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Maggio-Giugno/2008 - Interviste
Israele/Palestina
“Hamas deve comprendere che è il momento del dialogo”
di Intervista a cura di Leandro Abeille

Il dr Ahmad Soboh è il vice ministro degli Esteri del governo dell’Autorità nazionale Palestinese, è uno dei politici rampanti tra le nuove leve dell’intellighenzia palestinese. Lo incontro a Ramallah.

Tra il 1948 ed il 1967 la Cisgiordania era inserita nel territorio Giordano, non conveniva tentare di ottenere l’indipendenza allora invece che fare la guerra contro Israele?
La fondazione dello Stato d’Israele e la guerra successiva hanno distrutto le relazioni sociali, il popolo palestinese si è trovato da un giorno all’altro straniero in casa propria. Non avevamo strutture né una classe politica pronta ad affrontare l’emergenza che avevamo di fronte, non potevamo formulare le più banali richieste politiche, eravamo rifugiati nel territorio in cui eravamo nati. Cercavamo di sopravvivere al meglio delle nostre possibilità pur non avendo un indirizzo politico ed una classe dirigente. Prima del 1967 eravamo solo rifugiati che impaurivano i regimi arabi. Non avevamo la forza politica, e nemmeno lontanamente militare, di richiedere ed ottenere l’indipendenza dalla Giordania o dall’Egitto, dovevamo prima darci una struttura di governo mediante la ricostruzione della classe politica. La nostra priorità non era tanto l’indipendenza quanto ricacciare l’invasore. Con il tempo andammo a scuola, riempimmo le università e quella classe di rifugiati divenne la nuova classe politica, alcuni divennero parte della politica panaraba di ispirazione nasseriana o quella più integralista dei fratelli musulmani. Tuttavia ancora non si parlava d’indipendenza. Nel 1967, nonostante l’occupazione israeliana si fosse estesa, la nostra classe politica era ancora troppo giovane e dispersa, per proporre richieste politiche territoriali. Solo nel 1968 l’Olp riuscì ad organizzare una struttura ed un programma politico scevro da influenze dei regimi arabi che volevano combattere contro Israele solo per mantenere il potere interno.

Non siete un po’ arrabbiati con quei regimi arabi che, in fondo, non vi hanno aiutato come avrebbero potuto?
Nessun astio, i regimi arabi non ci hanno occupato, da molta parte della società palestinese il loro aiuto è stato molto apprezzato; con i nostri fratelli arabi abbiamo in comune la storia, le tradizioni, la lingua, e forse lo stesso futuro.

Non avete in comune con gli israeliani la voglia di pace?
Gli israeliani vogliono pace e sicurezza mantenendo l’occupazione. Ciò non è possibile. La vera sicurezza d’Israele è la pace con la Palestina. Gli israeliani devono decidere se essere parte del Medioriente o un’isola che ha rapporti esclusivi con Europa e Stati Uniti.

Ci sono pareri contrastanti a proposito del muro, lei che ne pensa?
Non posso essere favorevole al muro, perché è funzionale alla separazione non all’unione dei popoli.

E’ contrario solo perché costruito in territorio conteso?
Sarei contrario anche se fosse costruito intorno a Tel Aviv, è sbagliata l’idea del muro non la sua posizione geografica.

Per quale motivo è rifiutato dai palestinesi?
Il muro separa le famiglie palestinesi che vivono sparse in Cisgiordania e sul territorio israeliano, separa i bambini dalle scuole, gli agricoltori dalle terre ed i pastori dai pascoli è un vero ostacolo al processo di pace. E’ costruito quasi interamente su territorio palestinese e non sui confini della Green Line del 1967. E’ un progetto fatto ad uso e consumo dei coloni, per imporre alla Palestina e alla comunità internazionale dei confini di parte. Il non avere potere sui propri confini non ci permette di avere una nostra indipendenza territoriale. La Commissione di giustizia a Le Hague è stata chiara, il muro è contro la legge internazionale. Il muro è controproducente per entrambi i popoli, costringe i palestinesi in piccoli cantoni ma non fa che inserire Israele in un cantone più grande. Sono d’accordo con quanto disse il Papa Giovanni Paolo II sul fatto che c’è bisogno di ponti tra le nostre genti non di muri.

