Angiolo Marroni, Garante dei diritti
dei detenuti del Lazio, traccia in questa
intervista una radiografia
degli istituti di pena nella Regione
L’indulto a suo tempo approvato ha in parte alleggerito gli Istituti di pena della Regione?
Occorre anzitutto specificare che i dati cui faccio riferimento non comprendono in alcun modo i soggetti affidati a misure alternative alla detenzione ma soltanto a coloro che, al momento dell’approvazione del provvedimento di indulto, erano detenuti negli Istituti penitenziari del Lazio.
Si può certamente affermare che la legge 241/2006 ha di molto alleggerito la situazione all’interno degli Istituti di pena. Ricordo che il provvedimento è entrato in vigore il 1° agosto del 2006, quando la popolazione penitenziaria regionale si attestava intorno alle 6.000 unità (5.994 detenuti al 30 giugno 2006), ben oltre la capienza regolamentare pari a circa 4.650 unità.
Subito dopo l’indulto vi è stata una fortissima riduzione della popolazione penitenziaria, che dopo circa 2 mesi dall’approvazione del provvedimento era scesa a 3.753 unità.
Tuttavia, come abbiamo denunciato sin dal primo momento, al provvedimento di clemenza non sono stati affiancati adeguati interventi a sostegno di coloro che venivano rimessi in libertà, che spesso si sono trovati privi di qualsiasi forma di sostegno, a partire dalle fondamentali esigenze della casa e del lavoro. Questo ovviamente ha prodotto un sovraccarico sulle strutture assistenziali degli Enti locali, già di per sé in seria difficoltà, senza che a questo aumento di prestazioni sia seguito un adeguamento delle risorse messe a disposizione.
Si è poi sprecata un’importante occasione per sfruttare questo periodo di relativa riduzione della popolazione penitenziaria per approvare un serio piano di riqualificazione degli Istituti penitenziari, che ancora oggi purtroppo si presentano spesso inadeguati se non addirittura in alcuni casi fatiscenti.
Si può quindi dire che purtroppo l’indulto, pur avendo migliorato sensibilmente le condizioni dei detenuti grazie alla soluzione del problema del sovraffollamento, non è stato utilizzato per avviare quel processo di ammodernamento e miglioramento dell’intero sistema penitenziario da più parti auspicato e mai seriamente affrontato.
Probabilmente vi è ancora margine per intervenire prima che si torni alla situazione pre-indulto, ma il tempo stringe e certamente l’attuale clima di incertezza politica non aiuta.
Allo stato attuale qual è la situazione nelle carceri della Regione, soprattutto per quanto attiene l’affollamento e la situazione carceraria?
Come dicevo l’indulto ha aiutato molto, ma purtroppo più si va avanti nel tempo più gli effetti positivi si riducono. A questo proposito devo però tornare a smentire il luogo comune secondo cui l’indulto sarebbe stato inutile e dannoso, avendo rimesso in libertà un gran numero di detenuti che sarebbero tornati a delinquere. A quasi un anno e mezzo dall’approvazione del provvedimento i dati dicono chiaramente che la percentuale delle recidive tra i detenuti beneficiari dell’indulto è di gran lunga inferiore a quello ordinario. Si può quindi sostenere che l’indulto è stato colto da parte della stragrande maggioranza dei beneficiari come una nuova occasione, come uno stimolo a non delinquere ulteriormente.
Il vero problema è che purtroppo al provvedimento di clemenza non è seguita quella profonda rivisitazione del sistema punitivo del nostro Paese che avrebbe consentito una stabile e sistematica riduzione del numero dei detenuti. Non si è ad esempio provveduto alla depenalizzazione di una serie di manifestazioni di disagio sociale che si pensa di risolvere semplicemente con il carcere. La vigente legislazione in materia di immigrazione e di lotta agli stupefacenti, sulla quale il governo Prodi non ha avuto il tempo o la volontà di intervenire, puniscono con il carcere delle condotte che sono espressione non tanto di criminalità quanto di un disagio sociale molto diffuso nelle fasce più deboli della nostra società.
Accanto a questo non si è ancora provveduto ad ampliare il ricorso alle misure alternative alla detenzione che, aldilà anche qui dei facili proclami, si sono dimostrate un efficiente strumento per abbattere le recidive. Il mio ufficio è molto impegnato in questo campo. Lo scorso mese di luglio abbiamo organizzato un convegno nel quale insigni studiosi e tecnici del settore si sono confrontati sul tema, in occasione della presentazione della bozza di riforma del Codice penale elaborata dalla commissione Pisapia. Il progetto di un nuovo Codice contiene degli aspetti interessanti sotto questo punto di vista, ma dobbiamo andare ancora più avanti.
Quali altre iniziative l’Ufficio del Garante prenderà (a breve e lungo termine) in favore dei ristretti?
Sin dalla mia nomina a Garante dei diritti detenuti della Regione Lazio, ho voluto interpretare la mia funzione nel senso di fornire a tutti coloro che sono a contatto con il mondo della detenzione (detenuti, operatori, magistrati, agenti di Polizia Penitenziaria) un punto di riferimento per cercare nel concreto, attraverso interventi specifici, di migliorare la condizione complessiva dei detenuti. Ritengo infatti che la civiltà di un Paese si misuri anche nel trattamento che riserva a coloro che hanno infranto la legge, che mai deve andare oltre quello che l’ordinamento prevede.
La privazione della libertà è infatti di per sé una sanzione dura ed affittiva, cui non deve accompagnarsi la compressione di altri diritti costituzionali come la salute, il lavoro o l’istruzione. Proprio per questo il mio ufficio è impegnato, oltre che nella verifica del rispetto della dignità e dei diritti fondamentali del detenuto, anche nel fornire nuove ed ulteriori opportunità.
