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Aprile/2008 - Lettere
Le vostre lettere
di

In pensione a 60 anni?

Egregio Direttore,
sono stato delegato dai miei colleghi di presentarle un problema che sta a cuore a molti poliziotti, di ogni ruolo e qualifica. Quando siamo vicini all’età pensionabile molti di noi si lasciano prendere dall’ansia, perché chiedono: adesso cosa facciamo? Personalmente ritengo una cosa ingiusta andare in pensione a 60 anni, tra pochi mesi, mio malgrado dovrò lasciare la Polizia, eppure mi sento abbastanza efficiente per poter continuare.
La Polizia per me, ma per tanti altri colleghi, è una famiglia. Allora, credo che ci siano tutti i presupposti per dare la possibilità a chi vuole restare almeno altri due anni, di poter inoltrare una domanda all’Amministrazione e transitare eventualmente in un fuori ruolo, senza quindi nuocere a nessuno per quanto riguarda la progressione di carriera. Credo che mai come in questo momento storico, si avverta la necessità che la Polizia debba essere più vicina alla gente, che vuole vedere nei poliziotti dei veri angeli custodi e degli “amici” ma allo stesso tempo i colleghi più anziani possono essere dei buoni maestri ai colleghi più giovani. Il personale direttivo, ad esempio, potrebbe diventare consulente del Giudice di Pace in materia di immigrazione e Codice della Strada. Il personale della Polizia Stradale potrebbe entrare nelle scuole per fare lezioni sull’educazione stradale. I funzionari ed ispettori che hanno espletato tanti anni di servizio alla Squadra Mobile, potrebbero fare lezioni nelle scuole medie inferiori e superiori, per spiegare il fenomeno della droga, e i consigli utili per tenere lontano gli spacciatori. Lo stesso personale, potrebbe prendere parte alle tante Conferenze organizzate dai Centri di Antiviolenza, in materia di minacce, stalking... Il personale che ha prestato tanti anni di servizio negli Uffici Minori potrebbe formare gli Assistensi sociali che operano in questo settore. I funzionari e gli ispettori di Polizia potrebbero coadiuvare i direttori delle carceri o i magistrati di sorveglianza... I funzionari e gli ispettori di Polizia esperti in materia di immigrazione potrebbero, sia pure temporaneamente, svolgere le funzioni di console o cancelliere all’estero e così via.
Da ultimo potrebbero essere utilizzati nei corsi di aggiornamento professionale, sia nelle scuole che nelle questure, creando eventualmente la figura del tutor, o l’Ufficio del tutor in ogni questura o realtà operativa, con il compito di seguire la formazione professionale di ogni dipendente, nonché l’apporto psicologico (si veda la figura del “pari”). Credo che la migliore proposta sia stata quella dell’ex ministro dell’Interno on. Roberto Maroni: incentivare economicamente il personale a restare uno o due anni su base volontaria. In ogni caso, se si dovesse innalzare l’età pensionabile, ciò dovrebbe avvenire su libera scelta del dipendente, da ultimo si potrebbe considerare un’eventuale mobilitazione in quelle Amministrazioni carenti di personale, ad esempio nell’Amministrazione penitenziaria. Saremo grati a lei ed altri, se ci darete l’opportunità di essere utili ancora a questa grande Amministrazione.
Un cordiale saluto.
Elio Giulio De Bellis - Milano
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Una fiction per noi

