesche. Se parlato stretto è quasi incomprensibile. Una volta per curiosità avevo voluto vedere un’opera teatrale comica recitata in perugino. Mi ricordo ancora il titolo: “Accidenti a le pasticche”. Veniva ritrasmessa da una televisione locale. Nulla da fare. Se l’argomento generale si poteva ancora seguire, i dialoghi sfuggivano ad ogni tentativo di comprensione. Se non è stretto, il perugino è anche simpatico come dialetto. O come accento. I baristi, gli autisti dei mezzi pubblici, gli spazzini, i barbieri, alcune cameriere. Li vedi a parlare e a ridere tra loro. Con il loro accento. E’ come si dicessero: “Siamo tra di noi, siamo della stessa tribù”.
Alcuni sembrano quasi gli ultimi della loro specie. Come l’anziano falegname che ha la bottega al piano terra di un palazzo sulle cui mura si vedono ancora i simboli delle corporazioni degli artigiani. O le cameriere sulla sessantina che lavorano negli alberghi in centro. Sono la parte semplice dei perugini doc. Contrapposta agli affaristi. Accecati dalla brama di denaro e pidocchiosi a livelli estremi. Come il salumiere al quale chiedi poche fette di prosciutto e te le taglia spesse apposta in modo da farti pagare di più. O la proprietaria del residence che, per quanto formalmente corretta, ti rivolge la parola solo per chiedere i soldi dell’affitto. O i gestori del piccolo e costoso minimarket che quasi ti rimproverano se, entrando di corsa per proteggerti dalla pioggia sei andato a sbattere contro la saracinesca ancora non del tutto sollevata.
Di simili atteggiamenti improntati alla meschineria ed alla grettezza d’animo Perugia è piena. Sarà il retaggio storico della città abitata un tempo dagli etruschi, notoriamente abili con l’oro, ma i perugini amano i soldi in maniera sproporzionata. Basta leggere i quotidiani locali, come Il Corriere Umbro e Il Giornale dell’Umbria per rendersene conto. Gli scandali finanziari, i buchi di gestione, le manovre in nero, insomma tutti i crimini che hanno a che fare con il maneggiare in modo fraudolento somme, anche ingenti di denaro, sembrano essere una specialità in cui un certo gruppo di perugini primeggia. Ville, macchine di lusso, orologi d’oro, vestiti costosi, il tenore di vita di una parte considerevole degli abitanti di Perugia è certamente esagerato. “Ora quelli della destra stanno protestando ma mi sembra lo fanno in forma lieve. Eppure potrebbero scatenare l’inferno con quello che è successo. Ho come l’impressione che sono coinvolti un po’ tutti”. Questa confidenza, raccolta da un barbiere del centro storico che ha anche raccontato di avere clienti che sono finiti in carcere per frode fiscale, esemplifica l’atmosfera della città.
Come gran parte dell’Italia centrale, Perugia è “rossa” o, per meglio dire, storicamente di sinistra. I vari scandali finanziari che, con cadenza regolare, esplodono al Comune o in altre Amministrazioni non hanno però colore politico. D’altronde non è certo un mistero che la massoneria sia forte e ben presente. Nell’atrio di un bel palazzo a fianco della centralissima Piazza IV Novembre c’è anche, ben visibile, la buca delle lettere del Grande Oriente d’Italia. Siamo, concretamente e simbolicamente, a pochissima distanza dai palazzi sedi delle Amministrazioni comunali, provinciali e regionali.
Per quanto propensi a violare la legge su questioni fiscali, i perugini non sono, salvo rare eccezioni, protagonisti di crimini violenti. Escludendo i crimini passionali o alcuni esagitati tra gli ingrifati, nome della tifoseria ultrà del Perugia Calcio, gli abitanti autoctoni non creano problemi. “Vero. La stragrande maggioranza dei crimini è commessa da extracomunitari o da italiani provenienti da altre regioni. La criminalità fino a 30 anni fa era un fenomeno del tutto marginale, quasi inesistente”. A confermare la mia impressione è un giovane poliziotto, perugino doc, che ben conosce la situazione della città. Anche lui, pur essendo, a differenza di altri, cortese ed affabile, mi ha parlato sotto condizione di anonimato. “La situazione è peggiorata con gli anni, soprattutto grazie al cambiamento demografico degli studenti stranieri in arrivo a Perugia. All’inizio si trattava di americani, tedeschi o scandinavi, spesso benestanti. Ora arrivano molti arabi o africani. Alcuni studiano davvero. Per altri l’Università per Stranieri è solo una scusa. Si intrufolano nelle maglie dello smercio della droga. E vanno ad arricchire le già ben folte fila della microcriminilalità. Sono un uomo ed un poliziotto, ma tenderei a non passare la sera in alcuni parcheggi o giardini pubblici”. Parola di agente. Ed in effetti a Perugia, ce ne sarebbero diversi di giardini pubblici. Peccato che sono in gran parte inutilizzati. Non è difficile vedere tossicodipendenti o spacciatori che ciondolano o bivaccano sulle panchine. Senza contare le siringhe usate sparse per i prati o vicino alle aree verdi. Sono le siringhe monouso utili a limitare il diffondersi dell’Aids. Il fenomeno della droga a Perugia, dell’eroina, è totalmente fuori controllo. In pieno centro si vedono giovani magrebini, in apparenza nullafacenti, che passano il tempo nei bar vestiti con abiti e scarpe costosi. Comprati e pagati nelle lussuose boutique di abbigliamento della centralissima Corso Vannucci e dintorni. Le farmacie ed in particolare quella di Piazza Matteotti, vicino al mercato coperto ed al Tribunale, sanno perfettamente quando arrivano le partite di droga.
