L’insediamento di Efrait si trova a qualche decina di chilometri da Betlemme in pieno territorio palestinese, abitato da circa 10.000 persone. Entrando all’interno dei suoi confini recintati non si può fare a meno di notare un ragazzo armato di Uzi che sorveglia l’entrata. E’ un ebreo americano, giunto da New York per vivere nella terra che fu dei suoi antenati. All’interno di Efrait sembra di essere in un altro mondo, si passa dal terzo della Palestina al primo della colonia. Case ordinate con i fiori sui balconi, viali puliti ed alberati, macchine con targa israeliana parcheggiate lungo le strade perfettamente asfaltate. Un microcosmo europeo o statunitense nel mezzo del nulla palestinese.
Qui ci vivono soprattutto famiglie religiose, convinte di appartenere a questa terra molto più dei palestinesi. Comprano una casa ad Efrait soprattutto quelli che vengono dall’estero. Le case sono belle, costano poco e sono ad un tiro di schioppo da Gerusalemme. Tutti sostengono di aver pagato la terra su cui camminano, ogni centimetro e quello che non era loro lo hanno prontamente restituito. Quando gli chiedo che avranno anche pagato la terra ma questo non ne fa automaticamente Israele, tagliano corto. Questa è la loro terra, quella da cui provengono i loro antenati. Fanno una vita semplice, lavorano, si applicano nello studio della Torah, si sposano giovanissimi, ad un’età media di 22 anni, qualche volta giocano a calcio o tennis nei campi attrezzati all’aperto o basket nella hall al coperto.
Mi dicono che prima dell’intifada avevano rapporti di buon vicinato con i palestinesi, alcuni facevano dei lavori all’interno, come giardinieri o muratori, e la gente dell’insediamento faceva spesa negli economici negozi palestinesi. Con la rivolta è cambiato tutto, sono iniziati gli attentati e non è stato più possibile fraternizzare.
Adesso sono blindati all’interno, vivono la loro vita con estrema tranquillità, non si pongono il problema sociale e politico che da anni investe Israele e Palestina. Vivono attraversando ogni giorno il muro, salutando i ragazzi dello Tshal che li proteggono dai check-point pensando a metter su famiglia e prosperare. Non ci stanno a passare da cattivi o da occupanti, è tutta colpa della propaganda di Hamas, sono loro i cattivi.
Esco salutando delle persone assolutamente cordiali seppur sospettose. Saluto il ragazzo di guardia e i suoi colleghi, negli ultimi cinque anni hanno ucciso due attentatori, un vero kamikaze ed uno squilibrato che voleva far strage di ebrei con un coltello.
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