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Febbraio-Marzo/2008 - Articoli e Inchieste
Aldo Moro
30 anni dopo: tutte le domande rimangono senza risposta
di Mario Collegramole

Troppe coincidenze (poco credibili), carenze
e comportamenti ai limiti della connnivenza: tutto
ciò lascia ancora troppi interrogativi
ai quali si cerca di rispondere
in modo evasivo o, addirittura, fuorviante


Sono passati trent’anni dal 16 marzo 1978, quando, alle 9 del mattino, un commando delle Brigate rosse rapì in via Fani, a Roma, Aldo Moro, presidente della Democrazia Cristiana, dopo averne massacrato i cinque uomini della scorta: Raffaele Iozzino, Oreste Leonardi, Domenco Ricci, Giulio Rivera, Francesco Zizzi. La detenzione di Moro in un “carcere” brigatista era durata 55 giorni, e alle ore 13,50 del 9 maggio il suo corpo era stato rinvenuto nel bagagliaio di una Renault rossa, in via Caetani, al centro di Roma, tra la sede della Dc e quella del Partito Comunista. Una collocazione emblematica, poiché Aldo Moro, la mattina del 16 marzo, si stava recando in Parlamento per assistere al varo del primo passo del suo progetto politico: il voto di fiducia a un governo, presieduto da Giulio Andreotti, sostenuto, per la prima volta dal 1947, anche dai comunisti.
La strategia di Moro, condivisa da Enrico Berlinguer, segretario del Pci, è diretta a normalizzare il quadro politico italiano, sottraendolo alla logica dei due blocchi, Ovest e Est, Washington e Mosca, codificata a Yalta. Un disegno che contempla la prospettiva di una “indipendenza europea” (l’“eurocomunismo” di Berlinguer si collocava già su questa linea), apertamente osteggiato sia dagli Stati Uniti che dall’Unione Sovietica: se a Washington si diffida di Aldo Moro e della sua politica, a Mosca Berlinguer è visto come un pericoloso eretico. Entrambi sono un pessimo esempio, sia per i Paesi della Nato sia per quelli del Patto di Varsavia. D’altra parte il disegno di Moro è malvisto anche in alcune sfere della destra Dc, e della destra tout court, un coagulo di interessi, interni ed esterni, ben rappresentato – anche a livello istituzionale - tra gli affiliati della P2 la Loggia massonica “coperta” dominata dall’onnipotente Licio Gelli. Ed è egualmente osteggiato da ambienti che si dicono di estrema sinistra, accusano il Pci di essere diventato un partito “borghese” e “riformista”, e non esitano a strizzare l’occhio al terrorismo brigatista. Non va dimenticato infatti che attorno all’eversione “rossa” ruotano intrighi e interessi che - cercando di insinuarsi nei sommovimenti della politica nazionale, di condizionarli, o di contrastarne una malvista evoluzione – non esitano a sfruttarne sottobanco le potenzialità.
I cinque uomini della scorta uccisi, Aldo Moro rapito, i 55 giorni del sequestro, il ritrovamento della salma: una vicenda drammatica che ha avuto un effetto determinante nella storia – per alcuni aspetti travagliata e anomala – della nostra Repubblica, un trauma che ha impedito lo sviluppo di un percorso il cui sviluppo avrebbe potuto condurre l’Italia, a partire dalla fine degli anni Settanta, a diventare un “Paese normale”.
Ma lasciando da parte i “se”, che com’è noto non fanno la storia, e guardando solo ai fatti, a ciò che è accaduto, si deve constatare che dopo trent’anni rimangono ancora insoluti tutti gli enigmi, e senza risposta tutte le domande, che pesano sul caso Moro.
Su questi punti sono stati scritti decine di libri, puntigliosamente documentati, in particolare quelli di Sergio Flamigni, parlamentare e membro della Commissione parlamentare sul caso Moro e della Commissione d’inchiesta sulla Loggia P2, nei quali vengono indicate coincidenze ripetute e poco credibili, accompagnate a carenze e comportamenti ai limiti (e a volte oltre i limiti) della connivenza, e l’unica reazione che si è avuta, e si ha tutt’ora, è: “dietrologia”. Se questa espressione significa voler vedere che cosa c’è veramente dietro delle versioni ufficiali lacunose e zoppicanti, la dietrologia diviene più che lecita, doverosa per chi ha il vizio di cercare per quanto possibile la verità. Ed è singolare che a dei dati di fatto si ribatta con argomenti evasivi, o addirittura devianti.

* * *
In un’intervista al Corriere della Sera del 14 novembre scorso, il senatore Francesco Cossiga, che all’epoca dell’agguato di via Fani e durante i 55 giorni del sequestro di Aldo Moro, era ministro dell’Interno, ha affermato: “Sul caso Moro sono state scritte sciocchezze che è tempo di smentire. Le dirò tutto quello che so, e tutte le idee che mi sono fatto. Moro non fu perduto dagli americani, né dalla P2. Semmai dai comunisti. Prospero Gallinari mi disse, e io gli credo, che i dirigenti dei sindacati delle fabbriche sapevano dove stavano i brigatisti. Nessuno di loro ha parlato, tranne uno Guido Rossa; e l’hanno ammazzato. Secondo Gallinari, erano mille i militanti di sinistra a conoscere la prigione di Moro. Nessuno ha parlato, tranne uno, lo studente dell’autonomia bolognese che attraverso Clò e Prodi indicò il covo di Moretti”. Stupisce che, dando perentoriamente credito alle parole del braccio destro di Mario Moretti, Cossiga si lasci andare a due dichiarazioni prive di senso. Guido Rossa, operaio sindacalista all’Italsider di Genova, fu ucciso nel gennaio 1979 perché aveva denunciato un “postino” delle Br: dire che sapeva “dove stavano i brigatisti” che avevano rapito Moro è, come minimo, una fandonia.
Quanto ai “mille militanti di sinistra a conoscere la prigione di Moro”, lo studente dell’autonomia bolognese rivelò, attraverso l’espediente della seduta spiritica, l’indirizzo di via Gradoli 96, che non è mai stata la “prigione” di Moro, bensì il covo di Mario Moretti e Barbara Balzerani, noto tra gli autonomi perché nel 1977 era stato abitato da Valerio Morucci e Adriana Faranda, che con quell’ambiente avevano mantenuto vari contatti; ma via Gradoli 96 era stato già segnalato il giorno dopo l’agguato di via Fani, e il 18 marzo la Polizia ne aveva perquisito gli appartamenti, tranne l’interno 11, occupato dall’ingegnere Mario Borghi (in quel momento assente), alias Mario Moretti. Il quale Moretti resterà in via Gradoli fino al 18 aprile, incurante della mancata perquisizione, e persino della segnalazione dello studente bolognese: che servì solo ad allestire un inutile rastrellamento nel paesino di Gradoli, nei pressi di Viterbo, mentre a Eleonora Moro che chiede al ministero dell’Interno se non potrebbe trattarsi di una via Gradoli, viene risposto che a Roma via Gradoli non esiste.
“Gallinari ha detto cose campate in aria. E mi stupisce che lui le beva”, ha commentato Emanuele Macaluso. Certo, Gallinari, Moretti, e altri ex brigatisti, hanno spesso imbastito fumose divagazioni per mantenere la versione delle Br “dure e pure”, mai, neppure indirettamente, utilizzate da altri.
Una posizione che trova ancora oggi sostenitori in ambienti diversi, e, probabilmente per motivi diversi tra loro.

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