Si continuano a perpretare errori
giudiziari, anche madornali, senza
che il magistrato responsabile ne paghi
le conseguenze. Come potrebbero
cambiare le cose
In questi giorni, vent’anni dalla sua morte, sono state ricordate le vicende giudiziarie di Enzo Tortora, uno dei più clamorosi errori giudiziari.
Tortora attende ancora giustizia: ogni causa intentata presso il Tribunale civile di Roma e presso la Corte europea dei Diritti dell’uomo si è insabbiata in un mare di cavilli.
Nessun magistrato avrebbe ufficialmente sbagliato. Nessuno ha mai risposto, ad esempi alle accuse lanciate da Leonardo Sciascia: “Vorrei sapere se sia vero che l’accusa secondo cui Tortora usasse soldi raccolti per i terremotati è fatta da un anonimo; se sia vero che il mandato di cattura è stato spiccato per la denuncia di due pentiti; se sia vero che una decina di persone sono state arrestate nell’intento di trovarne una sola; se sia vero che duecento persone sono state arrestate per omonimia”.
Queste le domande di Sciascia alle quali non è stata mai data risposta.
Nell’attesa, nessun magistrato ha pagato in termini economici o di carriera. Cinque, addirittura ricoprono cariche di prestigio. Gli stessi cinque magistrati hanno querelato giornalisti e denunciato per diffamazione gli avvocati che avevano promosso una causa civile contro di loro.
Le ispezioni promosse dall’allora guardasigilli Vassalli non diedero alcun risultato e il Consiglio Superiore della Magistratura votò a maggioranza l’archiviazione di ogni accusa nei loro confronti.
Tra i pochi che si ribellarono, ci fu Giancarlo Caselli che parlò di “sciatteria” e “gravi omissioni” dei suoi colleghi.
Il referendum del 1987 vinto da coloro che votarono a favore della possibilità di punire i magistrati per cosiddetta “colpa grave”, è rimasto lettera morta. Da allora ad oggi i giudici puniti per “colpa grave” sono stati zero.
La battaglia per dimostrare che Tortora era innocente durò oltre tre anni. Divenne deputato per il partito Radicale, ma rinunciò all’immunità e fu condannato a dieci anni per reati di droga e per associazione per delinquere a scopo camorristico. La sentenza d’appello smontò l’impianto accusatorio. Tortora morì di cancro nel maggio del 1988.
Sul tema degli errori giudiziari abbiamo incentrato la consueta intervista all’avvocato Nino Marazzita.
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Perché fino ad oggi è rimasta lettera morta il referendum del 1987 sulla responsabilità dei giudici?
Nel 1987 è stato fatto un referendum sulla responsabilità civile del magistrato. Vuol dire che quando il magistrato sbaglia deve pagare.
L’elettorato si è espresso, se non mi sbaglio, all’87%, una percentuale enorme. Il Parlamento non ha mai tradotto in legge questa volontà popolare. Quindi è un Parlamento che rifiuta, come è obbligato a fare di prendere atto della volontà popolare che è la stessa che l’ha eletto.
Non avendo fatto questo, da allora si continuano a perpetrare gli errori giudiziari senza che il magistrato abbia mai un obbligo di risarcimento. Il medico può rovinare, uccidere o ledere gravemente un paziente, un avvocato può ledere gravemente un cittadino facendolo andare in carcere per incapacità o per sciatteria. Tutti pagano. Il magistrato può distruggere, come spesso capita, la vita di una persona ma senza pagarne le conseguenze. Ad avere la vita distrutta non è stato solo Tortora: ci sono diecimila “Tortora”, sicuramente migliaia e migliaia di persone.
La cosa drammatica di questo Paese è che il caso Tortora non è servito a niente; ha indignato tutti i cittadini, ma poi non è successo niente. La giustizia continua sulla falsariga di questa immunità totale dei magistrati.
Ritieni giusto che il magistrato che sbaglia per “colpa grave” debba essere punito in termini di carriera e debba risarcire di tasca propria le vittime dei suoi errori?
E’ quello che il referendum prevedeva. Risarcire il danno, come tutti gli esseri umani che sbagliano e che producono un danno. Poi in termini di carriera ci dovrebbe essere l’organo disciplinare del Csm, che in realtà si è distinto per la bonarietà nei confronti del magistrato.
