L’odio e la volontà
di rivalsa, alla base
dell’omicidio, la cui
ferocia non trova
riscontro nelle cronache
Quello del “canaro” sembrerebbe uno dei delitti più efferati dell’ultimo mezzo secolo: come può una mente umana (per quanto ossessionata dal desiderio di vendetta) arrivare a tanto?
Quello del cosiddetto “omicidio del canaro” è non solo uno dei delitti più efferati, ma uno dei delitti che ha stupito la gente.
Perché ha stupito la gente? L’ha stupita per l’efferatezza, cioè per il disegno; Pietro De Negri. Stupisce il fatto che il pugile è stato intrappolato, messo addirittura dentro una gabbia per cani, con un disegno molto astuto, un agguato ben premeditato. Una volta che è stato in suo possesso l’omicida ha fatto delle cose terribili, gli ha inflitto delle sevizie impensabili e queste sevizie le ha inflitte consapevolmente fino alla morte, facendo si che l’agonia si allungasse il più possibile, per farlo soffrire. Ora tutto questo non è tanto comprensibile nella mente umana.
E’ vero che il comportamento della vittima è stato un comportamento che ha notevolmente, se non distrutto, incrinato la felicità, la vita, il diritto alla felicità ed alla serenità di De Negri; però tutti hanno ritenuto spropositata la reazione. Uno che ti tormenta, che ti vessa, che ti minaccia, che ti rende le notti insonni perché ti minaccia e ti fa capire che cosa ti farà, che ti umilia davanti alla gente, a me addetto ai lavori, pone un interrogativo: può uno stato di rancore portare a quel livello di crudeltà, e soprattutto ad una crudeltà così lunga fino a prolungare l’agonia e provocarne la morte?
Ora ti dico che secondo la mia esperienza l’odio è capace di tutto! L’odio può portare a comportamenti che le bestie più feroci non hanno.
Nel primo giudizio Pietro De Negri fu riconosciuto infermo di mente e addirittura scarcerato. Poi, in Appello, tale sentenza fu ribaltata e l’omicida venne condannato a 24 anni di carcere. Cosa rappresentano queste due decisioni contrastanti?
Io sono perplesso per quel processo. C’è stato un momento in cui De Negri è stato dichiarato incapace di intendere e di volere ed addirittura scarcerato. Quindi non è stato un giudizio psichiatrico di seminfermità mentale, ma netto, perentorio: incapace di intendere e di volere. Ci troviamo nel 1988, quindi sono passati venti anni, e sarebbe stato interessante sottoporre la mente di De Negri alla psichiatria di oggi, che è una psichiatria notevolmente cambiata e notevolmente diversa rispetto alla psichiatria di quegli anni.
Tu mi chiedi come è mai possibile che un imputato prima viene scarcerato e poi condannato a 24 anni. Questo è possibile per la perizia. C’è una perizia che dice (e anche questo è un motivo di stupore) che lui era incapace di intendere e volere, ma che non era socialmente pericoloso.
Secondo me in quel processo c’è stato un limite ed un difetto di penetrazione psichiatrica nella mente di De Negri. Con gli strumenti di oggi sarei curioso di sapere come sarebbe realmente andata. Il dato di fatto è che lui aveva attuato questo disegno di vendetta chissà da quanto tempo; il rancore verso questo pugile che lo tormentava e lo umiliava deve essere stato un rancore profondo che gli ha scosso la vita. Il problema è di vedere se questo rancore così profondo ha scatenato l’odio in una persona normale o, viceversa, lo ha fatto in una mente che era disturbata. Per questo ti dico che sarei curioso di approfondire psichiatricamente la vicenda, perché non è detto che lui fosse infermo di mente o seminfermo di mente. Poteva avere quei disturbi di personalità che gli facevano rendere abnorme ogni sensazione, ogni sentimento. Un uomo normale prova, se viene umiliato con costanza, continuamente, per lunghi anni, certamente un desiderio di rabbia: è umano che lo abbia. Probabilmente era abnorme questo sentimento, perché forse proprio l’abnormità del sentimento, del rancore che lui provava, ha esasperato la situazione fino a farlo diventare uno dei più feroci assassini della storia. Non c’è un assassinio equiparabile a questo. Il tutto avviene in un uomo mite che, ripeto, una psichiatria di venti anni fa lo ha riconosciuto non solo infermo di mente ma anche socialmente non pericoloso. Non escludo che una persona capace di intendere e di volere possa nutrire un rancore fino all’esasperazione e possa arrivare a un disegno criminale di questa portata. Certo non credo che una persona così sia mite e socialmente non pericolosa.
Il grande punto interrogativo di questo processo, io la spiego così. Secondo me un omicidio come quello aveva scatenato un allarme sociale incontenibile, non c’era mai stata una cosa simile, ed allora credo che dopo la scarcerazione, dopo la dichiarazione di incapacità di intendere e di volere, si è creato un allarme sociale notevole. Il giudice di secondo grado l’ha condannato per placare l’opinione pubblica.
La risposta sulle due decisioni contrastanti te l’ho data. E questa è una cosa che accade. Per esempio nel caso di Pietro Pacciani è avvenuta. Ergastolo e poi assoluzione piena. Lì c’è stato un giudizio diverso sugli stessi elementi.
Consentimi una riflessione: il giudizio di appello ha un senso se tale giudizio integra in un modo importante elementi sulla colpevolezza o sulla innocenza. Il giudizio di appello così com’è ora (e ti parlo da garantista e lo sottolineo cento volte), non ha significato. Se il nostro fosse un Paese legato alla sua stessa tradizione giuridica che è la più importante del mondo, avrebbe dovuto concepire un sistema di processo di primo grado talmente garantito per le parti lese e per gli imputati, da dare una sentenza che si può avvicinare ad una sentenza giusta. Dico “si può avvicinare”, perché quando un fatto storico viene tradotto in un processo penale e si arriva ad una ricostruzione quasi totale della verità, il giudizio può avvicinarsi molto ad un giudizio terreno con intelligenza e con un bagaglio di cultura giuridica. Si dovrebbe verificare quella situazione che ben descrivono gli americani quando dicono che per essere colpevoli bisogna trovare delle prove al di là di ogni ragionevole dubbio. Allora significa levare il processo d’appello, lasciare un ricorso per Cassazione da esperire in rarissimi casi, davanti a provvedimenti abnormi, davanti a casi di palese inquità.
Oggi tutto questo è una chimera. Il processo di primo grado è talmente poco garantito, e ripeto non solo per l’imputato ma anche per le parti offese, per cui si creerebbero errori giudiziari più di quanti se ne creano. Non bisogna dimenticare che mentre facciamo l’intervista, mentre viviamo questi momenti di storia italiana, si creano molti errori giudiziari. Già un errore di fondo è la lentezza dei processi. Questo non per la crisi della politica o della magistratura, ma per la crisi del sistema Paese. Tutto si sviluppa attraverso gli uomini, la politica corre sulle gambe degli uomini.
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