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Luglio/2008 - Articoli e Inchieste
Lavoro
Lo stress nelle Forze di polizia
di Marco Cannavicci - Psichiatra-Criminologo

Lo sviluppo dei disturbi psicologici, dovuti
agli aspetti negativi del lavoro che deve
svolgere, in genere è accompagnato
alla repressione degli stessi, in conformità
dell’immagine che ogni poliziotto vorrebbe
dare di sé. I rimedi consistono in forme
di prevenzione e in un periodico
monitoraggio per tutta la durata del servizio

Tutti gli studi che sono stati pubblicati a livello internazionale dal 1980 in poi sono concordi nel definire le attività svolte dalle Forze di polizia come altamente stressanti. Lo stress correlato all’attività di Polizia non necessariamente è per tutti connotato da una valenza negativa in quanto molti operatori di Polizia hanno affermato, nel corso di queste ricerche, che l’impegno e lo sforzo correlato alla pericolosità del lavoro è definibile come soddisfacente ed appagante.
Gli aspetti positivi che emergono risultano essere il contatto diretto con i cittadini, il fatto di lavorare nell’ambito sociale, le funzioni di aiuto e di utilità per la società, la cooperazione con i colleghi, la libertà e la responsabilità del lavoro. Gli aspetti negativi citati sono stati invece gli orari di lavoro non adeguati, gli stereotipi negativi di una parte della popolazione sulla Polizia, lo stipendio non adeguato all’impegno, i rapporti spesso difficili con gli amministratori pubblici, i politici e gli avvocati. Le ricerche dimostrano che quando sono presenti gli aspetti negativi questi coprono e sopravanzano di gran lunga quelli positivi e questo rende il lavoro del poliziotto ad alto rischio di stress lavorativo, le cui conseguenze sono rappresentate dagli alti tassi di divorzio, di alcolismo, di problemi della salute fisica e psichica ed infine, di suicidio.
Oltre ai citati aspetti di stress cronico e logorante possono subentrare gli eventi traumatici e stressanti di tipo acuto, connessi con esperienze traumatiche vissute sul lavoro, che possono causare disturbi psicologici fino alla grave forma del Disturbo Post-Traumatico da Stress (Dpts).
Alcuni autori hanno definito ed illustrato anche un altro tipo di disturbo psicologico, peculiare delle Forze di polizia, detto Stress Traumatico Secondario (Sts), connesso con le attività di aiuto o tentativo di aiuto nei confronti di persone traumatizzate o sofferenti. La differenza tra i due tipi di disturbi consiste nel fatto che se un poliziotto assiste, durante una sparatoria, alla morte di una persona o di un collega è Dpts, mentre se deve riferire ad un familiare della morte di un proprio congiunto ed empatizza con la sofferenza prodotta dalla notizia è un Sts.
In entrambe le situazioni si possono strutturare dei disturbi che, nei tempi lunghi delle esposizioni croniche, possono condurre alla depressione, all’ansia, ai disturbi del sonno, alla rabbia cronica, ai sensi di colpa, alla compromissione delle abilità possedute per far fronte ai problemi ed alle difficoltà quotidiane. In modo particolare a creare problemi connessi con il servizio è la rabbia cronica, in grado di provocare delle condotte aggressive ed ostili compatibili con il facile coinvolgimento in azioni violente ed una maggiore propensione all’uso delle armi.
C’è da aggiungere che lo sviluppo dei disturbi psicologici nel poliziotto in genere è accompagnato alla repressione degli stessi in conformità con l’immagine che ogni poliziotto vorrebbe dare di sé, vale a dire di persona sicura, equilibrata, serena e con le emozioni sotto controllo. Tale repressione non produce altra risposta che un ulteriore rinforzo dei disturbi in una situazione a spirale di crescente disagio e repressione fino ad un fatale punto di rottura in cui il disagio esplode con atti violenti, auto od eteroaggressivi che molto spesso vengono letti sulle pagine della cronaca nera.
Non riconoscendo e quindi trattando i sintomi iniziali del disagio psicologico, rappresentati dalla facilità all’assenza dal lavoro, dalla facile irritabilità, alla difficoltà di concentrazione, ai disturbi del sonno, al senso di fatica generalizzato ed altri disturbi psicosomatici, si arriva nel lungo termine ad eventi più gravi quali le dimissioni dal lavoro per malattia, il divorzio, la depressione ed il suicidio.
Al riguardo del suicidio c’è da dire che tutte le indagini condotte a livello internazionale collocano il poliziotto nelle categorie lavorative più a rischio di condotte suicidiarie, insieme con gli avvocati ed i medici, esprimendo dei tassi percentuali di suicidio più elevati rispetto alla media generale della popolazione civile.
L’analisi dei casi permette di evincere che il mezzo usato per uccidersi è quasi sempre la pistola di ordinanza, che l’atto avviene in genere di notte o alle prime luci dell’alba, in evidenti condizioni di solitudine, di sofferenza o di disperazione, senza peraltro quasi mai lasciare dei messaggi o delle lettere di addio. Gli studi offrono delle spiegazioni patogenetiche da ricercare nel rapporto continuo con la violenza, la sofferenza e la morte, la convivenza forzata con i colleghi in presenza di un forte senso di solitudine interiore, la perdita delle proprie sicurezze e le delusioni affettive o sentimentali. Ogni atto di suicidio di un poliziotto lascia pesanti conseguenze psicologiche nei colleghi e nei superiori che lo conoscevano per cui è altamente indicato, in queste circostanze, fornire supporto psicologico ed emotivo ai colleghi e conoscenti del suicida.