E’ brutto dirlo, forse scenderò di tono, ma cane non morde cane. Mai ci fu principio più chiaro e netto di questo, che è il principio del Csm quando si trova a dover giudicare i magistrati. Basta consultare gli atti e si vede che magistrati che commettono fatti gravissimi, al massimo hanno una censura, o nei casi più gravi la perdita di carriera di qualche mese. Poi spesso lo ripagano in altro modo.
E’ difficile (se non impossibile...) provare la “colpa grave” di un magistrato?
Provare la “colpa grave” di un magistrato non è difficile, anzi è piuttosto facile. Ci sono gli atti del processo. Da questi si può constatare la “colpa grave”. Basti pensare a quel magistrato che ha impiegato otto anni per depositare una sentenza. Per fortuna il Csm (è di questi giorni) lo ha licenziato. Comunque quella era una “colpa grave”, tale appunto da far mandare il magistrato a casa, eliminarlo dal ruolo della magistratura.
Come si dovrebbe intervenire nei casi di conclamato errore doloso dei giudici?
Per l’errore doloso c’è il Codice Penale. Errore doloso significa corruzione, appropriazione indebita secondo il ruolo che esercita il magistrato.
Però, purtroppo, il magistrato non arriva quasi mai al processo, perché ha una rete protettiva, soprattutto se è iscritto - come lo sono il 90% dei magistrati - all’Associazione Nazionale Magistrati. Spesso commettono fatti gravi ma non in modo palese e vengono coperti dalla stessa magistratura. Questa è una constatazione che faccio da quando svolgo la mia professione, ed ormai sono tanti anni.
Bisognerebbe chiedersi perché avvengono gli errori giudiziari. Questi avvengono per un meccanismo che ormai è inceppato. Gli errori giudiziari sono sempre avvenuti, e sono avvenuti per il principio elementare che nessun essere umano è infallibile. Soltanto che, nel caso del meccanismo processale italiano, spesso alla fallibilità e alla possibilità dell’errore umano si aggiunge una testardaggine di qualche pubblico ministero che vuole ad ogni costo dimostrare una tesi. E lì magari c’è un errore di fondo: ha avuto una intuizione sbagliata, ma poi c’è la reiterazione diabolica di perseguire in un errore, continuare su quel filone e nello stesso tempo perseguitare un essere umano fino allo spasimo.
Uno dei motivi, per esempio, per cui ci sono gli errori giudiziari è che non c’è stata mai la separazione delle carriere. Il pubblico ministero è uno che fa l’accusa, ma poi sostanzialmente incide in un modo così evidente sulla decisione dei magistrati che dovrebbero essere terzi, prima il giudice istruttore, ora il giudice delle indagini preliminari, ma anche sui Tribunali, anche nelle Corti d’Assise, nelle Corti d’Assise d’Appello; influisce in un modo tale perché mezzo magistrato e mezzo avvocato dell’accusa. Una volta che il magistrato propone una tesi accusatoria , si propone come magistrato ad altri magistrati, con quel potere superiore che hanno rispetto alla difesa.
Il paradosso è che gli errori giudiziari secondo le statistiche dei ministeri dell’Interno e della Giustizia, sono aumentati; sono aumentati col cosiddetto nuovo processo che ha trasformato il rito da inquisitorio ad accusatorio.
Il rito accusatorio dovrebbe essere quello che garantisce di più l’equilibrio perché nasce dalla cosiddetta “cross examination” che è la dialettica tra accusa e difesa. Ma siccome l’accusa è sbilanciata rispetto alla difesa, l’avvocato vince perché è abituato a combattere partendo sempre da una posizione da handicap.
Penso che si sia abbassato il livello dei magistrati ma anche quello degli avvocati, però a questi ultimi bisogna dare il merito che spesso molti errori giudiziari li evitano perché sanno di partire da una posizione di svantaggio.
Quando noi parliamo di errori giudiziari pensiamo sempre al penale e pensiamo sempre che viene condannato un innocente. Questo è il fatto più intollerabile che accade. Da un po’ di anni a questa parte l’errore giudiziario, quando viene riconosciuto, comporta che il cittadino viene risarcito. Il legislatore non si è dimostrato, almeno in questi ultimi decenni, dalla parte del cittadino. Una volta il risarcimento non poteva superare i cento milioni di lire. Oggi, quando la magistratura accoglie le richieste di revisione, decide anche l’importo del risarcimento. Si comincia ad avere un criterio di equità più giusto, più accettabile. Molti errori giudiziari vengono ampiamente risarciti.
