Petrolio, mare e fonti fossili. E’ l’occasione giusta per dire la nostra sul futuro delle acque che lambiscono lo Stivale. Questo, il 17, quando saremo chiamati a esprimerci sull’attività di ricerca ed estrazione di idrocarburi liquidi e gassosi entro le 12 miglia marine, che poi sono circa 22,2 km dalla costa. Si deciderà, tramite lo strumento referendario – l’omai noto ‘No Triv’ - se consentire agli impianti già esistenti - entro la il limite sopra indicato - di continuare o meno le coltivazione di petrolio e metano fino all’esaurimento del giacimento, anche oltre la scadenza delle concessioni. Concessioni che andranno in scadenza nell’arco del prossimo decennio. Per farlo, potremo scegliere se rispondere Sì o No al quesito referendario in cui, in buona sostanza, si chiede se si voglia che, una volta scadute le concessioni, siano fermati i giacimenti anche se c’è ancora gas o petrolio.
Un referendum – urne aperte dalle ore 7 alle 23 - richiesto da nove Regioni, invece che con la più consueta raccolta di firme, e di cui - nonstante il voto sia prossimo – si sa ben poco. Pecca dei maggiori organi di informazione, la rarefatta informazione sul pur delicato tema. A richiedere che si votasse sull’argomento sono state dunque le assemblee regionali di Basilicata, Marche, Puglia, Sardegna, Veneto, Calabria, Liguria, Campania e Molise, all’indomani del fallimento delle raccolta firme per presentare il referendum dello scorso inverno. Dirimente, come in ogni consultazione referendaria, l’afflusso ai seggi: secondo la Costituzione, infatti, l’esito sarà valido solo se andrà a votare il 50 per cento più uno degli aventi diritto. Possono farlo tutti i cittadini italiani maggiorenni e, per la prima volta, anche coloro che risiedono temporaneamente all’estero, per corrispondenza, tramite gli uffici consolari.
In caso di vittoria del ‘SI’
Se vincerà il Sì, sarà abrogato l’articolo 6 comma 17 del codice dell’ambiente, dove si prevede che le trivellazioni continuino fino a quando il giacimento lo consente. A sostenere il Sì, le associazioni ambientaliste, secondo le quali l’attività di estrazione va fermata per evitare rischi ambientali e sanitari. Il che ribadisce la domanda al Governo di invertire rotta nella politica energetica abbandonando il fossile, ritenuto causa di inquinamento, conflitti armati e pressione delle lobby, in favore delle rinnovabili, in linea con gli esiti del vertice mondiale sull’ambiente COP21 di Parigi.
In caso di vittoria del ‘NO’
Se vince il No la legge resta immutata e tutti gli impianti finora attivi entro le 12 miglia marine dalla costa potranno continuare la loro attività fino ad esaurimento del giacimento. Il fronte del No sotiene che l’attività estrattiva non comporti particolari rischi ambientali o sanitari e che il settore degli idrocarburi potrà portare vantaggi occupazionali ed economici. Inoltre, lo stop alla produzione di idrocarburi richiederebbe comunque maggiori importazioni dall’estero.
Le ragioni dell’astensione
Chi non andrà a votare ritine che questo non sia un referendum sul mare pulito e sull’ambiente, e non decreterà la fine delle trivelle. A loro avviso, il quesito non chiede infatti di abolire l’estrazione di petrolio e gas nei nostri mari e perciò il referendum sarebbe inutile. Se l’Italia non è un Paese energeticamente indipendente - e a loro avviso non lo è – deve allora sfruttare metano e petrolio che ha, superando le idifficoltà burocratiche per trasporto e stoccaggio del proprio greggio dopo l’estrazione. Per legge, dicono, si è già stabilito il divieto di aprire nuovi impianti, per cui non esiste alcun rischio che le piattaforme aumentino. L’eliminazione della norma, a loro giudizio, aumenterebbe solo la dipendenza energetica da altri Paesi.
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