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Febbraio-Marzo/2008 - Articoli e Inchieste
Aggressività
Un impulso presente dalla nascita
di Marco Cannavicci - Psichiatra-Criminologo

I comportamenti aggressivi sono parte
integrante della natura umana. Tuttavia
nel tempo la convivenza civile
ha spinto gli esseri a controllare le parti
più estreme del loro carattere


Nei testi di psicologia l’aggressività è definita come una normale e fisiologica componente costitutiva dell’essere umano e del suo apparato psichico. L’aggressività è un istinto di base dell’essere umano, una componente fondamentale dell’inconscio che, insieme agli altri impulsi primordiali, presenti fin dalla nascita spingono l’uomo ad agire per soddisfare i propri immediati bisogni, come avviene ad esempio per l’istinto di sopravvivenza. L’aggressività non sempre deve essere correlata a connotazioni negative in quanto riveste anche una componente positiva laddove, alla sua origine, ci consente di difenderci e preservarci nel momento in cui avvertiamo un pericolo e non possiamo fuggire. La paura, ad esempio, attiva l’aggressività come utile comportamento di difesa, che si esprime attraverso azioni di ostilità, di violenza, di distruzione, di dominio sulle possibili minacce e verso gli attacchi dei “predatori”.
I comportamenti aggressivi umani fanno parte integrante della natura umana. E fin dalla notte dei tempi l’uomo è sopravvissuto ad una natura più forte di lui grazie alla sua capacità di ragionamento di fronte ai problemi e alla sua aggressività per riuscire ad imporsi.
Tuttavia l’uomo è anche un essere sociale e per inserirsi nei gruppi sociali deve frenare la sua aggressività che di norma non favorisce ed ostacola tutti i comportamenti prosociali. Nel tempo, lo sviluppo della società e della convivenza civile hanno portato l’uomo a controllare le parti più estreme ed impulsive della propria aggressività. Il vivere sociale, di fatto, permette una convivenza meno pericolosa e problematica per tutti, favorisce l’emergere di una etica di specie alla quale si ispira il genere umano (i sentimenti di umanità, di universalità, di appartenenza...), l’elaborazione di alcuni valori generali condivisi (i diritti umani, la cooperazione e solidarietà internazionale...), lo sviluppo delle scienze del pensiero e della creatività scientifica ed artistica come massime espressioni della propria specificità.
Nonostante lo sviluppo dei freni inibitori sociali, attraverso l’educazione della famiglia, la scolarizzazione e l’impregnazione dell’etica religiosa, permane un’aggressività molto diffusa ed estesa a tutti i livelli sociali. Basta scorrere le pagine di cronaca dei quotidiani per rendersi conto di quanto l’aggressività sia visibile ed eclatante: oltre due millenni di etica pedagogica e religiosa non hanno fatto scomparire l’aggressività dalla nostra società. Anzi ci sono gruppi sociali, interi popoli, organizzazioni, gruppi, che sopravvivono grazie all’imposizione della violenza e del dominio, attraverso le guerre ed il loro potere economico, i propri interessi ed obiettivi, il proprio particolare modo di vedere in difesa della propria sopravvivenza. Innescando, da parte di chi si ritiene sopraffatto, reazioni a catena di ugual segno. Aggressività di chi attacca e aggressività di chi si difende. Anche la quotidianità è ricca di comportamenti aggressivi. Ci sono persone che faticano a domare questo impulso o non lo vogliono controllare. Si pongono verso l’altro con ostilità, arroganza, urlando e usando la parte più aggressiva di se stessi. Altri che usano l’aggressività in positivo per perseguire con determinazione progetti ed idee, per affermarsi nel mondo del lavoro, nelle relazioni sociali, in quelle famigliari o per difendere la loro dignità da persone prepotenti ed aggressive.
Esiste quindi una aggressività positiva ed una aggressività negativa. L’aggressività può avere dunque un segno costruttivo ed uno distruttivo. Da una parte ci permette di soddisfare l’istinto di conservazione cercando di affermare noi stessi nel mondo. Cercando di favorire e preservare le nostre esigenze e il benessere individuale e sociale, dandoci le energie necessarie per superare gli ostacoli e utilizzando l’assertività per farci valere. Dall’altra viene attivata, in maniera a volte improvvisa ed impulsiva, a volte predeterminata, un’aggressività distruttiva, foriera di conseguenze negative per sé o per gli altri, che si attiva di fronte a paure più o meno consapevoli, che innescano il primordiale meccanismo difensivo di aggressione, violenza, dominio.
