“Questo romanzo riprende in maniera assai libera l’ipotesi che William Shakespeare fosse Michel Agnolo Florio, messinese, già formulata in maniera compiuta da diversi studiosi. Tra di essi, un affettuoso ringraziamento rivolgo al compianto professor Martino Iuvara, autore dello studio intitolato Shakespeare era italiano, Edizioni Associazione Trinacria, 2002, Ispica”.
Questa premessa introduce al libro di Domenico Seminerio “Il manoscritto di Shakespeare” (Sellerio editore Palermo, pagg.342, ? 13). Una storia romanzata che parte, appunto, dalla tesi esposta sei anni fa da Martino Iuvara, professore di lettere nella scuola media di Ispica, in provincia di Ragusa, e si sviluppa poi liberamente inserendo nella vicenda servizi segreti britannici e boss mafiosi, in combutta e in antagonismo tra loro.
Il protagonista della vicenda è uno scrittore siciliano mediamente affermato, e il comprimario un anziano professore in pensione, Gregorio Perdepane, che gli propone una trama autentica, una autentica “bomba”, poggiata sulla prova autentica sulla vera identità di Shakespeare. E qui viene messa in primo piano, anche per motivi temporali, Michel Angelo Florio, autore di un libretto di aforismi, “I secondi frutti”, che Perdepane, subito dopo la guerra, ha trovato per caso a Messina, e poi (nomen omen) ha perso.
Ma nel frattempo il professore ha assistito a una rappresentazione dell’“Amleto”, ha riconosciuto le citazioni dal libretto, ha scoperto che il testo era stato stampato a Londra con la traduzione in inglese, nel 1591 firmato da John Florio, mentre l’”Amleto” è del 1601. La traccia che si delinea è quella dei Florio, Michel Angelo e John, autori delle opere del Bardo, ma gli avvenimenti si infittiscono e si intrecciano. Anzitutto c’è una prova, anzi la Prova che fa da garante alla ricostruzione di Perdepane. “Sarebbe restato nella storia come colui che scoprì la vera identità del Bardo! Il suo nome su tutti i libri nei secoli dei secoli! Pure le strade e le piazze gli avrebbero intitolato. E invece niente, niente”. Sì, perché la Prova gli viene misteriosamente trafugata, e intanto entra in scena un certo don Giovannino che la sa lunga, forse troppo lunga.
Il romanzo va avanti, con sullo sfondo uno Shakespeare-Florio che sembra meditare se farne una commedia o una tragedia, in un clima poliziesco così suggestivamente siculo che Seminerio si concede un’allusione al commissario Montalbano (tra conterranei…), e, con isolana ironica benevolenza, consente al suo personaggio – non Perdepane, lo scrittore – una fuggevole parentesi erotica.
La fine della storia, è, per così dire, a coda di pesce: affascinante da leggere, ma difficile da raccontare.
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