La retata contro le SA di Berlino scatta verso mezzogiorno. Le SS e gli uomini della Landespolizei circondano il quartiere di Tiergarten, tradizionale “santuario” delle camicie brune, e fanno irruzione con le armi in pugno nella sede principale delle SA in Wilhelmstrasse; gli arrestati vengono trasferiti nella caserma di Gross Lichterfield grazie ai camion ancora una volta messi a disposizione dalla Reichswehr.
Come a Monaco, le reazioni sono praticamente nulle. Solo pochi abbozzano una resistenza o tentano di fuggire: vengono abbattuti sul posto. La maggior parte delle SA, invece, appare anche qui più stupita che rabbiosa, e tutt’al più si permette qualche protesta per i modi brutali dei “camerati” che ora li sottopongono a quello stesso trattamento sino ad allora da essi stessi riservato ai “nemici del Terzo Reich”.
Pochi sembrano sospettare il tragico destino che li attende per mano del Leibesstandarte e dell’Hausmacht, anche se i bruschi interrogatori, gli insulti e le percosse cui vengono sottoposti al loro arrivo nella destinazione finale non dobrebbero lasciar presagire nulla di buono.
Le fucilazioni avvengono a gruppi di dieci-venti prigionieri per volta e sono eseguite da plotoni d’esecuzione composti per lo più dalle SS del Leibesstandarte. I condannati a morte vengono schierati contro i muri del cortile principale – che resteranno chiazzati di sangue per mesi – mentre i loro carnefici si dispongono a pochi metri di distanza. Ogni salva è preceduta dal comando: “Per ordine del Führer! Puntate! Fuoco!”.
Il questo modo, nel giro di poche ore, viene eliminato l’intero Stato Maggiore delle SA berlinesi, più centinaia di graduati e militi in camicia bruna.
Le fucilazioni si susseguono anzi a un ritmo così accelerato che nel pomeriggio si renderà necessario far ricorso anche a manipoli scelti di SS-Allgemeine, armati di fucili forniti dalla Reichswehr; e parecchie esecuzioni saranno effettuate all’aperto, nel campo per le esercitazioni, sotto gli occhi inorriditi degli abitanti delle case attorno.
Il nome di chi ha comandato i plotoni d’esecuzione non sarà mai reso noto. Più tardi circolerà la voce che Göring e Himmler abbiano assistito alle fucilazioni principali, ma è pura leggenda. Così come non risponde a verità l’altra voce secondo cui la Reichswehr avrebbe distaccato un paio di ufficiali superiori per sovrintendere alla “purga”.
Il “re” delle SA berlinesi, Karl Ernst, l’ultimo SA-Obergruppenführer del pacchetto di mischia di Röhm, viene arrestato a Brema mentre sta per partire in viaggio di nozze su una nave diretta a Madera. A differenza degli altri, Ernst alza la voce, esige di parlare al telefono con il “camerata Göring” e chiede che si informi subito il suo amico “Audi” Hohenzollern del tragico malinteso di cui si ritiene vittima.
Ma non serve a nulla. In manette, viene caricato a forza su un’auto che lo trasporta sino all’aeroporto dov’è in attesa un piccolo aereo delle SS. La sua permanenza a Gross Lichterfield dura soltanto poche ore. Prima di sera finirà anche lui davanti al plotone d’esecuzione, che affronterà al grido di “Heil Hitler!”: forse senza neanche rendersi ben conto di quello che sta accadendo.
[Tratto da: Sergio De Santis “La notte dei lunghi coltelli
La vera storia delle SA” Avverbi edizioni, pagg. 206, ? 14,00]
|