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Aprile/2008 - La 'nera' al microscopio
Cronaca del delitto
Come il “canaro” compì la sua vendetta
di Ettore Gerardi

Nel 1988 un uomo tortura e uccide un suo amico per
vendicarsi dei continui soprusi da parte della sua
vittima. E’ stato uno dei più efferati delitti
degli ultimi cinquant’anni. Dopo diciassette anni
di carcere, l’omicida è stato scarcerato
per buona condotta e oggi lavora come fattorino


Uno dei fatti più orribili, nel pur vasto campo della cronaca nera, accadde a Roma una ventina di anni addietro, nella notte del 18 febbraio 1988. Il giorno dopo - il 19 febbraio - in una discarica di via Cruciani Alibrandi, al Portuense, qualcuno notò un sacco con una forma vagamente umana che fumigava in un cumulo di rifiuti. Venne chiamata la Polizia e gli agenti che aprirono il sacco non dimenticheranno mai più quello spettacolo. Ci volle parecchio per riconoscere in quel corpo martirizzato e semicarbonizzato e anche mutilato, i resti di Giancarlo Ricci, 31 anni, un ragazzo alto e prepotente, ex pugile di scarsa fortuna e piccolo boss della Magliana. Uno di quelli che prima menava e poi parlava.
E cominciarono le indagini. La Squadra Mobile romana finì per sospettare del terribile delitto il trentaduenne Pietro De Negri, proprietario di un negozio di toilette per cani. La Polizia comincia subito gli interrogatori nell’ambiente frequentato da Ricci, il quartiere della Magliana. Interroga 85 persone prima di arrivare ad un altro piccolo delinquente del quartiere, Fabio, un amico di Giancarlo, che racconta: “L’ultima volta che ho visto Giancarlo è stato ieri pomeriggio: l’ho accompagnato ad un appuntamento che aveva in un negozio di toilette per cani, in via della Magliana 253. Poi non l’ho più visto”.
Il negozio in questione è un buco, le pareti coperte da maioliche grigie, dove - tra gabbie, forbici, pettini di metallo, tronchesi e spazzole dentate - un uomo piccolo e mingherlino lava e tosa i cani. Si chiama Pietro De Negri, ha 32 anni, qualche precedente per furto ed una vita fatta di stenti. Ha una moglie, da cui è separato, ed una figlia. Quando, sabato 20 febbraio, lo arrestano Pietro, detto “il canaro”, crolla. Prima racconta di essersi limitato a catturare e stordire Giancarlo Ricci e di averlo quindi lasciato ad una banda di siciliani che avrebbe fatto il resto. Poi, serrato dalle domande degli investigatori, confessa. “Quell’infame non moriva mai. Continuava a respirare. E’ stata dura. Ma se rinascessi lo rifarei. Il cadavere di quello zombie avrei voluto portarlo in piazza per mettere sopra un cartello grosso come una casa con la scritta: ‘Ed ecco qua l’ex pugile!’”
De Negri convinse Giancarlo Ricci ad infilarsi in una gabbia per cani con la scusa di un agguato ad uno spacciatore di cocaina che aspettava nel negozio. Poi chiuse la gabbia, immobilizzò l’ex pugile e lo torturò per ore amputandogli le dita, la lingua, le orecchie e gli organi genitali; per non farlo morire subito dissanguato cauterizzò le ferite con fuoco. Questo il commento degli investigatori che indagarono sul caso: “Abbiamo visto di tutto. Teste mozzate, donne fatte a pezzi e bollite nei pentoloni del sapone; cadaveri martoriati e poi carbonizzati; giovinastri con i piedi murati nel cemento e gettati nel lago. Ne abbiamo viste di tutti i colori, ma una storia come questa non ci era mai capitata!”
Infatti, l’ex pugile tormentava, umiliava e irrideva continuamente De Negri che subiva in silenzio. I due fanno un “colpo” insieme. Il “canaro” finisce in galera ma non parla del complice. Quando esce di galera, invece della sua parte di bottino, rimedia una serie di botte. L’ex pugile a quel punto gli ruba lo stereo e pretende una somma per restituirglielo; lo picchia davanti alla figlia; gli ferisce un cane. E questo è troppo per De Negri che prepara la sua vendetta i cui contorni, come s’è detto, appaiono terrificanti. In fondo il “canaro” voleva far vedere alla sua vittima e agli altri che lui non era un pupazzo e che alla fine si era fatto valere. Ma la storia dovette arricchirsi di un assurdo giudizio, visto che pochi mesi più tardi il “canaro” fu scarcerato perché infermo di mente e “non pericoloso socialmente”. Tornò, però, in galera un mese dopo la scarcerazione (meglio tardi che mai...).
In primo grado fu condannato a venti anni di carcere, ma la pena fu aumentata di quattro anni in Appello, anche in virtù di un memoriale dove l’uomo affermava di non essere affatto pentito. In galera divenne un detenuto modello e passò diciassette anni a collezionare radioline... fuori uso e aiutando i malati di Aids. Poi, il 26 ottobre del 2005 la scarcerazione.
Oggi De Negri ha quasi realizzato il suo sogno (certamente più comprensibile): quello di farsi dimenticare. Vive al Quarticciolo, un quartiere alla periferia della Capitale, con la moglie e una figlia. Lavora come fattorino in uno studio di commercialista e da quando è uscito dal carcere con uno sconto di tre anni per buona condotta, non ha mai voluto aprire bocca sulla sua vicenda. “Lasciatemi in pace” è il suo ritornello. Come non dargli ragione?
___________________________________
Uno stralcio del memoriale

Nel memoriale che De Negri stila in carcere, rivendica la sua totale responsabilità. Eccone uno stralcio.
“Non sono pazzo, ho compiuto quel massacro per amore di giustizia e sono pronto a rifarlo... non solo mi sono vendicato delle angherie subite, ma ho liberato il quartiere da un infame... Prendevo cocaina per farmi coraggio, ma ero e sono lucidissimo. Sono un uomo e sono disposto a pagare il mio debito con la giustizia. Se qualche perizia mi dovesse dare torto mi ucciderò”.
Il “canaro” rifiuta una perizia che lo riconfermerebbe un piccolo uomo un po’ vigliacco che agisce da forte solo sotto l’effetto della droga e rivendica l’iniziativa dell’orrendo delitto come solo sua, per liberare il mondo dalla violenza di quel prepotente. “Adesso alla Magliana staranno tutti festeggiando”.

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