Egregio Direttore,
leggo sul suo giornale una lettera (già apparsa sul quotidiano La Stampa) nella quale l’autore riporta le lamentele - giuste, per altro - di appartenenti al Comando del Corpo Forestale dello Stato per la mancata programmazione sulle reti televisive di una fiction sulla Forestale. Qualcuno tra loro afferma che “...anche la Polizia Penitenziaria ha avuto la sua fiction...” Niente di più errato. Mai la Polizia Penitenziaria ha avuto l’onore di una fiction come Carabinieri, Polizia di Stato, Guardia di Finanza. E se qualche volta si rappresentano i “baschi azzurri” in qualche episodio televisivo di altre fiction, lo si fa con molta superficialità, dimostrando di non conoscere affatto come lavoriamo e come si lavora in carcere. Magari ci fosse una fiction tutta per noi! Sarebbe importantissimo per far capire all’opinione pubblica l’importanza del nostro duro e difficile lavoro, quotidianamente svolto con spirito di sacrificio e professionalità a contatto con delinquenti di ogni risma. E consentirebbe a milioni di persone di guardare a noi con maggiore rispetto e considerazione sociale.
Cordiali saluti.
Roberto Martinelli - Sappe
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Dignità della persona

Gentile Direttore,
la tragica fine dei sette operai della linea 5 morti bruciati alla Thyssen Krupp di Torino tra l’altro ripropone la drammatica questione delle morti sul lavoro in Italia e del profitto a tutti i costi. Certo ogni vicenda ha la sua storia.
Questo grande stabilimento - già complesso siderurgico Fiat Ferriere e poi Teksid Acciai - contava ancora nel 1980 su circa 13mila lavoratori. Da allora il declino fu lento ma inarrestabile e voluto dai vertici Fiat tra ridimensionamenti degli impianti, dismissioni, cessioni con smembramenti di reparti, riconversioni con diversificazioni di produzione. Poi negli anni ’90 la Finsider la vendette ai privati: in parte al gruppo Riva e in parte ai tedeschi del gruppo Thyssen Krupp. Per alcuni anni, grazie alla alta professionalità delle maestranze e alla attenta collaborazione degli stessi con le organizzazioni sindacali, si riuscì a garantire le lavorazioni a ciclo continuo e contemporaneamente le adeguate misure di sicurezza a tutale dell’integrità fisica di chi operava. Ma da tempo le cose erano peggiorate. Manutenzione ai macchinari insufficienti, pesante carenza di personale, turni stressanti, depotenziamento delle più elementari misure di sicurezza con aumento notevole del rischio lavorando tra il fuoco, vicino ad acidi e solventi, sono le cause che hanno determinato la devastante fine dell’azienda torinese. Si è accertato che la Thyssen fino al tragico rogo non aveva il certificato di prevenzione incendi e che solo in una settimana di accertamenti della Asl sono stati riscontrati ben 116 violazioni di legge. Questo ha inchiodato alle proprie responsabilità la multinazionale che invece, grazie a documenti rintracciati dalla Guardia di Finanza, assurdamente si lamentava per l’opera del giudice Guariniello. Del clima in una città troppo di sinistra, schierata dalla parte dei lavocatori; della disattenzione degli operai morti a cui attribuire le colpe dell’accaduto; della necessità di fermare le dichiarazioni dei pochi sopravvisuti sui media preventivando, appena più calme le acque, ritorsioni contro di loro. Giovani vite stroncate e famiglie distrutte in una storia atroce. Ma il quadro di quanto successo si somma alle cifre allucinanti dei morti sul lavoro in Italia che nell’anno appena trascorso hanno superato le 1.328. Mentre nel solo mese di gennaio di questo anno siamo già a 82 morti sul lavoro, a 80.233 infortuni e a 2.006 invalidi. Cifre inaccettabili per un Paese civile e industrialmente avanzato come il nostro. Occorre potenziare i controlli e le ispezioni in cantieri e aziende con maggiore personale adeguatamente preparato. Occorre legiferare con un nuovo Testo Unico riguardante la sicurezza nei posti di lavoro attivando nuovi decreti attuativi, altrimenti la legge 123/2007 sarà quasi inutile.
L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. Così giustamente recita la Costituzione. Ma tra disoccupazione, lavoro nero, precarietà, bassi salari, infortuni, dove sta il diritto alla dignità della persona umana e dei lavoratori? Cordiali saluti.
Aldo Fappani

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