Nell’aprile scorso è stato affidato
ai servizi sociali Gianni Guido che, insieme
a due amici oltre trentatre anni
addietro, massacrò Rosaria Lopez e ferì
gravemente Donatella Colasanti dopo
averle violentate e seviziate. Ripercorriamo
la storia dei tre ragazzi della “Roma bene”
e delle loro malefatte
“L’ho pagata cara, ma è giusto che sia così. Gli errori si pagano e questo mi ha insegnato il carcere... Ho sciupato la mia giovinezza, gli anni migliori della mia vita”. Queste le parole che i cronisti hanno raccolto dalla bocca di Gianni Guido, uno degli assassini del Circeo.
Oggi Guido ha 52 anni e da quei giorni terribili ne sono passati 33.
Dall’aprile scorso è stato affidato ai servizi sociali, dal momento che il termine della sua pena scadrà nell’agosto del prossimo anno.
Rifacciamo un po’ la storia del delitto. Mercoledì primo ottobre 1975: da un’auto parcheggiata in viale Pola a Roma, giungono, provenienti dal portabagagli, strani rumori e flebili lamenti. Qualcuno avverte i Carabinieri. Quando si riesce a forzare il portabagagli la scena che si presenta è degna di un film dell’orrore: tra teli e coperte spuntano due mani e un volto che è una maschera di sangue. E’ il corpo nudo di una ragazza che farfuglia parole senza senso. Accando a lei il cadavere di un’altra donna.
La ragazza ancora in vita si chiama Donatella Colasanti, diciassette anni; accanto il cadavere della sua amica Rosaria Lopez di venti anni. Le due ragazze erano scomparse di casa 36 ore prima. Quando uscirono dalle loro case avevano detto ai genitori che andavano ad una festa di amici.
Donatella era abituata a rientrare in casa mai dopo le venti. Per questo i genitori, non vedendola, si allarmarono non poco. Poi, alle 22, il papà Mario va al commissariato di Polizia e denuncia la scomparsa della ragazza. Verso le quattro del mattino un giornalista telefona in casa Colasanti e chiede se può passare a ritirare una foto di Donatella, senza aggiungere altro.
Rosaria Lopez abita anche essa, come Donatella, nel quartiere popolare della Montagnola a Roma. Lei insegue un sogno: vuole fare l’attrice magari di fumetti. Vorrebbe uscire dalla triste realtà di quel quartiere ultrapopolare dove abita. Sogna di conoscere ragazzi diversi, che provengano da altre zone, che siano disposti a portarla magari in un cinema di prima visione o in locali più decenti di quelli che si trovano in periferia.
Ventiquattr’ore prima del dramma le due ragazze incontrano tre giovani pariolini, i “bravi ragazzi” che pascolano in genere nei pressi di piazza Euclide a Roma. Le loro preferenze politiche si indirizzano verso il fascismo, ma riveduto alla luce delle loro situazioni sociali. Sono sempre vegamente annoiati e un po’ strafottenti. Invitano le ragazze per il giorno dopo ad una festa in casa di amici (dicono). I tre ragazzi sono Gianni Guido, Andrea Ghira, Angelo Izzo. Tutti e tre erano stati coinvolti, qualche tempo prima, in un caso di stupro, ma ne erano usciti indenni.
E si arriva, così, al giorno dell’appuntamentoo davanti ad un cinema dei Parioli. Sono solo due: manca Ghira. In realtà la macchina si dirige non proprio a Lavinio ma un poì più a nord. Alle ragazze che chiedono spiegazioni, viene detto che sono attesi tutti in una villa del Circeo.
Si arriva e si comincia a ballare nel grande salone a pianterreno. Qualcosa però cambia. Da gentili e “corretti” i ragazzi diventano un po’ aggressivi e vogliono arrivare subito al dunque. Donatella racconterà poi che uno di loro ad un certo punto tirò fuori una pistola e rivelò che loro tre appartenevano alla “banda dei marsigliesi”.
Donatella e Rosaria cercano di tergiversare, di farli ragionare, ma tutto è inutile. Le due ragazze vengono rinchiuse - in attesa che cambino idea - nel bagno. Esse comprendono in quel momento di aver commesso un errore fatale nell’accettare l’invito dei ragazzi. I “pariolini” per bene, i bravi ragazzi che avevano conosciuto di fronte ad un cinema e che fecero balenare davanti ai loro occhi un futuro diverso rispetto alla mediocrità della vita di borgata, ebbene questi figuri sono due violenti, due criminali armati e assetati di sesso.
Chiuse le ragazze nel bagno, uno dei due - Gianni - se ne va a dormire. L’altro, Angelo, resta di guardia davanti alla stanza. Dopo un poco fa uscire Rosaria e la obbligò a spogliarsi. Poi tocca a Donatella. Ma ecco arrivare Andrea Ghira (che si fa passare per Jacques Berenger, del clan dei marsigliesi). E cominciano le violenze inaudite sulle due ragazze. Donatella e Rosaria passano ore ed ore in balia dei tre aguzzini che infieriscono su di loro anche con percosse di bestiale violenza.