Tornando ad affrontare il discorso sullo stress e le fonti di stress un’altra delle informazioni che si evincono dagli studi effettuati è che queste sono correlate alla tipologia del lavoro e della mansione svolta. Ad esempio si è visto che i poliziotti che si occupano di traffico e di incidenti (come la Stradale) sono più vulnerabili dei colleghi che si occupano di altre mansioni. Il massimo dell’incidenza dello stress e dei disturbi psicologici è stato osservato negli agenti che lavorano o hanno lavorato come infiltrati nelle varie organizzazioni criminali o terroristiche.
Nella tabella a fondo pagina sono riportati, secondo uno studio condotto da Patterson nel 2001, le maggiori categorie di eventi stressanti che sono correlate con l’attività di un poliziotto.
Tuttavia se mettiamo insieme tutti gli studi pubblicati in argomento, una analisi compilativa di questi individua due grandi categorie di stressors lavorativi in Polizia: gli stressors collegati al contenuto del lavoro e gli stressors collegati al contesto del lavoro (vedi tabella in alto). Negli studi presi in considerazione non viene effettuata alcuna suddivisione tra stress acuti, come gli eventi improvvisi che generano una immediata ed intensa risposta emotiva, come gli incidenti, la morte e la violenza, e gli stress cronici, che generano una risposta emotiva non intensa, ma prolungata nel tempo, come i controlli, le verifiche e le supervisioni.
1. stressors legati al contenuto del lavoro – si tratta di eventi stressanti legati alle situazioni di particolare impegno emotivo come informare i parenti di un deceduto, l’affrontare gli incidenti, gli abusi, le violenze, lo sconosciuto, il pericolo, la violenza.
2. stressors legati al contesto del lavoro – riguardano il contesto lavorativo dal punto di vista organizzativo, amministrativo, dirigenziale, come le limitate possibilità di carriera, la mancanza di supporto, lo stile di direzione non adeguato, le relazioni interpersonali insoddisfacenti.
Alcuni autori aggiungo a questi fattori di stress anche delle condizioni in cui viene percepita dal poliziotto una scarsa efficacia della Polizia. Nelle condizioni di percepita scarsa efficacia della Polizia ricordiamo la mancanza di soluzioni strutturali (politiche) nei confronti del crimine, il trattamento degli effetti del crimine e non delle sue cause, gli atteggiamenti negativi dei cittadini nei confronti della Polizia, l’inadeguata punizione dei crimini e l’incertezza della pena.
E’ possibile quindi affermare con certezza che il lavorare nelle Forze di polizia espone l’agente a situazioni ed eventi stressanti che si riflettono in modo negativo sulla vita affettiva, familiare, sociale, fino a modificare lo stile di vita e provocare un disagio psicologico in grado di manifestarsi come conclamato disturbo psichiatrico.
Non necessariamente l’esposizione allo stress acuto e cronico è in grado, da solo, a provocare gli effetti psicopatologici. Si citano molti esempi in cui due o più poliziotti sono stati esposti contemporaneamente ad un evento stressante, come un attacco terroristico, un disastro naturale o una sparatoria con morti e feriti. Non tutti gli agenti esposti svilupperanno una condizione assimilabile al Disturbo Post-Traumatico da Stress.
Questo significa che la reazione post-traumatica richiede la presenza di un fattore oggettivo, come il trauma esterno, ed un fattore soggettivo, come il significato attribuito all’evento e le strategie di coping utilizzate per affrontarlo ed elaborarlo. E' importante quindi considerare come viene percepita la fonte di stress dal poliziotto, poiché sarà questa ad innescare il meccanismo post-traumatico, e quindi i sintomi correlati, oppure al contrario ad innescare un processo di crescita personale e psicologica con incremento dell'autostima e dell'immagine di sè. Che i fattori individuali siano fondamentali per una corretta elaborazione dei fattori di stress lo dimostra l'evidenza che quanto più il poliziotto è avanti con l'età e quindi può vantare di una buona anzianità di servizio, tanto più difficilmente si svilupperanno i sintomi correlati allo stress acuto o cronico. Con il tempo e l'anzianità di servizio vengono sviluppate delle migliori capacità di coping rispetto allo stress e si acquisisce quella capacità di rispondere ai traumi psichici in modo positivo, nota come resilienza.
E' possibile già in fase di selezione del personale valutare la presenza, nella personalità del candidato ad entrare nelle Forze di polizia, di adeguate strategie di coping. Queste strategie vengono suddivise in strategie di adattamento, che consentono un superamento positivo dello stress, e di disadattamento, che non consentono un superamento dello stress ed aprono la strada ai disturbi dello spettro post-traumatico. Nella tabella in basso sono suddivise alcune strategie di coping, osservate nel personale di Polizia, come adattative e disadattative.