I coloni sono un problema?
I coloni risiedono su terra confiscata dai militari israeliani, spesso a singoli proprietari palestinesi, in alcuni casi hanno falsificato i documenti per provare i loro diritti di proprietà successivi ad acquisti fittizi, possiamo dimostrare a chiunque ed in ogni momento che ogni singolo metro quadro di terra è terra palestinese.
Vorrei ricordare che il trasferimento di civili in zone occupate militarmente per squilibrare la composizione demografica e geografica di un Paese sovrano è considerato un crimine di guerra secondo l’art. 49 la IV Convenzione di Ginevra.

Tre cose di cui la Palestina ha bisogno subito…
Ne basterebbe una: la libertà. Libertà di vivere in una terra senza coloni stranieri, senza check-point di un esercito straniero, con la possibilità di importare ed esportare, ma soprattutto di prendere decisioni in autonomia. Abbiamo bisogno di una vera libertà che passa attraverso la fine dell’occupazione militare israeliana, un’occupazione che retroceda fino ai confini del 1967 e non un ritiro fittizio in cui si rimuove qualche check-point e basta. Una libertà che assicuri la continuità territoriale su un’estensione che ormai è solo il 22% della Palestina storica.
La libertà assicurerebbe anche una democrazia più matura in quanto non si può essere democratici se non si è liberi. Questo permetterebbe un miglioramento delle condizioni di vita e dell’azione governativa.

A proposito di azione governativa… ultimamente avete avuto problemi con Hamas.
Hamas ha iniziato le sue attività come un’entità caritatevole tra i palestinesi più bisognosi, solo da pochi anni ha iniziato un’attività politica, e da ancora meno l’attività di guerriglia contro Israele.
A proposito di questo, bisogna sottolineare che il rapporto tra i due è complementare, Israele ha bisogno di Hamas per giustificare l’occupazione.
Israele prendeva a pretesto gli attacchi di Hamas per colpire le installazioni della sicurezza palestinese, i centri di governo, i Ministeri che invece erano gestiti da al-Fatah. Noi abbiamo permesso ad Hamas di partecipare alle elezioni per il rinnovo delle cariche dell’Autorità nazionale Palestinese, di questo Hamas ne deve rendere conto, non si può entrare in società con qualcuno senza mettere in comune parte del capitale iniziale. Dimenticando che l’Anp è parte dell’Olp che l’ha generata tramite gli accordi di Oslo e non il contrario, hanno vinto per il nostro fallimento nei processo di pace, hanno cercato di sostituirsi ad al-Fatah, senza onorare nessuno degli accordi presi dal governo precedente. Questo non è accettabile, l’Autorità nazionale Palestinese, ripeto, è parte dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina, come può Hamas gestire l’Anp senza essere parte dell’Olp? Hamas è parte del sistema politico palestinese e deve garantire quello che lo stato palestinese ha rappresentato per il popolo. Appena sono stati eletti i membri di Hamas ed il suo governo, hanno rimesso in discussione gli accordi precedentemente presi da al-Fatah. Un comportamento inaccettabile, segno di immaturità politica, neanche l’Iran rivoluzionario di Khomeini si comportò in tale maniera.
Questo è il momento del dialogo e dell’unità di tutto il popolo palestinese, spero che Hamas lo comprenda.

Mi faccia una stima… quando vedremo una nazionale di calcio palestinese ai mondiali, giocare contro l’Italia?
Non appena otterremo il nostro Stato. Ci vorrà qualche anno ma riusciremo a mettere insieme una buona nazionale, magari con l’aiuto di tecnici italiani e brasiliani, avrei già in mente qualche nome.

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