E’ il momento della soluzione finale. I tre stupratori certo non possono lasciare in vita le due ragazze. Rosaria sarà la prima a morire; poi, secondo il piano dei tre, deve toccare a Donatella. Rosaria non morirà subito. Tutti e tre i ragazzi debbono “collaborare” all’impresa: prima affogheranno la ragazza nella vasca da bagno e poi la colpiranno ripetutamente al capo fino ad ucciderla. Ora bisogna “disfarsi” anche di Donatella. E’ Gianni Guido ad agire per primo: Donatella non muore.
Angelo Izzo dirà al processo che “non ce la facevano più”. Sono ormai le nove della sera e Donatella ridotta allo stremo delle forze e ferita gravemente al capo e in tutto il corpo non sembra dare segni di vita: uno dei ragazzi esclama: “Anche questa è morta”.
Ed ecco iniziare il rito del caricamento delle due vittime nel portabagagli della macchina, la 127 usata per il viaggio di andata al Circeo. L’idea è quella di portare la macchina a Roma dove rintracciare degli amici che avrebbero dato un aiuto a far sparire i corpi. Gianni Ghira si mette al volante, gli altri due seguono su un’altra vettura. L’epilogo lo abbiamo accennato all’inizio di questa narrazione.
E parte la caccia agli assassini. Ci vuole ben poco per verificare il nome dell’intestatario della Fiat 127: si chiama Raffaele Guido ed abita nei pressi di viale Pola, in via Capodistria. Le indagini, per un certo verso, sono piuttosto facilitate: dal nome di Guido si risale al gruppo di violenti fascistelli tra i quali fanno spicco Andrea Ghira, Angelo Izzo, Gianluca Sonnino, Maurizio Maggio, Giampiero Parboni-Arquati, tutti sui vent’anni e tutti conosciuti come “picchiatori” del Fronte della Gioventù. Vengono tutti, scolasticamente parlando, dall’Istituto San Leone Magno di via Nomentana angolo via Santa Costanza, una delle scuole più esclusive della Capitale retta da religiosi. Solo Ghira proviene dal Liceo Ginnasio Giulio Cesare.
In poche ore le Forze dell’ordine pescano tutti, ad eccezione di Ghira che si è volatilizzato; si disse allora che era in Argentina o forse in Brasile.
Un anno dopo i fatti, siamo nel luglio 1976, inizia il processo in Corte d’Assise a Latina; sul banco degli imputati solo Izzo e Guido. I capi d’accusa sono: omicidi volontario, tentato omicidio, ratto a fine di libidine, violenza carnale continuata, detenzione di arma da fuoco.
Il processo va avanti per un mese, con la difesa impegnata a screditare la deposizione di Donatella Colasanti, la superstite. La sentenza arriva dopo sette ore di camera di consiglio: Izzo, Guido e Ghira (latitante) vengono condannati all’ergastolo.
Il 27 ottobre 1980, il processo d’appello, al termine di otto ore di camera di consiglio, conferma l’ergastolo per Andrea Ghira, sempre latitante, e per Angelo Izzo, e cambia la pena per Gianni Guido dall’ergastolo a 30 anni (più 3 di libertà vigilata). Nella decisione pesa la rinuncia dei familiari di Rosaria Lopez a costituirsi in giudizio parte civile dopo aver accettato cento milioni dalla famiglia di Guido a titolo di risarcimento. Nel settembre 1983, la Suprema Corte di Cassazione, respingendo i ricorsi di Ghira, Guido e Izzo, conferma le pene.
Nelle more dei tre procedimenti c’è da registrare la fuga di Guido dal carcere di San Gimignano (gennaio 1981); per questa fuga saranno imputati alcuni dipendenti del carcere e i genitori di Ghira. Il 28 gennaio 1983 però il giovane Guido viene arrestato a Buenos Aires: vendeva a automobili sotto il nome di Mariani. Mentre è ricoverato in un ospedale della capitale argentina (si è ferito durante un tentativo di evasione) e in attesa di estradizione, riesce a fuggire. Negli anni Ottanta si trasferisce in Inghilterra, a Londra, grazie all’aiuto di alcuni “camerati”. Cambia continuamente nome: diviene Mirko Elise, Sergio Balzanelli. Va in Sudafrica e poi in Kenia.
Nel 1986 viene scoperto e sventato un piano di fuga di Angelo Izzo. Nel 1993 lo stesso Izzo riesce ad evadere dal carcere di Alessandria dove è stato trasferito. Verrà arrestato in Francia il 15 settembre dello stesso anno.
Nel 1994 Guido viene arrestato nella Repubblica di Panama ed estradato in Italia. Izzo, dal suo canto, a partire dal suo secondo arresto diventa un pentito e fà rivelazioni più o meno fantasiose.
