Essere in possesso di un’arma da fuoco non significa necessariamente saperla usare. Appurato questo, la domanda che sorge spontanea è: coloro che legittimamente la detengono sanno quando (legislazione in materia), come (addestramento all’uso delle armi) e dove (tecniche di tiro) devono usarla?
I fatti di sangue che con sempre più frequenza si verificano, non per ultimo quello mortale avvenuto nell’area di servizio sulla A/1 ad Arezzo, ripropongono in termini preoccupanti il delicato tema legato all’uso legittimo delle armi, come ultima ratio, da parte delle Forze dell’ordine. A ciò va aggiunto l’importanza che deve essere necessariamente riservata alle esercitazioni di tiro da svolgersi con regolarità nei periodi previsti dalla normativa vigente e non solo quando è possibile, come avvenuto alla questura di Forlì dove nell’ultimo anno sono state effettuate esercitazioni di tiro solo da un terzo del personale; o quando vi sono le munizioni, come accaduto alla Stradale di Forlì in quanto nell’ultimo semestre le stesse non sono state assegnate al Reparto. E’ sottinteso che questi sono solo alcuni esempi della poca attenzione e della scarsità di risorse di cui gode il personale della Pubblica sicurezza in generale.
La fuga è legittima: così ricordò in un periodo costellato da proiettili vaganti Vincenzo Parisi, già Capo della Polizia, aggiungendo: “Sta a noi fa sì che chi scappa, qualunque sia il motivo, venga preso tenendo presente che la reazione deve essere sempre proporzionata all’azione e non superiore”. Di contro nel fronteggiare gli eventi delittuosi - come precisato dai nostri compiti istituzionali - è necessario salvaguardare l’incolumità dei cittadini proteggendo la sicurezza di chi nulla ha a che vedere con il fatto criminoso pur trovandosi, suo malgrado, sulla scena del crimine, cosa che purtroppo accade sempre più spesso.
Il tema non è semplice e, ad onor del vero, mentre le variabili sono molteplici e mai di facile soluzione, gli effetti si concretizzano in poche manciate di secondi provocando inevitabilmente dei danni, a volte irreparabili, alle persone, seguite poi da lacrime, grida di vendetta, guerriglia urbana, carcerazioni preventive, onoranze funebri... e altro ancora.
Quale estimatore dei film del famoso principe Antonio De Curtis, in arte Totò, consiglio a tutti coloro che hanno avuto la pazienza di leggere queste righe e che per ragione della propria funzione fanno uso di armi da fuoco, la visione del film “Guardie e ladri”, in particolare la scena in cui Totò ladro scappa dal poliziotto Fabrizi. Oltre ad essere tutt’oggi uno spaccato significativo ed attinente all’attuale legislazione, sono convinto che pur facendo sorridere, porterebbe a riflettere e otterrebbe più risultati di una sterile conferenza teorica, ben remunerata tenuta da un esperto sul tema della legittimità nell’uso delle armi, durante l’aggiornamento professionale. Sottinteso laddove ancora si svolge e non solo sulla carta.
Tempo fa, nel parlare con il direttore di un poligono di tiro privato, meta obbligata degli appartenenti alla Polizia di Stato per effettuare le cosiddette esercitazioni periodiche - visto che molti poligoni a cielo chiuso di proprietà dell’Amministrazione della Ps sono attualmente inagibili, causa lavori di ammodernamento e/o ristrutturazione, ovvero per la mancanza di fondi (un esempio per tutti quello del Centro addestramento Polizia di Stato di Cesena chiuso nell’ottobre 1992 e reso agibile, solo sulla carta, dal 1° luglio 2007) - definiva, con una affermazione assai grave, “i poliziotti pericolosi per sé e per gli altri”.
L’affermazione deriva dal fatto che questo direttore, come altri suoi colleghi, ben conosce il nostro ambiente, ed è di conseguenza al corrente che l’operatore di Polizia, nel migliore dei casi, si esercita in media una sola volta all’anno con l’arma corta. E’ chiaro che l’addestramento teorico/pratico così effettuato è di gran lunga insufficiente. Sarebbe come se il calciatore professionista scendesse in campo tutta la stagione con un solo allenamento.
Stendiamo un pietoso velo sulle mancate esercitazioni con l’arma lunga e sul dispendio di denaro pubblico per l’utilizzo dei poligoni privati, lo spostamento del personale da una località all’altra distogliendolo dalle attività istituzionali per periodi non sempre brevi, il movimento di mezzi dell’Amministrazione, il pagamento delle trasferte e altro, rispetto al più vecchio economico ripristino delle proprie strutture.
Se da un lato è molto semplice dare consigli alla ricerca di rimedi efficaci per migliorare questo stato di cose, dall’altro ritengo che le inadempieze dei vertici del ministero dell’Interno siano sotto gli occhi di tutti. Purtroppo ciò che manca è la capacità del Dipartimento di realizzare un serio piano di intervento su tutta la problematica della formazione, dell’istruzione e dell’addestramento del personale, che passa attraverso decisioni riguardanti argomenti molto concreti e sentiti come quelli indicati.
E’ lecito pertanto, oltre che segnalare i fatti sopra citati, richiamare ancora una volta l’attenzione sull’importanza del rispetto degli accordi già sottoscritti tra il Dipartimento della Ps e le organizzazioni sindacali, nonché la messa in opera in tempi brevi dei poligoni di tiro, al fine di dare ai poliziotti certezze e sicurezza sull’uso delle armi, garantendo ai cittadini di trovarsi di fronte un professionista preparato, efficiente ed affidabile e non un operatore dal grilletto facile.
|