Le fiction imperniate sull’attività
di Polizia, Carabinieri (e ora anche Guardia Costiera)
sono molto popolari: anche se spesso
rappresentano una realtà piuttosto
edulcorata, che non coincide con quella quotidiana
Dinamismo, solerzia, prontezza nello scendere in campo contro il crimine. Questa l’immagine che emerge da uno studio sulle serie televisive in divisa. A produrlo l’Osservatorio sulla fiction italiana (Ofi) che conferma l’assoluto attaccamento dell’audience a questi prodotti. Che piacciano, quindi, è fuor di dubbio ma che abbiano attinenza con la realtà non c’è da scommetterci. Se non per le trame, infatti, queste storie eccedono nel tentativo di avvicinare il cittadino alle Istituzioni. E se alla finzione narrativa tutti prestano romanticamente attenzione, non è poi detto che nella quotidianità il cittadino si senta in sintonia coi tutori dell’ordine. Anzi.
Fin troppi fatti di cronaca dipingono un totale scollamento tra la narrazione e il vissuto reale, col rischio che la pellicola generi una sorta di frustrazione nel cittadino alle prese con la vita di tutti i giorni. A giudicare poi dalle molte reazioni, le fiction in divisa piacciono anche ai dipendenti delle Forze di polizia che, forse, ritrovano sul piccolo schermo ciò che invece il lavoro quotidiano non gli restituisce. Almeno in termini di stima e collaborazione coi cittadini. Certo, quel che colpisce, è che in taluni casi i personaggi del piccolo schermo possano influenzare la scelta di giovani sul vestire la divisa. Non a caso, all’indomani della prima serie de Il Maresciallo Rocca, le domande di ammissione nei Carabinieri aumentarono del 45%; Proietti - iscritto da tempi non sospetti (1990) all’Associazione nazionale Carabinieri venne nominato Maresciallo onorario dell’Arma e il regista otterrà la nomina di membro benemerito dell’Associazione.
Sceneggiati su poliziotti, carabinieri, ispettori, marescialli, commissari, generali e guardia costa hanno ormai invaso le nostre case e, secondo l’indagine Ofi, hanno occupato ben 125 prime serate solo sulle reti Rai, ottenendo anche il primato tra quelle più premiate dall’auditel. A tracciare il bilancio di questo rapporto positivo fu proprio il direttore di Rai Fiction Agostino Saccà che, nel corso della presentazione della ricerca Ofi su “L’immagine delle Istituzioni di sicurezza nella fiction italiana”, parlò di quei prodotti in termini entusiastici. Dello stesso avviso il vicedirettore della Polizia e i vertici di Carabinieri, Guardia di Finanza e Guardia Costiera che erano in sala.
Lo studio, a cura dell’Osservatorio sulla fiction italiana, analizza le numerose serie prodotte non solo dalla Rai (Commissario Montalbano, Maresciallo Rocca, La squadra e Gente di mare) ma anche da Mediaset (in particolare Distretto di Polizia e Carabinieri) per valutare l’impatto sul pubblico e i messaggi che riescono ad attraversare il piccolo schermo arrivando al cittadino. A giudicare dall’indagine, l’immagine percepita degli uomini delle Forze dell’ordine messi in scena nella fiction è all’insegna del coraggio, della dedizione, del senso del dovere, ma anche sinonimo di simpatia, disponibilità e una certa dose di bonarietà. Non ci si stupisce quindi se poi, navigando su Internet, si leggono invece commenti di questo genere: “Mi auguro che questa fiction non si sia rivelata un ennesimo, stucchevole tentativo di avvicinare le Forze dell’ordine alla gente, dipingendo intorno ad esse scenari di grande sensibilità e assoluta efficienza. Ieri per una pratica in caserma ho impiegato quattro ore, con un carabiniere che mi guardava in cagnesco. Consoliamoci, sulle fiction, col fatto che ormai il materiale per nuove storie sta inesorabilmente terminando. A meno che non decidano di sorprenderci con una mini serie ambientata nel difficile mondo degli ausiliari del traffico. Brrr”.