Quando i tossicodipendenti del centro storico vanno ad acquistare le siringhe in massa, c’è stato un arrivo di roba. Se Perugia ha il poco invidiabile primato di essere la seconda città d’Italia dopo Roma per percentuale di consumatori di droga tra gli abitanti, occorre anche ricordare che né a livello locale né nazionale, nessuno è minimamente in grado di fornire risposte capaci quanto meno di ridurre o contrastare il fenomeno. Il depauperamento del centro storico, ormai ridotto ad un porto di mare, ha certamente contribuito ad aumentare il fenomeno. Gli anziani e le poche famiglie che sono residenti nell’acropoli non riescono a creare spazi di vita sociale e ad occupare in maniera adeguata gli spazi pubblici. Non certo per mancanza di volontà, come è dimostrato dall’esistenza di alcuni comitati locali. Ma per una semplice e banale questione numerica. I residenti sono pochi, pochissimi. I vari rioni dell’acropoli sono vestigia del passato, come etichette di reperti da museo. Manca la vita sociale. Quella per i residenti. Escluse le parrocchie e pochi circoli tutto è in funzione degli studenti che però sono di passaggio. Il venerdì e il sabato sera è tutto un brulicare di ragazzi e ragazze, dai 20 ai 30 anni circa, che bevono, ridono, si danno appuntamento, flirtano o chiacchierano seduti sui gradini del Duomo. E bevono. Tanto.
Tra di loro deve essersi mischiata la povera Meredith e i suoi molto probabili assassini. Anche lei deve essere stata sui gradini del Duomo, negli Internet point di cui il centro è pieno, nei vari locali. La sera i giovani di Perugia, stranieri e non, hanno voglia di evadere. A volte esagerando un po’. Se un giorno girassero un film su di lei, sicuramente ci sarebbero delle riprese con questi giovani allegri e a volte un po’ alticci. Negli stessi posti in cui ci sono stati gli insediamenti etruschi e i fatti importanti della storia di Perugia. Meredith deve essere stata una di quelle belle ragazze che a notte fonda trotterella al fianco di un’amica tra i vicoli stretti lasciando dietro di sé l’eco dei tacchi e delle risate. Non ho seguito a fondo la storia di Meredith per quanto mi sia spesso chiesto come non avesse saputo interpretare i segnali che quasi sempre precedono la tragedia. Mi interessava vedere il contesto in cui ciò è avvenuto. Non certo per addossare la colpa alla città. Ma per capire. Come a volte, lontani da casa, anche se circondati da tanta gente, si è soli. Completamente soli. E come è importante che la padrona di casa ti saluti con un sorriso e ti chieda come stai. Come è anche accaduto a me. La signora però, una docente dell’Ateneo perugino, è napoletana. Non fa testo.
“Le ragazze a volte sono peggio dei maschi. Avevo un gruppo di tedesche che abitava nell’appartamento sopra di me. Erano micidiali. Ridevano sguaitamente, urlavano, vomitavano nelle scale se erano ubriache, mettevano musica fino a tardi, e quando incontravano i ragazzi ero costretta a sentire tutta la telecronaca dei loro amplessi”. Quanto riferitomi in treno da un’elegante signora addetta alle belle arti è poco edificante. E giustifica, almeno in parte, il comportamento di alcuni proprietari di alloggi che si trovano di fronte ad inquilini di passaggio intemperanti e spesso scorretti. Come un porto di mare, appunto. Un andirivieni continuo di gente che, se da un lato porta soldi dall’altro porta anche problemi.
Sono carine le signore inglesi o americane dall’aria diafana che camminano con l’immancabile e vezzoso cappellino di paglia. Devono essere la gioia dei negozietti gestiti dai bengalesi. Sono la parte positiva di questo porto di mare. Turisti stranieri, ricchi, colti ed educati. Che scrutano ogni palazzo, visitano ogni museo prima di cercare il ristorante dove mangiare cucina regionale o gustarsi il cappuccino. Prima di ripartire alla volta della Toscana. O di Assisi. A volte invece non ripartono. Si iscrivono all’Università per Stranieri e decidono di imparare l’italiano e la cultura italiana. Li riconosci. Camminano, come rapiti, tra i vicoli medievali. Hanno trovato un posto genuino, a misura d’uomo, in cui passare un po’ di tempo. O in cui, magari, decidere di vivere. E di costruire una famiglia. Sono tanti a Perugia i matrimoni misti. Questo è il lato buono del porto di mare. L’arrivo di artisti ed intellettuali che, anche solo di passaggio, contribuiscono alla già vibrante vita culturale della città. Arricchendola di nuove presenze. E di nuovi cognomi. Basta leggere i campanelli delle case. A fianco dei cognomi che finiscono con la lettera i, fenomeno linguistico tipico dell’Italia centrale, ci sono cognomi diversi, anche stranieri.
Il tramonto da Piazza Italia è bellissimo. Sotto, la strada scende in declivio verso la Piazza Partigiani, dove c’è l’autostazione che di giorno è un andirivieni di studenti e pendolari. Davanti c’è la lunga distesa di case che si perde nella campagna. Arrivano le ombre della sera. Si accendono le prime luci. E per un po’ le vedi insieme. Le luci e le ombre. E sembrano l’anima di Perugia. Fatta di luci. Le luci dei panorami, delle aule dello storico Ateneo, dei teatri, dei festival, delle allegre comitive del sabato sera, delle passeggiate spensierate con gli amici. E di ombre. Le ombre dei giardini pieni di droga, degli sguardi spenti dei drogati, dei buchi di gestione amministrativi, degli omicidi insoluti. E Meredith deve essere finita in una di queste zone d’ombra.

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