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Maggio-Giugno/2008 - Interviste
Israele/Palestina
“Il muro? Necessario alla Sicurezza”
di Intervista a cura di Leandro Abeille

Il prof. Yaacov Bar-Siman-Tov è docente al Dipartimento di relazioni internazionali della Hebrew University di Gerusalemme. E’ un esperto di risoluzione dei conflitti internazionali, come la negoziazione ed il conflitto arabo israeliano, è autore di numerosi libri sull’argomento, ha lavorato in prima persona su progetti specifici riguardanti il processo di pace.

Professore, cosa pensa del muro?
E’ stato costruito per ovvi motivi di sicurezza, gli attentati erano all’ordine del giorno.

Molti lo considerano un muro di apartheid…
L’intifada e gli attentati avevano provocato un senso di insicurezza, per questo e non per apartheid abbiamo dovuto costruire il muro.
E’ un opera fatta per proteggerci dai terroristi suicidi e per evitare che armi ed esplosivi venissero trasportati in Israele soprattutto nella città di Gerusalemme che era costantemente sotto attacco. Adesso la gente si sente più sicura e protetta.

Però crea problemi ai palestinesi?
Ai palestinesi che hanno la carta blu il muro non crea nessun problema, loro possono tranquillamente andare e venire.

La sicurezza è aumentata?
Sicuramente sì, il numero di attentati è drasticamente diminuito. Il nostro sisteme di sicurezza sta funzionando, a volte è anche troppo esteso ma alla gente va bene così. Il governo viene immediatamente criticato se non previene gli attacchi terroristici per cui mantiene alta la vigilanza.

Tra muro e check-point e coloni, Israele sta occupando militarmente i territori dell’Anp…
E’ solo un problema di sicurezza, l’Autorità Palestinese non è in grado di gestirla.

Non basterebbe dare solo più potere all’Anp?
Abu Mazen, che è una persona sicuramente ragionevole, è tuttavia troppo debole per riuscire a gestire in toto i territori e Gaza, che sono ben infiltrati da Hamas.
Se per un caso Abu Mazen dovesse essere sollevato dall’incarico, Hamas prenderebbe immediatamente il controllo della Palestina.

…e con Hamas non si dialoga…
Al contrario, dobbiamo riuscire a dialogare anche con Hamas, per arrivare ad un cessate il fuoco, anche se siamo consapevoli che proprio la tregua è sfruttata dai gruppi radicali per riorganizzarsi ed armarsi in maniera idonea a fronteggiare l’esercito israeliano.
Detto questo, è sicuramente possibile ed auspicabile trattare con Hamas che rappresenta l’ala forte della politica palestinese, ed in questo compito sarà fondamentale l’aiuto degli altri Paesi arabi come Egitto e Arabia Saudita.

La pace quando si farà?
Questo non può dirlo nessuno, certo la società palestinese deve accettare lo Stato d’Israele e non viverlo più come un’ingiustizia. Senza questo presupposto di base viene meno la necessaria pre-condizione agli accordi.

Cosa prevederebbero gli accordi?
Due Stati per due nazioni.

I punti più difficili?
Sicuramente la questione del tempio e di Gerusalemme, e il ritorno dei rifugiati. Non possiamo dimenticarli, ma difficilmente potranno tornare a Tel Aviv, dovranno accettare altre destinazioni. Israele darà terra in cambio di pace.

Ritornando all’occupazione, Israele ha occupato militarmente l’area del fiume Giordano che mai potrà essere territorio Israeliano…
E’ stato necessario, dal confine Giordano passava ogni sorta di pericolo per Israele dalle armi ai terroristi anche di altre nazioni. Non era possibile permetterlo. L’esercito è in quella zona per controllare il confine, sarà una missione a termine non più di dieci anni.

Accoglierebbe favorevolmente una missione di pace internazionale nei territori?
Sicuramente sì, ci vorrebbe un discreto dispiegamento di forze per tutta l’area, come le forze Nato hanno dimostrato di poter fare in Afghanistan, oppure come la buffer zone Unifil in Libano.
Non sono contrario neanche ad una forza araba mista per la zona di Gaza. Tutto purchè si garantisca la sicurezza e la pace nella regione.

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