Le ricerche effettuate negli ultimi anni hanno dimostrato che i poliziotti con strategie di coping di tipo disadattativo tendono a manifestare, sotto stress cronico, disturbi depressivi oppure abusare in tabacco ed alcolici e manifestare innumerevoli disturbi di tipo psicosomatico. Depressione, tabacco, alcol e disturbi somatoformi che si incrementano quanto più il poliziotto tende a tenere il suo disagio compresso dentro di sé e non parlarne con nessuno. Parlare delle proprie emozioni e cercare adeguato supporto sociale aiuta invece a prevenire i disturbi correlati allo stress cronico. Ed anche un corretto uso del tempo libero (interessi personali, sport, amicizie...) ha un positivo effetto sul benessere psicologico del personale, migliorando l'umore e riducendo i livelli elevati di stress accumulato durante il servizio.
Altre ricerche, effettuate in ambito internazionale, correlano l'attività nelle Forze di polizia con l'assunzione di elevate dosi di alcol. Negli Usa ad esempio i tassi di abuso di alcol nelle Forze di polizia sono doppi rispetto a quelli presenti nella popolazione generale. Negli Usa e nei Paesi anglosassoni il bere è un dato culturale insito nella modalità di fare gruppo nei maschi. Il bere alla fine di un turno con i colleghi del proprio gruppo è un abituale rituale sia negli Stati Uniti che in Inghilterra ed è finalizzato a cementare il gruppo in uno stile di tipo cameratesco. In ogni caso assumere alcol per alleviare una condizione di disagio psicologico o di stress cronico è considerata una modalità di coping di tipo disadattativo.
I confronti con la popolazione generale rivelano inoltre, sempre negli USA e nei Paesi anglosassoni, un tasso di consumo di tabacco più elevato nelle Forze di polizia rispetto alla popolazione generale. La percentuale si innalza ulteriormente con l'età del poliziotto ed ulteriori studi, effettuati in Australia, riportano che i decessi per tumore al polmone indotto dal fumo sono superiori nei poliziotti rispetto alla popolazione generale.
Una volta affermato e definito il ruolo che lo stress acuto e cronico ha nel personale di Polizia nel generare disturbi psichici, fisici e familiari, ci si chiede quali possano essere i rimedi o i provvedimenti per ridurre l'impatto e gli effetti cronici dello stress lavorativo. Ogni forma di prevenzione di disturbo o malattia professionale prende l'avvio già nella fase di selezione e formazione del personale. Nella fase di selezione, accanto alla ricerca dei disturbi psichici e delle adeguate attitudini lavorative, è necessario valutare anche la presenza di stili di coping di tipo adattativo e nella fase di formazione è necessario fornire, accanto agli strumenti professionali investigativi e di giurisprudenza, anche un training sulla gestione delle emozioni e dello stress, considerando che per tutta la sua vita lavorativa il poliziotto dovrà continuamente fare i conti con la loro presenza.
Tuttavia tutto questo non dovrà essere limitato solo all'incorporamento ed alla formazione, ma dovrà essere proseguito, come monitoraggio periodico del livello di stress accumulato e come aggiornamento continuo sulla gestione delle emozioni e della tensione nervosa, per tutta la durata del servizio attivo del poliziotto.
In una pubblicazione comparsa nel 2001 il dr. Giovanni Cuomo, psichiatra, attuale Direttore centrale del Servizio di Sanità della Polizia di Stato, già teorizzava l'importanza dei controlli clinici periodi del personale di Polizia estesi anche alla componente psichica soprattutto in occasione del manifestarsi di chiari segni di stress (come ad esempio i malesseri ricorrenti, l'insonnia, l'assenteismo, il disinteresse verso il lavoro, la perdita di sentimenti positivi verso i colleghi, il cinismo, la rigidità di pensiero e di comportamento, la tendenza all'irritabilità ed all'aggressività).
Fra gli interventi preventivi che maggiormente hanno riscosso successo, a livello internazionale, c'è da ricordare la tecnica del debriefing nell'ambito di una psicoeducazione del personale alla gestione delle emozioni e dello stress. Tale tecnica è routinariamente utilizzata ad esempio in ambito aeronautico dopo ogni tipo di incidente sul personale che ne è stato coinvolto. In questo caso l'intervento prende il nome di Critical Incident Stress Debriefing ed ha lo scopo di fornire aiuto ed assistenza psicologica subito dopo un evento critico in modo da prevenire la comparsa e l'evoluzione verso disturbi di tipo psicopatologico. Naturalmente l'applicazione del debriefing di tipo psicologico, in caso di evento critico o incidente, non deve essere subordinato o limitato dalla parallela e concomitante effettuazione di indagini di tipo disciplinare o giudiziario.
(cannavicci@iol.it)
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Categorie di stressors
nella vita di un poliziotto (Patterson, 2001)