Ma spesso il danno non ha prezzo. Come, ad esempio, l’ultimo processo di revisione che ho fatto: un mio cliente, un geometra di Bari che è stato condannato a trenta anni, ne ha scontati undici e dopo, con prove nuove, si è riusciti a dimostrare la sua innocenza; comunque, anche se gli daranno un risarcimento miliardario, avendogli fatto fare undici anni di carcere, gli hanno distrutto la vita.
In poche parole, non si è riusciti a trovare un legislatore in questi ultimi decenni capace di snellire il processo, farlo diventare veloce. Il processo deve avere due scopi, quello di garantire i diritti dell’imputato e garantire i diritti delle parti offese. Il processo che abbiamo in questo momento è lentissimo fino alla nausea, non garantisce i diritti dell’imputato, non garantisce i diritti delle parti offese. Quindi ha fallito tutti gli obiettivi.
Il Parlamento dovrebbe iniziare un discorso serio sulla giustizia. Dare il giusto ruolo alla magistratura che è quello di interpretare ed applicare le leggi del Parlamento. Non fare continui bracci di ferro con il Parlamento su come si devono fare le leggi, quali sono giuste e quali no, e soprattutto è intollerabile che la magistratura si ponga come controllore etico della politica. Questo non è assolutamente accettabile. Quelli che lo fanno si propongono come progressisti e in realtà seguono una cultura più fascista o totalitaria. Non c’è nessun progressismo in tutto questo.
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Dodici milioni di euro
Era il 30 gennaio 1991 quando, in casa sua, fu arrestato Domenico Morrone. L’accusa: duplice omicidio. Ma è stato uno dei più macroscopici errori giudiiari del nostro Paese. Ed oggi, riconosciuto innocente anche perché al momento in cui veniva consumato il duplice delitto lui... era in cella. Ma i giudici, allora, non se ne accorsero. O forse non fecero neanche i dovuti accertamenti. Ora Morrone è libero e presenta il conto allo Stato italiano: dodici milioni di euro, il risarcimento più alto della storia giudiziaria italiana. E pensare che i testimoni a discarico, durante il processo non soltanto non furono creduti, ma addirittura incriminati per falso. E furono ignorate anche le dichiarazioni di alcuni pentiti che nel 1996 avevano svelato la trama di quel duplice omicidio: le vittime erano state ammazzate perché avevano osato scippare la madre di un boss della mala tarantina.
Questa era la verità e la verità poteva essere raggiunta con dieci anni di anticipo. E invece quelle dichiarazioni non furono prese in considerazione. E l’impianto accusatorio è rimasto in piedi fino al 2006. Per due volte la Cassazione annullò la condanna ma la Corte d’Appello non ammise l’errore e alla fine Morrone fu schiacciato da una pena definitiva di 21 anni. Non solo: per aver duramente criticato i magistrati e gli agenti che avevano trascurato i verbali dei pentiti, Morrone è stato processato di nuovo ed è stato condannato questa volta per calunnia, ad 1 anno e 8 mesi.
Ora finalmente la Cassazione ha cancellato quest’altra condanna, ma intanto il processo è ancora pendente in Corte d’Appello.
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I casi più clamorosi
Gigi Sabani (presentatore televisivo) Tredici giorni di arresti domiciliari con l’accusa di induzione alla prostituzione. Assolto. Ha ottenuto 24 milioni di lire.
Carmelo Cordaro (avvocato palermitano) Tre mesi di reclusione con l’accusa di associazione mafiosa. Assolto. Ha ottenuto un risarcimento di 400 milioni di lire.
Nicolò’ Nicolosi (assessore regionale siciliano) 38 giorni di carcere e 25 di arresti domiciliari con l’accusa di “voto di scambio”. Assolto. Ha ottenuto un risarcimento di 250 milioni di lire.
Mudir Kalisa Abade (immigrata somala) Sei mesi di carcere a Milano con l’accusa di traffico di minori. Assolta. Ha chiesto un miliardo di lire come risarcimento.
Vito Gamberale (ex amministratore delegato Sip) Quindici giorni di carcere e 4 mesi di arresti domiciliari con l’accusa di tentata concussione. Assolto. Ha chiesto un risarcimento di un miliardo di lire.
Daniele Barillà (imprenditore) Sette anni e mezzo con l’accusa di traffico di cocaina. Assolto in fase di revisione del processo. Ha ottenuto 250mila euro come provvisionale.
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