Un questionario cui hanno risposto
seimila ragazzi di scuole napoletane mostra che
un adolescente su tre non ha alcuna fiducia nelle
Forze dell’ordine e ritiene che la criminalità
organizzata non potrà essere mai sconfitta. Ma c’è
anche il progetto Arrevuoto, con centinaia
di giovani, proprio nella malfamata Scampia
Al banco del pesce nel mercatino rionale, comizio non elettorale decisamente originale, lo fa con voce tonante la venditrice, indignata perché un anziano cliente ha commentato ad alta voce con un amico “se non ci stesse ’sta camorra…”. Nessuna allusione diretta, nessun riferimento evidente, ma immediata la reazione dai toni squillanti: “ma che state dicendo? Se non ci fossero la camorra e i mariuoli mi sapete dire che fine farebbero gli avvocati, i magistrati, i poliziotti, i carabinieri e la Finanza, le questure, i cancellieri, i Tribunali, le carceri e le guardie… me lo sapete dire la camorra a quanta gente fa mangiare? Sono migliaia e migliaia le persone che hanno il lavoro e guadagnano solo perché ci stanno quelli là…!”.
Risate amare nel capannello allegramente radunatosi ai primi vocalizzi. Condivisione. “Ci fanno pure i film sulla camorra…”.
I film polizieschi e giudiziari si sono fatti da sempre, il filone è antico e inesauribile. Ma non era mai successo prima d’ora che ad interpretare la parte del feroce camorrista nel film sulla camorra abbia voluto essere proprio un feroce camorrista in carne e ossa, orecchino e catena d’oro nonché tatuaggio rituale. Non era mai successo che a una vittima di camorra quasi gli prendeva un colpo vedendo nel film uno di quelli che mai e poi mai avrebbe voluto rivedere neanche in foto segnaletica. Né che venisse immediatamente arrestato uno dei personaggi della pellicola, pittoresco per la parlata, il cui soggiorno per due anni in una casa-lavoro è stato ordinato per “spiccata pericolosità sociale”. E neanche che un collaboratore di giustizia, con un cognome di alto impatto malavitoso, dopo aver visto il film sia corso dai Carabinieri a dire che quello lì che spara nelle prime scene e ne ammazza tre, era stato uno dei suoi migliori spacciatori di droga ai bei tempi della cocaina a fiumi in quel di Scampia. Arrestato assieme ad altri sette.
Dopo e a causa di un film, non era mai successo.
Si seppe e si disse fin dalla prima uscita dell’opera cinematografica con lo stesso titolo del libro di successo (stiamo ovviamente parlando di Gomorra, e che altro…?) che gli attori presi dalla strada venivano da un certo ambiente, e che ci avevano preso talmente gusto a recitar se stessi da contendersi le scene di sparatoria con gli effetti più sanguigni possibili. Qualcuno sospetta che senza questa entusiastica partecipazione, il film bisognava andarlo a girare in segretissimi studios nell’altro emisfero terrestre.
Non era mai prima accaduto neanche che qualcuno progettasse un Museo sulla camorra (sulla scia di analogo progetto di un calabrese Museo della ’ndrangheta), e che una qualificata galleria d’arte moderna organizzasse una mostra con una ventina di ottimi artisti le cui opere trattano del crimine organizzato.
Ed è forse la prima volta che una sentenza di Corte d’Appello (istanza da sempre considerata, a torto, “mitigatrice” delle sentenze di primo grado) fa esultare perché conferma totalmente i sedici ergastoli e le altre ultradecennali condanne alla banda dei “casalesi” (quartier generale nella cittadina denominata Casal di Principe, provincia di Caserta), benché un avvocato si sia prestato a leggere la lettera di uno dei capi latitanti nella quale si profferivano minacce esplicite a una giornalista del “Mattino”, al magistrato inquirente che sosteneva l’accusa, e infine all’autore del best-seller che narra proprio le gesta dei casalesi. Immediata ulteriore impennata delle vendite. E successivo annuncio di un nuovo docu-libro, stavolta non è un romanzo e l’ha scritto il magistrato inquirente che ha sostenuto l’accusa ed è stato minacciato in aula, adesso lavora in Cassazione, ma sempre sotto scorta. Sui casalesi il magistrato sa tutto, non risparmia la frecciata al film: “sembrano quattro bufalari, invece…”
Lui ha indagato per dieci anni, li conosce bene, quelli che operano in Italia e quelli che hanno trovato riparo negli States o in America Latina o nell’Europa orientale. Sua è l’amara constatazione che a Napoli e in Campania di rivolta antiracket ce n’è ben poca, mentre in Sicilia la reazione al potere mafioso è decisamente più energica.
Non mancano conferme di questo desolante fenomeno di noncuranza, o forse anche di adattamento forzato alla triste realtà. Qualcuna è impressionante. Un questionario cui hanno risposto oltre seimila ragazzi di scuole napoletane mostra che un adolescente su tre non ha alcuna fiducia nelle Forze dell’ordine e ritiene che la camorra non potrà essere mai sconfitta. Il 73% dei seimila sa bene chi sono Cutolo o Provenzano o Ciruzzo ’o milionario di Scampia (quello della faida con 58 assassinati), ma ignora i nomi di vittime come il giornalista napoletano Giancarlo Siani, il siciliano Peppino Impastato, e Don Peppino Diana sacerdote ammazzato in terra dei casalesi. Il 60% s’è ricordato chi era il giudice Falcone.
