Dura al-Khalil è una piccola cittadina appena fuori Hebron, è piena di strade dissestate e negozi poveri, tutto intorno profumo di cibo appena cucinato. E’ la middletown della Palestina. Intervisto il sindaco, Mostafa Al-Rojoub.
Sindaco come sono i rapporti con l’Italia?
Ottimi, grazie all’Italia ed in particolare grazie al Comune di Siena, stiamo sviluppando tantissimi progetti per rendere migliore la nostra città.
Ad esempio?
Grazie ad alcuni generosi finanziamenti abbiamo costruito un centro per portatori di handicap, nel corso degli ultimi dieci anni siamo riusciti ad acquistare macchinari medicali moderni per il nostro centro ginecologico e pediatrico. Ultimamente grazie ad un contributo di quasi 350.000 euro abbiamo costruito un giardino per i bambini di Dura al-Khalil con piscina e autoscontro, ed una caffetteria. Soprattutto stiamo ultimando la prima fase del progetto fogne che ha visto la collaborazione del Comune di Dura al-Khalil e la fondazione Monte Paschi di Siena che ha elargito 500.000 euro per la costruzione del sistema fognario, che non esisteva prima e che ormai è quasi ultimato nel primo tratto. Non voglio però dimenticare anche i graditi gemellaggi con il Comune di Bracciano e l’amicizia con il Comune di Oriolo Romano.
Tre cose che servono subito a Dura al-Khalil?
Finire i lavori che permettano a tutto il paese di avere le fogne.
Costruire un ospedale moderno e funzionale che riesca a servire tutti gli utenti della zona. Parcheggi: costruire un garage per le macchine.
Parlando di costruzioni importanti, ne ho attraversata una per venire qui da Gerusalemme: il muro di difesa israeliano. Le piace?
Come potrebbe mai piacermi? Ha tagliato un pezzo di Palestina, ha rovinato l’ambiente e l’agricoltura, soprattutto ha separato le diverse zone dove vivono i palestinesi. Intere famiglie si sono spezzate e con esse i legami sociali che si intrattenevano. E’ un muro di apartheid non di difesa. Basta guardarlo bene dalla parte israeliana è a colori, da quella palestinese, è grigia come il cemento di cui è fatto. E’ stato inoltre costruito fuori dai confini riconosciuti dai trattati che sono quelli del 1967. Anche il Papa Giovanni Paolo II ha detto che bisogna costruire ponti in Palestina, e non muri.
E’ stato costruito troppo verso i territori? Questo non le piace?
Sono di principio contrario ai muri anche se fossero sulla linea verde del ’67, comunque non siamo arrivati ad un trattato di pace con Israele per le frontiere, per cui ancora non sappiamo se il muro è sulla linea della futura frontiera.
La cosa più importante è l’interruzione dei legami tra i palestinesi che vivono nelle zone occupate nel 1948 e quelli che vivono nei territori o nella striscia.
Eppure nel 1948 si è arrivati vicini alla creazione dei due Stati?
Nel 1948 l’Onu aveva stabilito che ognuno dei due Stati avrebbe dovuto avere il 50% dell’ex protettorato britannico. Gli ebrei si sono subito presi il 75%. Volevano lo Stato biblico dal Giordano al Nilo, in questa ottica hanno combattuto la guerra del 1956.
Ma adesso voi, comunque, avete una vostra terra…
La Cisgiordania è solo il 22% della Palestina storica, ma tra gli insediamenti, il muro e i check-points gli israeliani ne controllano la metà.
Tra il 1948 e il 1967 la Cisgiordania apparteneva alla Giordania, la Striscia di Gaza all’Egitto, non era meglio ottenere l’indipendenza con gli amici arabi anziché tentare le guerre contro Israele?
In quegli anni, uno Stato palestinese indipendente non era la nostra priorità, la nostra prima necessità era quella di mandare via gli israeliani. Dopo la guerra del 1973 Arafat propose i due stati con i confini del 1967, avrebbe riconosciuto Israele se avessero permesso il rientro dei profughi e il rispetto delle risoluzioni Onu, ma il governo israeliano non ha voluto.
Tre cose immediatamente necessarie alla Palestina?
Uno Stato palestinese con le frontiere del 1967 con Gerusalemme capitale. Il rientro dei profughi nelle loro case. Un corridoio sicuro tra Cisgiordania e Gaza gestito dall’Anp.
Qualche curiosità. Ci sono matrimoni misti a Dura al-Khalil?
S’, uno.
Che ne pensa dei palestinesi che a Gerusalemme vendono magliette dell’esercito israeliano?
L’importante è che vivano e prosperino a Gerusalemme, non importa cosa vendano.
Qualche nome. Balfour?
Fece una promessa maledetta. Ha dato terra che non aveva a chi non ne aveva diritto.
Arafat?
Un eroe nazionale palestinese, Nobel per la pace.
Bush?
Un violento, un guerrafondaio senza scrupoli. Il peggior presidente della storia degli Stati Uniti. Un nemico dell’umanità.
Lo sceicco Yassin (leader di Hamas ucciso da un missile israeliano)?
Un simbolo della resistenza palestinese all’oppressione israeliana. Era d’accordo con Arafat per una soluzione pacifica del conflitto.
Sharon?
Un terrorista omicida, uno che avallava massacri, come quello di Sabra e Chatila.
Abu Mazen?
Un uomo tollerante, giudizioso, un buon politico.
Osama bin Laden
Su questo non rispondo. Non si mette il naso negli affari degli altri.
Quando ritornerò nel 2050 che situazione troverò?
Gli Stati Uniti non sono eterni e col tempo la smetteranno di appoggiare Israele in guerra e presso l’Onu, e allora noi avremo il nostro Stato con Gerusalemme capitale.
E gli israeliani?
Non lo so. Sono sicuro che ci sarà la pace per tutti. Non siamo contro gli ebrei ma contro l’occupazione e il sequestro dei nostri beni.
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