E’ quello siglato fra Italia e Libia
riguardante il “fermo di natanti” del mare
libico: si tradurrà in una offensiva
contro categorie deboli che chiedono
asilo, spacciata per “lotta al terrorismo”
Negli stessi giorni in cui in Pakistan veniva imbastita una montatura di regime da parte di Musharaf per coprire le responsabilità dell’omicidio politico di Benazir Bhutto, tra la Libia e l’Italia si è giocata una partita diplomatica che ha finalmente prodotto i risultati da tempo sperati dai governi italiani, prima da Berlusconi e da Pisanu, poi da Prodi, D’Alema e Amato.
Da una parte all’altra del mondo, si continua a puntare su regimi chiaramente dittatoriali per “garantire la pace” nelle relazioni internazionali e la sicurezza interna. Con quali risultati è possibile per tutti, oggi, verificare. L’allarme terrorismo si è da tempo esteso all’Africa settentrionale e ovunque si registra una alleanza di fatto (malgrado dichiarino di combattersi a vicenda) tra le organizzazioni terroristiche e i regimi militari, a danno della società civile, degli studenti, dei docenti universitari, degli operatori dell’informazione, degli avvocati, dei magistrati e di tutti coloro (anche esponenti politici) che in quei Paesi lottano ogni giorno per la pace e la democrazia, attraverso la giustizia sociale, senza aspettare che siano le armi e le divise ad imporle.
La legittimazione del colonnello Gheddafi dopo il vertice di Lisbona, e il suo viaggio in Francia e in Spagna, come gendarme di un’area ad alto rischio, faceva facilmente prevedere una intensificazione dei rapporti già esistenti di collaborazione con i Paesi europei nel contrasto dell’immigrazione clandestina. Già dal 2003, peraltro, l’Italia aveva concluso e praticato con la Libia intese operative, come quelle che tra il 2004 e il 2005 avevano comportato le deportazioni collettive da Lampedusa, malgrado la condanna del Parlamento Europeo e della Corte Europea dei diritti dell’uomo. Dopo mesi di trattative riservate, sulle quali si è taciuto persino in Parlamento, fino a qualche mese fa, di fronte a diverse interrogazioni parlamentari che chiedevano di fare chiarezza sui rapporti tra la Libia e l’Italia, si è giunti a Tripoli alla firma di un “protocollo d’intesa” da parte del ministro Amato e del suo omologo libico. Si istituiscono centrali operative e sistemi di monitoraggio comuni per contrastare l’immigrazione clandestina, consentendo finalmente di schierare unità militari italiane in acque libiche, per adesso sei imbarcazioni (!) tra le più avanzate tecnologicamente, che opereranno con equipaggi misti, e impegnando l’Italia ad ulteriori iniziative a livello europeo per rinforzare i dispositivi di “guerra all’immigrazione illegale” come l’agenzia Frontex.
Secondo quanto si apprende dai giornali (fonte: Corriere della Sera) “la direzione e il coordinamento delle attività addestrative ed operative di pattugliamento marittimo vengono affidati ad un Comando operativo interforze che sarà istituito presso una ‘idonea struttura’ individuata dalla Libia. Il responsabile sarà un ‘qualificato rappresentante’ designato dalle autorità libiche, mentre il vice comandante (con un suo staff) verrà nominato dal governo italiano. Tra i compiti del Comando interforze quello di organizzare l’attività quotidiana di addestramento e pattugliamento; di ‘impartire le direttive di servizio necessarie in caso di avvistamento e/o fermo di natanti con clandestini a bordo’; di interfacciarsi con le ‘omologhe strutture italiane’, potendo anche richiedere l’intervento o l’ausilio dei mezzi schierati a Lampedusa per le attività anti-immigrazione”.
I termini dell’accordo, malgrado il riserbo ufficiale, appaiono molto chiari. Sappiamo già cosa significa il “fermo di natanti” in mare, migliaia di morti e ancora processi per i comandanti delle imbarcazioni non militari, autori di interventi di salvataggio.