1. Eventi stressanti esterni all’organizzazione della Polizia – come le attività complesse del sistema giudiziario, certe forme di indulgenza nei confronti dei criminali, la cattiva immagine della polizia in alcuni settori della società.

2. Eventi stressanti interni, connessi all’organizzazione della Polizia – come la mancanza di adeguato supporto e training formativo, di adeguato equipaggiamento e supervisione, uno stipendio ritenuto non adeguato, la mancanza di prospettive di carriera, le turnazioni non regolate in modo equo nel personale.

3. Eventi stressanti legati alla mansione – come ad esempio il sovraccarico di lavoro, i conflitti di ruolo, la cattiva organizzazione dei turni, delle mansioni e dei carichi di lavoro.

4. Eventi stressanti individuali, non legati all’ambiente lavorativo – come i conflitti familiari, le malattie dei congiunti od i lutti familiari.
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Le fonti di stress

1. stressors legati al contenuto del lavoro
- le aggressioni subite
- l’uccisione ed il ferimento di terzi
- le situazioni a rischio di morte
- il suicidio di un collega
- le malattie trasmissibili
(epatite B, Hiv)
- i sequestri, la presa di ostaggi
ed i barricamenti
- gli interventi in stupri, violenze
ed abusi

2. stressors legati al contesto del lavoro
- i turni
- il sostegno sociale inadeguato
- le norme sull’espressione emotiva
e l’elaborazione degli eventi
traumatici
- il clima di genere



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