L’aggressività, per convivere con gli altri nei contesti sociali, deve essere dosata e noi dovremmo saper acquisire le modalità più opportune per poterlo e saperlo fare. L’aggressività non è, come dicono molti psicologici televisivi, un impulso incontrollabile. Lo sviluppo di alcune parti e funzioni cerebrali (come ad esempio lobi frontali ed il centro nervoso dell’amigdala) e l’allenamento comportamentale possono aiutare a gestirla ed incanalarla. In maniera semplicistica dipende da quanto la lasciamo fuoriuscire da quel contenitore immaginario nel quale è riposta. E’ una questione che dipende molto dalla nostra capacità di autocontrollo e dalla valutazione, quasi in termini percentuali, di quanto sia necessaria per affrontare le diverse situazioni di vita. In termini ipotetici, tanto per dimensionare il discorso: se devo affermare una mia opinione con un amico ne userò il 5%, se devo difendere la mia dignità sul lavoro il 40%, se devo sopravvivere ad una aggressione fisica il 100%. Sta a noi dosarla in maniera adeguata, per favorire i nostri bisogni senza metterli troppo in conflitto con la necessità di adattamento, e quindi di rinuncia dall’essere aggressivi o assertivi, alla situazione stessa.
La capacità di autocontrollo e i limiti sociali aiutano quindi a guidare in maniera costruttiva la nostra naturale aggressività. Se non c’è l’uno e non ci sono gli altri l’aggressività è destinata a scatenarsi nelle sue forme più distruttive e violente. Probabilmente una parte di aggressività violenta ma latente è presente a livello individuale in ognuno di noi. Non si spiegherebbero certi eclatanti episodi come quelli che si sono verificati durante la guerra in Bosnia e Croazia, nel cuore della civilissima Europa, dove si è assistito all’assassinio gratuito di pacifici vicini di casa e addirittura di parenti, solo perché appartenenti ad etnie diverse.
Oppure l’aggressione fisica da parte di cosiddetti rispettabili cittadini che, per ripristinare le cose secondo il loro modo di vedere, tendono a farsi giustizia da sé, nei confronti dei comportamenti a dir loro poco civili di chi è diverso, in particolare extracomunitari e barboni, e che per razza, cultura o stato economico non hanno la loro stessa sensibilità civile.
Frequenti anche lo scatenarsi di raptus improvvisi e di omicidi in famiglia da parte di persone apparentemente tranquille e adeguate al vivere sociale. Infine basti pensare a ciò che è successo qualche anno fa nella civilissima America a New Orleans, dove, dopo la recente inondazione, assente e impotente la Polizia, la popolazione è stata preda della violenza e della legge del più forte instaurata da gruppi di criminali violenti ma anche di persone comuni, che in un clima di totale impunità hanno rapinato, ucciso, violentato, tenendo sotto scacco migliaia di persone impaurite.
Ci sono poi azioni aggressive tra le più distruttrici come le guerre, pensiamo alla ex Jugoslavia, all’Afghanistan, all’Iraq, alla Palestina, nel Darfur in Africa, che vengono legittimate e giustificate da interessi difensivi, da mire espansionistiche, o da rivendicazioni territoriali antiche e secolari, che dimostrano che anche le ragioni di strategia economica e di geo-politica hanno come substrato le radici di profonde paure (il nemico etnico, il terrorismo, la carenza di petrolio, la perdita territoriale, la sopraffazione tribale) e delle conseguenti esigenze di controllo e di dominio.
L’aggressività è dunque dentro di noi ed è fuori di noi. Influenza e condiziona sensibilmente i comportamenti umani ed i modi di pensare. L’autocontrollo e le regole sociali apprese con l’educazione e la religione hanno il compito di arginarla ed eventualmente guidarla verso usi più costruttivi. Ma quando e come si impara l’autocontrollo e i limiti sociali?
Proviamo a semplificare. Il momento di maggior apprendimento nella dinamica evolutiva dell’uomo è senza dubbio l’età infantile e quella adolescenziale. Quando cioè c’è più ricettività nell’apprendere ed eventualmente conformarsi a ciò che viene trasmesso dal mondo adulto. Quindi le domande conseguenti sono: che cosa trasmette il mondo adulto ai giovani? E come lo trasmette? Quanta capacità di autocontrollo hanno i giovani? E quanto fanno propri i limiti sociali? Proviamo ad offrire delle risposte ai quesiti che sempre più frequentemente sentiamo in giro.
I giovani fanno parte di questo mondo e di questa natura umana, quindi hanno la loro quota di aggressività negativa che va controllata. E’ così da sempre e sempre così sarà. Vanno dunque educati per inserirsi positivamente nella vita sociale. Una delle prime forme di apprendimento avviene per “modellamento”, cioè per imitazione dell’altro. Il modellamento è una necessità psicologica del bambino e dell’adolescente di avere modelli di riferimento per strutturare la propria personalità ed imitare comportamenti che si pensano giusti ed adeguati. Fornire loro dei modelli comportamentali positivi rientra nel percorso di crescita di cui hanno bisogno e che in qualche misura richiedono.
E’ chiaro che gli adulti cercheranno di trasmettere regole sociali e valori da rispettare che favoriscano l’adattamento al mondo in cui si vive. Ma se il mondo, la società, gli adulti, a volte la famiglia e la scuola nel come vengono percepiti, danno di sé un’immagine aggressiva o di eccessiva tolleranza e indifferenza di fronte all’aggressività, non potranno non trasmettere questo contenuto e questo modello negativo ai giovani, aumentando le difficoltà di adattamento sia a loro che alle persone che devono educarli alle regole sociali e all’autocontrollo.