Il protocollo sottoscritto a Tripoli da Amato e dal Ministro dell’Interno libico rientra tra gli accordi che sono previsti già nel Testo Unico sull’immigrazione agli articoli 2,3 e 21, modificati dalla legge Bossi-Fini, con disposizioni che suscitano ancora gravi sospetti di incostituzionalità perché si tratta di accordi internazionali di indubbia valenza politica e di ingente portata economica che sono sottratti alla ratifica parlamentare prevista dall’art. 80 della nostra Costituzione. Gli stessi accordi, a seconda del loro contenuto, o delle intese operative che ne seguono, possono violare principi consolidati di diritto internazionale.
La riammissione, o il respingimento a mare, di migranti verso Stati che non garantiscano il rispetto dei diritti umani fondamentali, ovvero nei quali gli interessati possano essere vittime di trattamenti disumani o degradanti, è tassativamente proibita dall’art. 3 della stessa Convenzione Europea. Analogamente è proibito il rinvio verso Stati nei quali non vi è l’effettiva possibilità di accedere alla protezione prevista dalla Convenzione di Ginevra sullo status di rifugiato.
In questi anni si è avuta anche notizia di numerosi casi di respingimento di potenziali richiedenti asilo da parte delle autorità libiche e sono ormai numerose le testimonianze sulla detenzione in condizioni disumate e degradanti che viene praticata in Libia, come si è verificato nel caso degli eritrei e degli altri migranti irregolari detenuti nel carcere di Misurata ed in altri luoghi di detenzione, anche fosse scavate nel deserto. I migranti irregolari, anche quelli giunti in Libia per lavorare, attratti dagli inviti del colonnello Gheddafi ai tempi dell’embargo, sono stati poi utilizzati come merce di scambio e sono stati consegnati dalle autorità di Polizia libiche agli Stati dai quali fuggivano, come il Sudan o l’Eritrea, subendo imprigionamenti arbitrati e torture di ogni genere. Chi è riuscito a salvarsi ha dovuto pagare somme sempre più elevate alla Polizia libica. Con questi leader politici e con queste Forze di polizia adesso l’Italia ha firmato un protocollo per la “cooperazione contro l’immigrazione clandestina”. Vedremo e documenteremo attraverso le testimonianze che sarà possibile raccogliere come e quando gli agenti italiani che collaboreranno con la Polizia libica riusciranno a garantire i diritti umani dei migranti e a contrastare la corruzione diffusa a tutti i livelli.
Al di là del giudizio negativo che si può formulare su un accordo concluso sulla pelle dei migranti, senza alcun riguardo per le categorie più vulnerabili, come donne, minori, richiedenti asilo, viene forte il dubbio che i Paesi, come la Francia e l’Italia, che stanno investendo risorse ingenti nell’affidare a regimi dittatoriali compiti sempre più importanti per bloccare l’immigrazione e per combattere il terrorismo, possano avere fatto male i propri conti, per la inaffidabilità dei partner che non sembrano certo in grado di garantire quanto hanno millantato, ma che intanto prosperano sugli aiuti economici e sulle forniture militari che gli vengono generosamente elargite. Continuando a governare con la violenza militare e con la repressione di qualunque forma di dissenso. Malgrado il “maquillage” democratico consigliato a bassa voce dai partner europei.
Nel corso dei suoi incontri a Parigi, Gheddafi ha immediatamente smentito Sarkozy quando questi ha affermato di avere trattato, nel suo colloquio con il leader libico, il dossier sul rispetto dei diritti umani in Libia. La Libia non è poi così distante dal Pakistan, quanto a rispetto dei diritti fondamentali della persona, e rimane tutta da provare la sua effettiva capacità deterrente verso le organizzazioni terroristiche, mentre sta cominciando a ricevere (dalla Francia) materiali utili per la costruzione di centrali nucleari, per uso civile, naturalmente, centrali che saranno ubicate a poche centinaia di chilometri dal territorio italiano. Speriamo almeno che i sistemi di sorveglianza funzionino e che gli addetti alla manutenzione di queste installazioni nucleari siano più diligenti dei loro colleghi che hanno messo fuori uso in pochi giorni le prime motovedette vendute loro dall’Italia. E speriamo soprattutto che una volta riconosciuto il colonnello Gheddafi come leader regionale, non sia proprio l’Italia, dipendente dalla Libia per le forniture energetiche, a pagare le conseguenze più amare dei ricatti e dei voltafaccia di questo scomodo alleato.
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