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Maggio-Agosto/2014 - Contributi
Storie
Commiato di un poliziotto qualsiasi
di Cav. Dott. Rocco Ianniello*

Prima di lasciare per sopraggiunti limiti di età l’Amministrazione della Ps, desidero parteciparvi, con sincerità, la mia commozione per questo momento che mi accingo a vivere senza rimpianti ma con tanti ricordi. Il tempo è volato così in fretta che mi è estremamente difficile oggi abituarmi all’idea di andare in pensione!
Lascio non solo colleghi ma fratelli perché tali sono stati tutti i poliziotti con cui ho condiviso le gioie e i dolori all’interno della grande Famiglia della Polizia di Stato. Nel fare la sintesi della mia vita non posso che partire dai ricordi più lontani nel tempo, per ritrovarmi piccino in quel di Lancusi, paesello del salernitano, in cui ho lasciato i miei primi affanni, dolori ed amori. Periodo, quello dell’infanzia, cui vanno ricondotte le mie prime scelte esistenziali. Mi rivedo seduto ad un banco di una vecchia scuola: “E tu, figliolo, cosa vuoi fare da grande?” - “Il poliziotto signora maestra!”.
Così, senza incertezze e con la semplicità che è propria dei bambini, rispondevo in quel mese di maggio del 1964, alla domanda della maestra Marta, che aveva imparato ad apprezzare i pregi e i difetti di ognuno dei suoi piccoli alunni e, con lo stesso affetto di una mamma, quale peraltro era, si preoccupava del loro divenire. In prossimità della fine del ciclo scolastico delle classi elementari ella, come era suo solito, chiedeva ai suoi pargoletti la professione o il mestiere cui aspiravano da grandi; quasi a volerne indirizzare le attitudini che aveva avuto modo di saggiare in quei cinque anni trascorsi con loro. E fu così che, nel mese di maggio del 1973, il desiderio, tante volte accarezzato e sognato dall’ormai grande e speranzoso Rocco, divenne realtà: vestire, orgoglioso ed impettito, la divisa di Guardia di Pubblica Sicurezza.
Un’avventura durata circa 42 anni! Sembra ieri!
Il pensiero corre più vivido che mai a quel mattino di maggio del 1973 allorquando, affacciato al finestrino del treno che mi sradicava dalle mie radici, salutavo mia madre in lacrime, sforzandomi di regalarle un sorriso. Lei sì che aveva capito quale desiderio albergava nel cuore di quel suo figlio ribelle: diventare un poliziotto!
Nel mentre mio padre, nel tentativo di confortarla, andava ripetendo: “tempo un paio di settimane e Rocco farà ritorno a casa; è troppo grande il suo innato desiderio di libertà per docilmente piegarsi ai duri ritmi di caserma”. Oggi un dubbio mi assale: ma si sarà poi convinto il mio papà che, come gli andava ripetendo la mamma, io facevo sul serio?
Orbene. Ho trascorso questi 42 anni prestando servizio presso: Compagnia d’Onore, l’Ufficio politico, Ufficio centrale Investigazioni generali Operazioni speciali, Direzione centrale Polizia Criminale ed infine Servizio Centrale Operativo. Anni, a tratti duri e defatiganti, che hanno messo a dura prova la tenuta delle Istituzioni democratiche (i cosiddetti ‘anni di piombo’), che hanno segnato il Paese con le innumerevoli uccisioni di tutori dell’ordine, magistrati, giornalisti, docenti universitari e tanta gente innocente. Anch’io, in quel triste e pernicioso contesto storico, che ha provato tanti operatori della legalità, non mi sono sottratto al gravoso impegno di poliziotto dell’antiterrorismo.