Alcuni autori individuano l’origine dei problemi dei giovani di oggi (e dei loro genitori) in un’azione educativa troppo blanda, permissiva, che ha prodotto effetti negativi sui ragazzi sia sul piano della chiusura relazionale che di quello della trasgressione. L’incapacità giovanile di frenare gli impulsi, di negoziare i conflitti, di esprimere in maniera chiara un contrasto, di sentirsi responsabili delle proprie azioni, di riflettere sulle conseguenze dei propri atti, ha come causa generale l’incapacità di molti adulti (nella società, nella scuola, nella famiglia) di trasmettere queste competenze evolutive, in quanto carenti loro stessi di queste abilità basilari nella vita di ogni persona. Carenze che hanno una loro spiegazione nella difficoltà degli educatori nel modo di comunicare, di essere presenti, di dire dei no, di proporre dei modelli positivi, di assumere un ruolo di guida e di riferimento forti. E’ la diffusione di una cultura e di una società adulta in cui tutto sembra essere permesso, che cerca di evitare le responsabilità individuali anche tra i giovani.
Per gli adolescenti si tratta di sperimentare una libertà senza confini che porta a riconoscere, quando va bene alcune regole, ma non le norme morali ad esse correlate.
E sono proprio i punti di vista etici e politici, nella loro accezione più alta, che sarebbero utili per riaprire con i giovani una comunicazione interrotta proprio sul valore e sul significato dell’esistenza, degli ideali e dei valori di una società e della fiducia nel proprio futuro.
Per quanto riguarda le capacità di autocontrollo possiamo dire che in età adolescenziale il giovane ha già acquisito alcune competenze di autocontrollo che però, nella ricerca confusa di una propria identità e di una sperimentazione di esperienze di vita che vuole agire in prima persona e non sentirsele raccontare dagli adulti, può mettere in discussione. Caduta dei freni inibitori e sfida al mondo adulto, ricerca del rischio e della trasgressione, del divertimento e dello sballo, possono diventare un viatico per vivere in maniera apparentemente libera ma sregolata. Libera da regole e da principi morali generali. L’adolescente segue questi processi naturali che lo portano a sperimentare. Il problema è che di fronte a contesti sociali non in grado di contenerlo, sorreggerlo, guidarlo, che anzi gli rimandano un’immagine altrettanto confusa di quanto ha lui la propria, ed in più gli veicolano messaggi di indifferenza o debolezza, l’adolescente può con più facilità intraprendere strade che lo portano ad uno scarso autocontrollo e ad una libera espressione della propria aggressività. La critica implicita è rivolta agli eccessi del permissivismo educativo, alla scarsa guida etica (non moralistica) della società e al disinteresse che essa ha nei loro confronti. Ma è anche la mancanza della presenza, attenta e autorevole, di un adulto buono e positivo che è nell’immaginario degli adolescenti, ma è difficilmente presente nella loro realtà.
La capacità di autocontrollo dell’adolescente è dunque commisurata a quanto e in che maniera gli adulti di riferimento, fin dall’infanzia, hanno saputo agire su di lui in termini di insegnamento al controllo dell’emotività, a tollerare le frustrazioni, a posticipare le gratificazioni, a frenare l’aggressività, a sanzionare i comportamenti trasgressivi. L’aggressività degli adolescenti, la loro irrequietezza e impulsività, è legata quindi alla individuale capacità di autocontrollo che hanno sviluppato e al freno che i genitori e la famiglia sanno mettere ai loro comportamenti. In mancanza di questo freno è importante che anche la società nel suo insieme sia capace di far rispettare le proprie regole ponendosi come modello.
Se questo non avviene, se i modelli spesso non ci sono o sono negativi, se non scattano sanzioni certe rispetto alle azioni trasgressive, se gli adulti non intervengono a stigmatizzare le azioni di prepotenza e di delinquenza, allora è facile che i giovani tengano poco in considerazione questi limiti, non preoccupandosi delle conseguenze che potrebbero subire. Se la scuola ad esempio sottovaluta il fenomeno del bullismo, delle prepotenze continuate in classe, non prendendosi carico di quelle azioni che potrebbero contrastarlo, è facile che in quella scuola si sviluppi una cultura della sopraffazione e della impunibilità. Se per strada di fronte anche a piccole trasgressioni, a molestie, o a vere e proprie azioni delinquenziali, il cittadino comune non fa sentire la sua voce o ancora meglio non prova ad intervenire assieme ad altri per contrastare tali azioni, è chiaro che il messaggio di indifferenza, paura, condizionamento, può diventare un modello per alcuni giovani mentre l’impunità diventa un modello per altri.
In conclusione non è solo perché l’aggressività e l’intolleranza è oggi qualitativamente e quantitativamente diversa che si può pensare che i giovani di oggi siano aggressivi, violenti e pericolosi. Anche perché i giovani che si incontrano nella quotidianità non appaiano certamente tutti come dei pericolosi delinquenti o come dei trasgressivi a tempo pieno.
(cannavicci@iol.it)

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