Eppure, secondo la sociologa Milly Buonanno dell’Ofi, i personaggi delle fiction televisive contribuirebbero davvero a “costruire e mantenere un legame di fiducia tra le Istituzioni e i cittadini”.
Più controverso, almeno secondo il parere di alcuni tecnici, il bilancio di una fiction dedicata al Capo dei Capi, reputata da taluni un buon prodotto ma di scarso valore in rapporto alla realtà. Dal punto di vista tecnico infatti è una pellicola piaciuta a tanti, ma a Michele Placido - decano delle storie televisive sulla mafia - è sembrato “un film fatto da falsari napoletani perché né Rai né Mediaset possono permettere che si vada in profondità”.
E lo stesso Marco Travaglio, attento osservatore delle vicende storiche del nostro Paese, ha osservato che in televisione “si racconta la lotta fra Stato e Antistato come in un film western: un lungo combattimento tra due eserciti contrapposti, ciascuno con i suoi caduti. Alla fine poliziotti e giudici da una parte, mafiosi dall’altra, appaiono come eroi, positivi o negativi, ma comunque eroi. Come i cow-boy e gli indiani. I buoni troppo buoni e i cattivi troppo cattivi rischiano di polarizzare l’attenzione, facendo perdere di vista il fondale su cui si muovono: un fondale complesso e tridimensionale, come tridimensionali sono lo Stato e l’Antistato. Che, nella realtà, non sono mondi nettamente separati, ma mescolati e intrecciati in mille complicità, opacità, zone grigie sul terreno del potere. Nelle ultime fiction, ma non nella vecchia e gloriosa Piovra, le liaisons fra la mafia e chi dovrebbe combatterla - politici, imprenditori, Forze dell’ordine, qualche giudice - non esistono. O non si vedono. O appaiono sfuocate”. Ecco perché poi molti telespettatori non amano le fiction: perché le trovano storie concilianti in cui poi tutto debba tornare in una sorta di distinzione manichea tra bene e male. Cosa che nella vita è ben lungi dall’accadere.
Precursore delle fiction in divisa fu senza dubbio Maurizio Merli, divenuto nel tempo icona del poliziesco all’italiana. Scomparso prematuramente, infatti, ha vestito per anni i panni del poliziotto in conflitto con la mala. Negli anni ’70, Merli divenne uno degli attori più noti del genere con film come Roma violenta, Roma a mano armata, Napoli violenta, Il cinico, l’infame, il violento e Da Corleone a Brooklyn. Alto, biondo, muscoloso e baffuto, Merli interpretava personaggi di poliziotti duri in rivolta contro l’ingiustizia e il lassismo della legge e dei magistrati. La sovrapposizione tra attore e personaggio portato sullo schermo fu, nel caso di Merli, tanto profonda da essere considerato il ‘commissario di ferro’ per antonomasia. Come non notare quindi l’analogia con personaggi come l’ispettore Salvo Montalbano, nato dalla penna del famoso scrittore Andrea Camilleri?
Montalbano, della Polizia di Stato, è il protagonista di una fortunata serie di romanzi e racconti pubblicati dallo scrittore siciliano per le case editrici Sellerio e Mondadori, caratterizzati dall’uso di un italiano fortemente contaminato da elementi della lingua e dell’ambientazione siciliana. Ma a dare notorietà a questo personaggio, così dipinto da Camilleri: “...in questo consisteva il suo privilegio e la sua maledizione di sbirro nato: cogliere, a pelle, a vento, a naso, l'anomalia, il dettaglio macari impercettibile che non quatrava con l'insieme, lo sfaglio (differenza) minimo rispetto all'ordine consueto e prevedibile”, non è stata solo la pagina stampata quanto piuttosto la tv. E l’interpretazione di Luca Zingaretti.
Tra i personaggi più noti delle fiction in divisa, un altro dal fare sicuramente più scanzonato del noto Montalbano: il maresciallo Rocca, portato sul piccolo schermo da Gigi Proietti. E’ il 1996 e sui televisori d’Italia sfreccia una macchina dei Carabinieri a sirene spiegate, ripresa da ogni angolazione possibile. Per la prima volta una trasmissione televisiva viene pubblicizzata con grandi cartelli pubblicitari sui muri delle città, delle metropolitane e sulle fiancate degli autobus: da essi ammicca un inedito Proietti in divisa. Un eroe del quotidiano - lo definiscono i trailers - e da allora il maresciallo maggiore Comandante della Stazione di Viterbo non è più uscito dalle nostre case.