Innumerevoli servizi hanno costellato le mie estenuanti giornate lavorative al fianco di tanti colleghi, di cui taluni periti sotto il fuoco dei terroristi e della criminalità organizzata. Poliziotti-eroi cui rivolgo un commosso pensiero e verso i quali non mancherà mai la mia preghiera. Questi amici, miei amati colleghi, non sono morti. Essi vivono nella mia mente e nel cuore, accompagnandomi nell’estenuante lotta del Bene contro il Male. Questi fratelli, e sto pensando ai miei cari amici Prisco Palumbo e Giuseppe Carretta, ma non solo, barbaramente trucidati dalla ferocia terroristica, li avverto ancora invisibilmente al mio fianco. Sono loro che mi hanno infuso finora la forza per fare, al meglio, il mio dovere; a gioire per i successi ottenuti, a mitigare le delusioni allorquando contingenze estranee mi allontanavano da un traguardo professionale che pensavo oramai di aver raggiunto.
A questi nostri fratelli mai dimenticati ma idealmente vicini, in questo momento di commiato, rivolgo il mio deferente pensiero, ringraziandoli per quanto mi hanno saputo trasmettere col loro sacrificio.
Questi anni, trascorsi in fretta, mi hanno dato modo di assistere, altresì, alla trasformazione e all’evoluzione della Polizia di Stato, passata da Forza Armata ad Amministrazione a status civile. Come non ricordare adesso i tanti colleghi propugnatori della legge di riforma della Pubblica Sicurezza. E come non degnamente omaggiare il compianto dottor Franco Fedeli, mitico direttore della rivista “Ordine Pubblico”, che tanto si prodigò a favore della Riforma della Polizia. A distanza di più di trent’anni molte sono le problematiche ancora da affrontare conseguenti alle trasformazioni intervenute nella società e nel rapporto tra cittadini e Autorità. Perché non ammetterlo: oggi nelle fila della Polizia di Stato si avverte, accanto ai nobili propositi di rafforzamento di uomini, mezzi e credibilità, anche l’esigenza di ridisegnare il concetto di gerarchia, valorizzando nel contempo la professionalità e la meritocrazia di tanti meritevoli e generosi colleghi. Termini come: cameratismo e lealtà sono stati sostituiti con: fare squadra e fiducia. Sinonimi? Certo! Ma mi vien da chiedere: sortiscono lo stesso affetto professional-educativo (mi sia concesso il neologismo)?
L’esperienza, ahimè, mi insegna come non sempre sia così. Continuiamo a guardare lontano senza accorgerci del rischio di inciampare da vicino! Oggi, altre sfide attendono gli uomini e le donne della Polizia di Stato. Da una parte il crimine, sempre più evoluto e sofisticato grazie agli apporti offerti dalla tecnologia, resi possibili dagli ingenti investimenti dei capitali illeciti; dall’altra i poliziotti ,sovente costretti a ricorrere a risorse proprie, anche economiche, per superare difficoltà operative altrimenti insuperabili per cavilli e pastoie burocratiche. Sapranno i giovani poliziotti, cui non dovrà mai, e dico mai, mancare la guida, l’appoggio, l’esperienza e la saggezza dei colleghi “anziani”, affrontare e vincere le sfide che il futuro riserva loro?
Forte di una ultra quarantennale esperienza professionale, affermo, senza tema di smentita: sì, essi dovranno e sapranno farcela!
Infine, sento la necessità di rivolgere un infinito ringraziamento a mia moglie, ai miei figli e a mia nuora, moglie del mio primogenito, venuta anni fa dagli Usa, per avermi amato, nonostante le mie forzate assenze in famiglia per i continui servizi effettuati, la poca espansività dettata dall’ansia e dalle troppe preoccupazioni lavorative e l’eccessiva riservatezza che inevitabilmente, in tutti questi anni, mi ha accompagnato dall’ufficio a casa, il mio carattere da rimodellare e la parsimonia quotidiana che ho imposto loro a causa dello stipendio troppo spesso insufficiente per le loro necessità.
Grazie, ancora, amati Colleghi per avermi dato l’opportunità di dare voce e forza alla nostra amata Polizia di Stato. Porterò con me, da pensionato, il ricordo dell’affetto e della generosità che solo i veri poliziotti, da sempre, sanno esprimere per la gente e per il proprio Paese.
Buon lavoro a Tutti Voi!

*Sostituto Commissario della Polizia di Stato

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