Siamo ad esempio intervenuti per offrire ai detenuti borse lavoro e tirocini formativi, che ponessero le basi per un proficuo reinserimento sociale dei condannati e siamo parte attiva nel progetto di microcredito avviato dalla Regione Lazio, con l’obiettivo di favorire la nascita di nuove attività attraverso l’erogazione di contributi economici a soggetti che non avrebbero accesso ai normali circuiti bancari (come i detenuti ed ex detenuti).
Abbiamo poi cercato di offrire nuove opportunità di lavoro, favorendo la creazione di cooperative sociali all’interno degli Istituti di pena (in questo settore abbiamo ottenuto ottimi risultati soprattutto negli Istituti di Velletri, Rebibbia Penale, Rebibbia Nuovo Complesso e Civitavecchia).
Significativo è anche il nostro impegno per favorire l’istruzione e la formazione professionale all’interno degli Istituti, dove ad esempio abbiamo avviato un importantissimo progetto di teledidattica, grazie al quale i detenuti di Rebibbia N. C. possono seguire le lezioni di alcune facoltà dell’Università di Roma Tor Vergata direttamente dal carcere.
Siamo parte attiva nel garantire il diritto alla salute all’interno del carcere. Da anni chiediamo che venga attuato il d.lg 230/99 che prevede il passaggio alle Asl della gestione della sanità penitenziaria. Abbiamo poi attivato una serie di progetti volti a migliorare la salute dei detenuti in carcere (dall’offerta di un servizio di prevenzione e cura delle patologie dentali, all’assistenza ai minorati psichici, fino alla promozione della salute attraverso l’elaborazione di opuscoli informativi e la dotazione di materiale sportivo agli Istituti di pena).
Nel tempo il nostro ufficio ha acquisito una forte credibilità ed è quindi diventato un punto di riferimento per i singoli detenuti che si rivolgono a noi per chiedere soluzioni ai loro problemi (dai trasferimenti presso altri Istituti, al lavoro, alla casa ecc.). Ovviamente siamo intervenuti anche per risolvere queste singole problematiche.
Nei prossimi anni si tratterà di proseguire lungo la strada già tracciata cercando di ottenere un progressivo miglioramento delle condizioni di vita dei detenuti. Accanto a questo continueremo a batterci per l’affermazione di un nuovo modello di diritto penale, e a tal proposito abbiamo già in cantiere la realizzazione di nuovi convegni scientifici sulle problematiche del lavoro in carcere e in materia di diritto penitenziario europeo.
E’ possibile tracciare una tipologia, per nazionalità e reato, della popolazione carceraria nei quattordici istituti di pena del Lazio?
Per quanto riguarda la popolazione penitenziaria ad oggi il numero di detenuti nella nostra Regione è di circa 4.800 persone, a fronte di una capienza regolamentare di circa 4.600 detenuti ed una tollerabile di 6.578. Pur non essendo quindi al livello di emergenza di prima dell’indulto debbo dire che certamente la situazione non è rosea, proprio per quella mancanza di strategia che ho già cercato di delineare.
Per quanto riguarda la distinzione per nazionalità v’è da dire che la percentuale degli stranieri in carcere è di quasi il 50%, rispetto al totale della popolazione detenuta (2.125 su un totale di 4.869 detenuti). In relazione alla posizione giuridica dei ristretti, dopo l’indulto vi è stato una forte modificazione dei rapporti tra detenuti in attesa di giudizio e condannati in via definitiva. Questo perché il provvedimento di clemenza è destinato soltanto ai condannati definitivi, il cui numero è quindi diminuito, mentre coloro che sono in attesa di giudizio sono rimasti sostanzialmente invariati, con la conseguenza di far aumentare sensibilmente la percentuale di questi ultimi. Questo comporta dei gravi problemi dal punto di vista sia trattamentale che di accesso alle misure alternative. Com’è ovvio infatti la carcerazione preventiva è solitamente molto più breve della condanna definitiva, con la conseguenza di rendere molto più difficile l’avvio di un serio processo trattamentale. In altri termini oggi negli istituti di pena vi è, molto più che in altri periodi, una fortissima turnazione di detenuti ed una conseguente riduzione anche dell’accesso alle misure alternative, anch’esse destinate solo ai condannati in via definitiva.
Questo fa capire come nel nostro Paese non vi sia tanto un’esigenza di certezza della pena, quanto piuttosto di una certezza dei tempi dei processi, che se ridotti a tempi ragionevoli, ridurrebbero a livelli fisiologici il ricorso alla carcerazione preventiva.
Con riferimento invece al tipo di reato commesso, è utile osservare che un gran numero di detenuti hanno commesso reati contro il patrimonio come il furto o la ricettazione, puniti con pene edittali mai troppo alte, che rendono difficile un effettivo processo di recupero e reinserimento sociale.
Sarebbe anche in questo caso opportuno intervenire non tanto attraverso le solite politiche restrittive legate unicamente alla soluzione carceraria (magari attraverso un irragionevole aumento delle pene edittali), ma tentare una nuova via fatta di misure alternative, che – dati alla mano – riducono sensibilmente le recidive e consentono un progressivo reinserimento sociale. Sotto questo versante la legge cosiddetta ex-Cirielli non aiuta affatto a causa delle forti limitazioni introdotte alla concessione di misure alternative in caso di recidiva (purtroppo molto numerose per questo tipo di reati).
Punire con il carcere, infatti, forse rassicura le nostre coscienze ma non risolve le giuste preoccupazioni legate alla sicurezza, sempre più avvertite dai cittadini, né tantomeno favorisce un processo di reinserimento del condannato.
|