A Roma, oltre ottanta anni
addietro, furono uccise e seviziate
quattro bambine. Si impiantò un castello
accusatorio contro un uomo riconosciuto
innocente. Il colpevole? Un pastore
protestante inglese
La storia di Gino Girolimoni è un caso particolare di cronaca nera romana. E’ infatti la prima volta che il nome di una persona fisica, Girolimoni appunto, entra a far parte dei modi di dire; ancora oggi, seppure più raramente, si usa dire (per qualificare qualche pedofilo) “un Girolimoni”. Ma ecco la storia.
Negli anni fra il 1924 e il 1928 a Roma si susseguirono una serie di stupri e di uccisioni ai danni di bambine; i fatti gettarono nel terrore un po’ tutta la popolazione. A ciò si aggiunge che l’immagine che il regime fascista voleva dare di una Italia sicura e controllata, sembrò vacillare. Quindi partì la ricerca (superficiale, come vedremo) del colpevole. La Polizia, sollecitata fino all’inverosimile dal duce e dalla stampa, finì per costruire una sorta di identikit che applicherà ad un personaggio, Gino Girolimoni, sulla base di testimonianze assolutamente irrilevanti e, comunque, frutto di fantasie.
Ma chi era Girolimoni? Un uomo che si era fatto da solo; figlio di un padre che non volle riconoscerlo, Girolimoni si fa strada nel lavoro grazie ad uno spiccato spirito di iniziativa e a molta buona volontà, diventando uno scapolo d’oro che girava con una Peugeot verde (siamo nel 1924, non dimentichiamolo, e allora chi possedeva un’automobile era un divo) e faceva... gola a molte signore anche della cosiddetta “buona società”. Tutto sommato era il personaggio ideale da demonizzare per la Polizia e sul quale “applicare” lo schema già prefissato del colpevole.
Parlavamo di testimoni inattendibili: uno di questi, “scovato” dalla Pubblica Sicurezza, proprietario di una bettola, testimoniò di aver servito Girolimoni che conduceva per mano una bambina - guarda caso - rispondente perfettamente alla descrizione della prima bimba rapita e trovata uccisa, Bianca Carlieri.
Fu così che Gino Girolimoni divenne il “mostro di Roma” e a nulla servì la testimonianza di un uomo, fisicamente somigliante al sor Gino, che dichiarò di essere lui l’uomo entrato nell’osteria con sua figlia. E dunque le “febbrili indagini” della Polizia - al cui vertice sedeva il maresciallo d’Italia Emilio De Bono, quadrumviro della “marcia su Roma” - portarono all’incriminazione di Gino Girolimoni. Ma questo avvenne dopo alcuni mesi, appunto, di “febbrili indagini”.
Nel frattempo, dopo la piccola Carlieri, le cronache dovettero registrare altri fatti consimili. Dopo cinque mesi dalla morte della Carlieri, la piccola Rosina Pelli subisce la stessa sorte; ha soltanto due anni. Sarebbe stata avvicinata nei pressi del colonnato di San Pietro da un distinto signore, vestito di scuro, che poi la condurrà, per ucciderla dopo averla violentata, nei prati della Balduina.
Ma il maniaco omicida non si ferma. Nella primavera del 1925 Elsa Berni, sei anni, recatasi a prendere acqua ad una fontanella, viene trovata uccisa (dopo essere stata violentata) nei pressi dell’ospedale Santo Spirito, sul greto del Tevere, dove esisteva la fonte dell’acqua Lancisiana. Stavolta il regime preferì mettere la sordina alla stampa che non titolò a nove colonne come per i due precedenti casi.
E si arriva così al maarzo del 1927 (sei mesi prima era stato nominato Capo della Polizia Arturo Bocchini). La piccola Armanda Leonardi, cinque anni, viene uccisa e violentata. Mussolini, come accennavamo all’inizio, intervenne personalmente spronando la Polizia a trovare il colpevole. E così il 10 maggio 1927, i giornali uscirono con titoli a tutta pagina: “Gino Girolimoni, l’osceno martoriatore di bambine, è stato arrestato”.
Nei suoi confronti il castello di false accuse fece il resto. Fino a quando il ricordato testimone che era quella sera all’osteria con una bimba, sua figlia, fece crollare il teorema accusatorio; ma non subito, però, giacché gli inquirenti, piuttosto che riconoscere i propri errori, continuarono a non dare credibilità a questo teste. Poi però le “prove” su Girolimoni si dimostrarono talmente falsate che il “mostro” dovette essere scarcerato. Anche perché, tra le altre falle dell’indagine, nessuno aveva voluto notare che Girolimoni, il giorno dell’uccisione della piccola Leonardi, non si trovava a Roma.
Rimaneva l’interrrogativo sulla vera identità dell’omicida. S’impegnò in questa ricerca l’allora commissario di Pubblica sicurezza Giuseppe Dosi che, una volta dimostrata la totale innocenza di Girolimoni, si intestardì tanto nelle indagini, da scoprire il vero autore degli orrendi delitti. Si trattava di un inglese, pastore protestante che officiava la chiesa anglicana, allora residente in via Romagna, a Roma.
Il suo nome? Ralph Lyonel Bridges. Suo era il fazzoletto con ricamate le iniziali R. L. ritrovato accanto al cadavere di Rosina Pelli. Sue erano le pagine bruciacchiate di un breviario in lingua inglese ritrovate accanto al corpicino della Leonardi. Suo un catalogo di libri ascetici le cui pagine furono trovate dalla Polizia sul luogo ove fu straziata Bianca Carlieri.
Dosi presentò il risultato delle indagini ai superiori, ma non si volle dare alcun seguito a parte il fatto che il pastore Bridges fu estradato in silenzio nella sua terra. Mussolini, in quegli anni, era impegnato a stabilire un rapporto con l’Inghilterra e sembra non vedesse di buon occhio un “fattaccio” nel quale era implicato un suddito di Sua Maestà.
Dosi vide il suo zelo premiato con l’ostracismo da parte dei vertici della Polizia e poi con l’internamento in un manicomio.
E Girolimoni che fine fece? Visse alla meno peggio, svolgendo lavori saltuari. Fino all’ultimo, la gente, sentendo il suo cognome, aveva un moto di ripulsa. Lui, innocente, morì a Roma nel 1961. Al suo funerale solo quattro amici; nessun parente, neanche alla lontana. Seguiva però il feretro Giuseppe Dosi, colui che non credette mai alla sua colpevolezza.
Girolimoni era vissuto per anni in una cameretta in affitto a Testaccio, a lungotevere degli Artigiani. Trovò sepoltura al Verano nella tomba di un conoscente; dopo qualche anno, però, la salma fu esumata e collocata in una sepoltura a terra, oggi dimessa. I resti furono deposti nell’ossario comune.
Le vittime Elisa Berni, Armanda Leonardi e Bianca Carlieri riposano nel cimitero romano in altrettanti loculi offerti dal Municipio della Capitale, al gruppo 31. Per Rosina Pelli, invece, la sepoltura alla base della cosiddetta “scogliera”, è in marmo bianco e fu offerta dalla regina Elena di Savoia. Su questa tomba, ormai da anni, vengono deposti fiori freschi, quasi sempre margherite bianche.
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