Eppure le fiction non hanno solo prodotto audience e premi ma talvolta si sono rese promotrici, assieme alle Forze dell’ordine, di autentiche campagne di sensibilizzazione. E’ il caso degli spot per il sociale interpretati dagli attori de La Squadra. Dal 2003 la Rai ha infatti inaugurato una collaborazione con la Polizia di Stato per raccontare il sociale. Icona di questa iniziativa, proprio La Squadra. Gli interpreti della fiction sono stati protagonisti di spot televisivi volti a sensibilizzare il pubblico su temi come la prevenzione contro i botti illegali di Capodanno e le truffe organizzate nei confronti delle persone anziane. Mandati in onda su Rai Tre, sono stati davvero un esempio istruttivo di come si possa sfruttare l’impatto mediale per rendere i telespettatori più consapevoli. Ma non è tutto.
Sempre di Polizia si parla anche nella fiction Distretto di Polizia, che sembra -almeno nelle intenzioni del suo produttore, Pietro Valsecchi - mutuare le proprie storie dalla cronaca. Capita così che, in un episodio intitolato L’innocente - il primo con protagonista Massimo Dapporto - viene raccontata una storia terribilmente simile a un fatto di cronaca degli ultimi anni, di cui ancora oggi i tg riportano gli sviluppi. La storia di un bambino di tre anni, rapito al supermercato. La madre, corsa al Distretto, chiede aiuto, ed avverte il commissario che il piccolo è affetto da una grave forma di asma. Le ricerche, però, falliscono e il corpo del bimbo viene ritrovato in un bagagliaio. A fine episodio, si scopre non solo che il piccolo è morto subito dopo il rapimento, ma che tra gli organizzatori del rapimento c’è anche il fidato autista del padre.
La trama - vista l’analogia con la vicenda del piccolo Tommy (Tommaso Onofri di Parma) - ha scatenato i malumori di molti che hanno visto nell’iniziativa un tentativo di speculare su una storia di tragica attualità. E quindi su un blog leggiamo: “Capisco il voler avvicinare il pubblico con fatti di cronaca presi dai giornali, ma era necessario ispirarsi (se così è stato) ad un fatto di cronaca così recente e soprattutto così sentito dall’intera popolazione? Ed anche se fosse stata una semplice coincidenza, possibile che nessuno si sia reso conto delle analogie e non abbia proposto una sceneggiatura alternativa? Forse di fronte a certi episodi, sarebbe meglio lasciar passare la voglia di trasporli in tv, concedendo maggiore spazio al giusto dolore e al silenzio. Se la televisione, con la scusa di voler raccontare, sfrutta gli eventi, anche quelli più tristi, a favore del dio share, allora finiremo in un pericoloso circolo, in cui non ci renderemo più conto di quello che è vero o di quello che è inventato. Per non parlare dei protagonisti delle vicende, elevati a personaggi e inseguiti da tutte le trasmissioni di approfondimento, pur di mantenere vivo il circo. Un passo indietro, forse servirebbe quello, e un po’ più di attenzione verso quello che si racconta, se non si vuole che la ‘fame di notizie’ diventi ‘fame di rappresentazione’”.
Così se da un lato ci sono migliaia di spettatori patiti di fiction, ce ne sono altrettanti che - pur attratti dal prodotto - lo guardano con occhio più critico.
Ultima nata in ‘casa fiction’, la serie sulla Guardia Costiera, Gente di mare. Prendendo spunto dalla scottante attualità, le puntate raccontano i casi più diversi che impegnano quotidianamente la Guardia Costiera, dagli avvenimenti di grande rilievo come il dramma dei migranti che sbarcano sulle coste italiane, il saccheggio e la distruzione dei fondali causati dalla pesca illegale o il ritrovamento di importanti reperti archeologici.
Tutte storie, quindi, in salsa agrodolce in cui gli italiani continueranno a rifugiarsi al di là della realtà.
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