Altra conferma: l’Alto commissario anticorruzione, prefetto Achille Serra, indagando a Napoli su questioni di forniture sanitarie, ha dichiarato che sono estesi i contatti fra camorra e strutture pubbliche, e che bisogna “uscire dal sistema del massimo ribasso nelle gare d’appalto”. Urgenza che si sente ripetere ormai da decenni. Mai che qualcuno in Parlamento abbia preso l’iniziativa di cambiare le norme.
Ma ci sono conferme d’altro genere sul versante dell’autorità di governo.
Il prefetto di Napoli, Alessandro Pansa, quattordicesimo Commissario straordinario che non è riuscito a risolvere il problema rifiuti (il quindicesimo è stato Gianni De Gennaro) ed è accusato dalla Procura di falso ideologico connesso con la questione degli smaltimenti, a sua volta accusa la borghesia cittadina dichiarandola “in ritirata sull’Aventino con atteggiamento disfattista e rinunciatario” per la questione “monnezza”, e giunge a dichiarare la sua sorpresa per l’indisciplina generale in tema di circolazione stradale. Sorpresa? Bisognerebbe domandargli – ma nessun collega giornalista né alcun rappresentante del popolo s’azzarda – come si fa a ottenere disciplina in strade e piazze la cui superficie è inferiore a quella occorrente per ospitare gli 800mila veicoli che quotidianamente le invadono. E pretendono di muoversi nonché di sostare, purtroppo riuscendovi, e riuscendo così a soffocare la città in una morsa di ferro e di smog che non ha pari in Italia.
Il Prefetto non s’è mai posto il problema (che nessuna Amministrazione comunale nell’intera provincia riesce ad affrontare ormai da anni) di evitare una simile invasione assurda, inquinante, dispendiosa, dannosissima, benché a Napoli si possa constatare a occhio nudo che, per esempio, nessun mezzo (neanche le moto…!) della Polizia o dei CC o della GdF potrà mai giungere in tempo dove occorre, e tantomeno inseguire malviventi; e che ogni giorno ad ogni ora le ambulanze arrivano dove occorre con intere mezz’ore di ritardo e gli autisti si beccano pure sputi, insulti e mazzate, e lo stesso succede perfino ai Vigili del Fuoco, la cui sirena ha voglia di urlare, le auto non possono prendere il volo per farli passare.
A livelli meno alti, altri esempi, sempre purtroppo automobilistici: davanti a due commissariati di Polizia (in pieno centro, a Montecalvario in via Trinità delle Monache, in periferia a Bagnoli) c’è costantemente una fila a volte anche doppia di auto parcheggiate su strade anguste, in barba ad evidentissimi inutili divieti. Non solo nessuno evita questo bell’esempio di indisciplina, ma nessuno si cura del fatto che continuamente la circolazione si blocca in questi due punti nevralgici, a volte per ore, spesso anche di notte. Salvo qualche raro posto di blocco là dove c’è spazio, nessuno si sogna di fermare gli indisciplinati e delle quattro e delle due ruote.
Sfrecciano infatti ovunque i motorini dei teppisti minorenni e dei delinquenti maggiorenni, rigorosamente senza casco. Non lo metterebbero neanche se li multassero ogni giorno. Motivo molto semplice, spiegato da due che fermarono un motociclista in una stradina dei Quartieri Spagnoli, pieno centro, a pochi passi dalla questura. “Lèvati il casco” - intimarono precisando di non essere affatto poliziotti - “dobbiamo vedere in faccia chi viene da queste parti, se tieni il casco in testa è sicuro che muori…”
Non è che la città viva senza speranza. In un grande rione periferico di case popolari c’è stata una fiaccolata di silenziosa solidarietà per due giovani sacerdoti che erano stati aggrediti a ceffoni da padre, madre e sorella di un ragazzino che, a loro dire, era stato invitato con troppa energia a entrare nell’oratorio (350 giovanissimi iscritti) dove si svolgono giochi e attività di educazione civica e contro la violenza. Se, dopo la fiaccolata e l’eco sulla stampa, ci sia stato qualche intervento di tipo “sociale” nei confronti di una famiglia portatrice di questo tipo di educazione sentimentale, non è dato saperlo. Ma se ne può dubitare.
Nella malfamata Scampia con le sue ampie strade, con gli edifici piramidali e labirintici delle “Vele” che fanno un così bell’effetto nel film di cui sopra, sono centinaia di ragazzi che partecipano al laboratorio di teatro e recitazione elaborato dallo Stabile di Napoli “Mercadante” e affidato a Marco Martinelli del Teatro delle Albe di Ravenna, finanziato dalla Regione. Questo progetto che ha già prodotto tre spettacoli decisamente divertenti si chiama Arrevuoto, termine napoletano per scompiglio, soqquadro, metter tutto sottosopra.
Essendo già quasi tutto scompigliato, a soqquadro, sottosopra, al loro Arrevuoto spetta dunque di rimettere le cose a posto.
|