Confessa di aver assassinato, nel giugno del 1975, Amilcare Di Benedetto, perché aveva fatto sparire il bottino di una rapina che avevano commesso insieme. (Fino ad allora Di Benedetto, il cui corpo Izzo avrebbe gettato in mare al largo di Riccione, risulta ufficialmente scomparso da una casa famiglia il primo febbraio 1975). Secondo Izzo esisteva, all’interno della struttura di Avanguardia Nazionale, un gruppo ristretto chiamato “Uova del drago”, di cui Ghira faceva parte, aveva in dotazione un arsenale per preparare un colpo di Stato. Izzo accusa tra l’altro Ghira dell’uccisione di Giorgiana Masi il 12 maggio 1977. Molte delle accuse di Izzo non troveranno alcun riscontro: ad esempio la “rivelazione” secondo cui Salvo Lima era il mandante dell’omicidio Mattarella, per cui Izzo indicò come esecutori i neofascisti Fioravanti e Cavallini (scagionati da altri pentiti di mafia).
Anche Gianni Guido, dopo l’estradizione nel 1994, comincia a fare rivelazioni sulla strage di Brescia. Dice di aver sentito Buzzi vantarsi della strage di piazza della Loggia, che avrebbe compiuto insieme al gruppo milanese di Fumagalli.
Izzo ottiene il regime di semilibertà nel 2001. Ma nel maggio 2005 viene indagato per omicidio volontario, dopo aver ammesso di aver ucciso ancora ad aprile, nei pressi di Campobasso, Maria Carmela Limucciano di 57 anni e la figlia Valentina (14 anni), moglie e figlia del collaboratore di giustizia Giovanni Maiorano, condannato all’ergastolo per aver ucciso un coetaneo della figlia. Le ha uccise, sepolte e avvolte in un sacco di plastica. Sono state ritrovate nel giardino di una villetta vicino Campobasso dove Izzo viveva da sei mesi. Dirà che Maria Carmela era la sua amante e di averla uccisa perché “opprimente”. Dirà ancora: “Mi è venuta così, è stata una cosa improvvisa”. In realtà poi emerge una pista legata ad una eredità della donna.
Nell’ottobre del 2005 i giornali danno notizia che Ghira sarebbe morto e seppellito in Spagna; infatti pochi giorni dopo la Polizia spagnola dichiara di aver trovato nel cimitero du Melilla (enclave spagnola del Marocco) il cadavere di Andrea Ghira morto nel 1994. Il nome che figurava sulla tomba è quello di Massimo Testa De Andres che Ghira avrebbe usato già nel passato. In particolare nel 1980 era stato fermato per possesso di stupefacenti e segnalato all’Interpol. Nel 1982, secondo un funzionario di Polizia spagnolo, Massimo Testa era stato fermato alla guida di un’auto rubata. Anche allora il nominativo fu segnalato all’Interpol e alle autorità italiane.
La Procura di Roma chiede l’esumazione della salma. Il 14 novembre 2005 viene esumata la salma, alla presenza degli investigatori italiani, che prelevano un femore per analizzare il Dna a Roma. Nella bara il cadavere è ancora affiancato dalla siringa che aveva procurato l’overdose nel settembre del 1994. Il 26 novembre 2005 l’esame del Dna conferma l’identità di Ghira.
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Quanti anni per cambiare!
Il processo per i fatti del Circeo, probabilmente, ha avuto un merito particolare perché ha sensibilizzato l’opinione pubblica (e il legislatore) su un reato gravissimo: quello della violenza carnale che, era considerato come “delitto contro l’onore sessuale”. Si aprì un dibattito, una vera e propria battaglia che si concluse dopo una decina di anni: la violenza sessuale fu considerata come delitto contro la persona”.
Noi avvocati, che come Parte Civile partecipavamo ai processi, abbiamo ritenuto - lo ripeto - che il processo per i fatti del Circeo fosse un “apripista” per discutere sul reato di violenza carnale. Sì, l’inizio si ebbe con il processo ai tre imputati celebrato al Tribunale di Latina, dove sia io che gli altri colleghi di Parte Civile, avemmo l’impressione di una sorta di... “comprensione” per gli imputati.
Quel processo, dunque, fece capire quali danni gravissimi subisce un essere umano per effetto della violenza sessuale. Quanti anni ci sono voluti per arrivare a questo! Ed ancora oggi c’è chi ritiene che si debba avere una certa comprensione nei confronti di chi commette questo tipo di violenza.
Debbo aggiungere che quel processo del Circeo si può considerare anche come un “processo politico”, oltre a quello più propriamente giudiziario? E questo perché quei tre “pariolini”, tutti borghesi e di sentimenti fascisti, ritenevano che le ragazze del popolo fossero merce da utilizzare come meglio credevano.
Avv. Nino Marazzita
FOTO: Il cadavere di Rosaria Lopez estratto dal baule della Fiat 127
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