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Febbraio-Marzo/2008 - Articoli e Inchieste
Immigrazione
“Deportati” in Tunisia
di Fulvio Vassallo - Paleologo Università di Palermo

In intervista del 28 ottobre 2004, l’allora vice comandante della Guardia di Finanza a Lampedusa, Romeo Cavallin, intervistato da Roman Herzog, ammetteva i respingimenti dei migranti in alto mare verso la Tunisia come soluzione “ideale”. Ecco cosa dice.
“Ci sono stati rimpatri in base agli accordi con la Libia e più recentemente trasbordi in mare con la Tunisia. Sono stati passati sotto nostra vigilanza dal peschereccio al guardacoste tunisino e riportati direttamente in Tunisia presi in alto mare. In ogni caso non hanno ancora commesso nessun reato. Perché il reato di emigrazione clandestina, scatta qualora attraversino fascia 12 miglia, non sono ancora entrati in territorio italiano, vengono respinti prima, vengono rimandati a destinazione. Si cerca di bloccarli prima che entrino nelle acque italiane, il cosiddetto respingimento, di non consentire di entrare in Italia, questo sarebbe l’idelae”.
Da allora i respingimenti in alto mare non sono mai cessati. Lo testimoniano i racconti dei rifugiati intervistati da Fortress Europe nel rapporto “Fuga da Tripoli”, che parlano di navi riaffidate alla Guardia Costiera libica o a quella tunisina. Respingimenti fatti sia dalle unità italiane che da quelle maltesi. Ecco una testimonianza:
Tareke, Eritrea - “Ci siamo imbarcati da Zuwarah nel luglio 2005. Eravamo 264 persone, su una vecchia nave, di notte. Dopo dieci ore di navigazione, il motore si ruppe. Passammo cinque giorni in mare, in avaria. Poi una nave militare battente bandiera maltese, intorno alle 17 ci soccorse. A bordo c’erano anche donne e bambini. Dopo qualche ora si avvicinò una barca rossa battente bandiera italiana, scattarono delle foto poi se ne andarono. I maltesi ci agganciarono al traino e invertirono la rotta, verso sud. Finché ci raggiunse una nave battente bandiera libica. I maltesi tornarono indietro, e i libici ci trainarono fino al porto più vicino, dove arrivammo l’indomani. Mentre ci facevano scendere sul molo, gli agenti ci canzonavano: ‘Allora, volevi andare in Italia te, eh?’ e ci spintonavano dandoci schiaffi, calci e cazzotti”.
Recentemente invece è stato un peschereccio spagnolo, il Corisco, ad aver riportato a Tripoli 50 migranti salvati in acque internazionali, 80 miglia a nord della costa libica, il 13 ottobre 2007. Quattro mesi prima, il 13 giugno, un altro peschereccio spagnolo, il Santa Maria de Loreto, aveva fatto la stessa cosa con 51 naufraghi soccorsi al largo. E il 18 luglio 2007, invece, un peschereccio tunisino era stato dirottato dai migranti che aveva soccorso e preso a bordo, che volevano fuggire dalla motovedetta della Marina tunisina che si stava avvicinando e che li avrebbe portati in Tunisia per poi espellerli in Libia, come di fatto poi avvenne, senza che l’Acnur di Tunisi fosse autorizzata ad esaminare i casi dei 22 respinti somali, sudanesi, eritrei ed etiopi, tra cui 11 donne e due bambine di sei mesi e cinque anni, e senza che oggi si sappia nemmeno il nome del carcere in cui sono finiti una volta in Libia.
Ma i respingimenti si fanno anche sotto la falsa veste del soccorso in mare. Lo ha ammesso lo stesso comandante della nave Vega della Marina Militare Italiana, Francesco Saladino, esaminato come teste nel processo di Agrigento che giudica sette pescatori tunisini accusati di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina per aver sbarcato a Lampedusa 44 naufraghi soccorsi al largo dell’isola. Secondo la deposizione di Saladino, lo scorso 8 agosto una corvetta militare tunisina di tipo combattente soccorreva 34 miglia a sud di Lampedusa un’imbarcazione di migranti in difficoltà e li riaccompagnava verso le coste tunisine. Casi come questo sono frequenti e sono coordinati dai Marittime search and Rescue Coordination Center (Mrcc, Centri di coordinamento del soccorso in mare) di Tunisi, Roma, La Valletta e Tripoli, che si dividono gli interventi a seconda della localizzazione delle navi e della disponibilità di mezzi di soccorso. Trattati come interventi di salvataggio, di fatto contravvengono le convenzioni internazionali sui diritti umani.
La stessa Convenzione Sar sul salvataggio in mare indica l’obbligo di ricondurre i naufraghi nel porto più sicuro, e non più vicino, e che nel caso di cittadini di Paesi terzi non può essere in nessun caso un porto in Tunisia o Libia, dove è documentata la sistematica detenzione arbitraria e in condizioni degradanti dei migranti rimpatriati.
L’espulsione in Paesi terzi dove la persona rischi trattamenti inumani o degradanti è proibita anche dalla Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura e dalla Carta Europea dei Diritti umani. Senza parlare dell’espulsione dei rifugiati in Paesi terzi non sicuri, proibita dalla Convenzione di Ginevra e dalla Convenzione dell’Unione africana sui rifugiati. Tunisia e Libia non sono oggi in grado di proteggere i rifugiati, basta leggersi il rapporto sulla Libia di Fortress Europe, di Human Rights Watch, e l’Acnur incapace di garantire il diritto d’asilo in questi Paesi, per la precarietà operativa e politica delle proprie rappresentanze a Tunisi e Tripoli.

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