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Maggio-Giugno/2008 - Articoli e Inchieste
Israele/Palestina
Diario di viaggio - I ritornati
di Leandro Abeille

A qualche metro da Jaffa Road c’è il centro di cultura italiano con la sinagoga. Il centro era chiuso, quando, su di una panchina era seduta un’anziana signora. Non ho dubbi, dai vestiti la riconosco subito, è italiana. Mi avvicino e senza neanche provare a parlare una parola d’inglese la saluto e mi presento. Avevo ragione era italiana. Miriam Sermoneta è nata a Ferrara prima della fondazione dello Stato d’Israele, di religione ebraica, è stata maestra a Genova, ha subito le leggi razziali ed è fuggita dalle persecuzioni nascondendosi sull’Appennino.
Dopo la guerra Miriam non riesce a stare più in Italia e nel 1954 ritorna in quella che sente la sua patria: Israele. Era delusa e amareggiata, la sua Italia non avrebbe dovuto avallare le atrocità naziste. Arriva via mare con la motonave “Galilea” insieme al marito, trova un alloggio nei pressi del Monte Carmelo da sola, suo marito è a Gerusalemme. Affittano presto una camera presso una famiglia dove vivono per qualche tempo. Il marito, Giuseppe Benedetto Sermoneta trova lavoro presso l’Enciclopedia Ebraica e insieme affittano una casa ai confini della zona araba, erano case poco costose, anche se i vicini arabi non facevano che insultarli quando non li miravano con le pietre. Durante la guerra del 1967 Giuseppe Sermoneta combatterà con l’esercito israeliano e tornerà a casa da vincitore; più tardi sarà uno dei fondatori della Facoltà di Filosofia e Pensiero ebraico dell’Università. Nel frattempo Miriam diventa mamma di 5 figli, crescendoli a spaghetti e parlandogli in italiano. Cinque figli israeliani che l’hanno resa bisnonna.
Mi sento così vicino a questa comunità di ritornati che pur di conoscerne le storie mi sorbisco una lezione di Midrash, per fortuna in italiano.
Mi ritrovo alla lezione con un rabbino italo-israeliano, tre arzille vecchiette, un signore con uno spudorato accento milanese, ed una ragazza taciturna.
Il midrash del lebbroso parla delle malattie, ci spiega che si sta male, sostanzialmente perché siamo moralmente corrotti. In buona sostanza il midrash ci insegna che fare sesso senza precauzioni può farci rischiare l’Aids, se fossimo meno libertini non faremmo sesso con chiunque e l’Hiv non si propagherebbe. Per cui la malattia proviene nella sua intima percezione dalla corruzione dei costumi. I quattro ritornati italiani danno filo da torcere al rabbino con domande niente affatto scontate, mentre la ragazza prende appunti e non commenta, come se conoscesse già la lezione.
Il rabbino incalza: chi si comporta male si ammala, chi beve troppo rischia la cirrosi epatica, chi pratica la maldicenza, crea tensioni sociali, e prende ad esempio i politici. Gli animi si infiammano, chi parla di politici bugiardi, chi li accusa di essere dei ladri, chi è disgustato del loro litigare. Finalmente mi sento a casa. In realtà sono in Israele ed evidentemente certe cose succedono anche da loro. Però che male fanno i bambini che nascono con malattie congenite o chi dopo una vita proba si ammala? Il rabbino, tramite la seconda parte del midrash, sostiene che questi casi esistono ma non li possiamo interpretare, perché non possiamo comprendere i voleri ed i progetti di Dio. Ma questa cosa delle strade infinite del Signore, non me l’aveva già detta don Marco, il cappellano militare dei Lagunari?
A lezione finita mi fermo a fare due chiacchiere con i quattro ritornati. Sono arrabbiati, anche con l’Italia, accusano i media di essere di parte e di favorire i palestinesi, si dà più spazio ad un palestinese ucciso ma non alle migliaia di razzi sulle città al confine con la Striscia di Gaza. Sono un fiume in piena, non faccio in tempo a dire che Israele sta occupando dei territori: “E perché dovremmo restituire dei territori conquistati con il sangue dopo un’aggressione araba? L’Italia ha forse ridato i territori dell’Alto Adige all’Austria o richiesto indietro l’Istria?” – mi ribattono con fervore. Accusano una certa opinione pubblica di occuparsi più della Palestina che del Tibet, del Darfur e di Timor messi assieme. Non hanno dubbi: è antisemitismo. La Palestina è però un problema che infiamma tutto il medioriente – sostengo – niente da fare. Su questo punto sono irremovibili, non è Israele a dover risolvere il problema ma gli arabi. “Perché i regimi arabi ricchi non spendono una parte dei proventi del petrolio per costruire case e dare lavoro ai “fratelli” palestinesi”? Sostengono che lo status quo fa comodo soprattutto a questi regimi. Sinceramente credo che sia un discorso logico.
Si è fatto tardi è ora di cena, vorrei continuare a parlare con questi connazionali per far capire loro quanto il nostro Paese gli sia vicino, quanto l’Italia sia casa loro come è la mia. Non faccio in tempo. Mi lasciano con una battuta densa di delusione per la nostra storia recente: “Voi europei avete ammazzato sei milioni di ebrei per prendervi 25 milioni di musulmani: non avete fatto un buon affare”. Saluto le tre signore mentre mi appresto a fare un pezzo di strada con il distinto milanese, ancora indeciso se trasferirsi definitivamente o meno.
Mi dispiace un poco per quelle signore che hanno tagliato i ponti con la loro italianità, comunque vada, in qualsiasi posto mi troverò, le riconoscerò ancora: gli italiani rimangono unici.

FOTO: La porta di Jaffa

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