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Maggio-Giugno/2008 - Contributi
Promuovere il benessere del lavoro
di Massimo Buggea

Accanto alla malattia grave e perdurante che causa ogni anno migliaia di morti sui luoghi di lavoro un malessere serpeggia nel mondo del lavoro assumendo varie forme. Dal disinteresse all’assenteismo, passando attraverso lo stress o forme di apatia, cresce costantemente il numero di lavoratori scontenti, non partecipi, disillusi sul valore del loro apporto e poco fiduciosi nel futuro.
Non è un caso se si moltiplicano ricerche, studi ed iniziative per individuare e realizzare il concetto di “benessere del lavoro”; in questo ambito gioca un ruolo essenziale l’elemento psicologico, anche se molti continuano a ritenere che in fondo si tratti solamente di un ennesimo espediente per giungere ad obiettivi di altra natura come, ad esempio, una maggiore produttività. Secondo altri osservatori tutto ruota intorno all’assenteismo; è un’idea molto diffusa, supportata da un’iconografia quasi classica sullo statale “nullafacente” e spesso da alcuni dati sull’inefficienza del settore pubblico nel cui ambito però risulta complesso scorporare i singoli elementi di criticità.
Tenendo presenti queste possibili opzioni si può comunque ragionevolmente sostenere che esiste una convergenza sulla considerazione che una qualità elevata nel lavoro contribuisca a migliorare la soddisfazione professionale e la qualità di vita dei lavoratori; infatti, ciò si riverbera anche sulla qualità di vita complessiva della società.
In realtà i segnali che provengono da numerosi e diversificati settori lavorativi riportano a caratteristiche comuni che vale la pena di esaminare. La disaffezione verso il lavoro si presenta sotto varie forme; tra queste spiccano l’assenteismo e la partecipazione passiva o amorfa ai processi produttivi.
Gli studi compiuti sull’assenteismo individuano una maggiore ricorrenza del fenomeno nel settore pubblico rispetto al privato; tra gli aspetti che più incidono vi sono i percorsi per l’individuazione dei posti di responsabilità e la gestione di personale e tempo. L’assenteismo può essere considerato come una reazione rispetto alle situazioni più difficili del lavoro; può essere sostenuto ed autogiustificato da un intento compensativo rispetto al salario percepito. Da questo punto di vista l’assenteismo si connota come un modo di sopravvivere, cioè una scappatoia accessibile a tutti quando si trovino in condizioni professionali non ottimali.
Secondo lo psicologo Paul Spector (1997): “la soddisfazione è il modo in cui le persone sentono il proprio lavoro e i differenti aspetti che lo qualificano [...] Quanto il lavoro piace o non piace alle persone”. La definizione introduce l’aspetto della partecipazione del singolo all’attività che egli svolge; per alcuni autori esiste una vera e propria scala gerarchica di reazione quando insorgono difficoltà nell’inserimento del processo: cambiamento dell’ambiente lavorativo, cambiamento degli obbiettivi, deformazione della conoscenza, rassegnazione, aggressione, ritiro dal lavoro.
La questione si correla al problema dei bisogni: secondo la celebre classificazione di Abraham Maslow, riferita in questo caso alla soddisfazione sul lavoro, i bisogni in ordine gerarchico sono lo stipendio, la sicurezza, la stima, l’esperienza, il contatto sociale.
In prima approssimazione si può affermare che, mentre l’assenteismo costituisce una via di fuga occasionale pur se ripetuta nel tempo, un basso livello di coinvolgimento nel lavoro può indicare una risposta permanente ad un sistema lavorativo nel quale ci si sente estranei, sotto impiegati, non apprezzati.
Sotto il profilo sociologico vi sono molti aspetti ritenuti fondamentali per consentire un’attività lavorativa che possa definirsi come felice, cioè rispettosa delle esigenze personali di ognuno: in primo luogo la socializzazione o, meglio, il rapportarsi con altre persone ed avere per questo una propria identità e, perché no, una dimensione di felicità derivante dalla consapevolezza di un ruolo.
Ancora il creare qualcosa, sentirsi parte di una struttura che riconosce l’apporto del singolo come elemento indispensabile e, nello stesso tempo, essere consapevole di potersi arricchire dall’esperienza quotidiana sono altri elementi sociologici che qualificano positivamente un’esperienza di lavoro.
Il concetto di benessere sul lavoro riassume in sé la sicurezza sul lavoro, la salute, il carico psico-sociale che viene determinato dal lavoro, l’igiene dell’ambiente e l’ergonomia.
Se si riconosce che questo aspetto ha una sua rilevanza, ne consegue che promuovere il benessere del lavoro può essere considerato tra uno dei compiti del datore di lavoro.
Nella realtà, dove si è avviata qualche esperienza di questo tipo, vi sono già stati dei riscontri positivi come una significativa riduzione delle assenze per malattia: ciò appare come un segnale incoraggiante per ricostituire un rapporto uomo-lavoro troppo sbilanciato verso criteri economici.

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