Bruno Contrada nasce a Napoli, il 2 settembre 1931. Nel 1958 frequenta a Roma il corso di istruzione presso l’Istituto Superiore di Polizia e l’anno successivo è assegnato alla Questura di Latina. La sua carriera palermitana inizia degli anni Sessanta, prima con la direzione Sezione Volanti (1962), poi con vari incarichi sul fronte della lotta alla mafia: dirigente della Catturandi, della sezione Antimafia, di quella Investigativa, della Mobile. Nell’ottobre ’76 diventa capo della Criminalpol della Sicilia occidentale, fino al gennaio ’82, quando passa al Sisde, il servizio segreto civile, per coordinarne gli uffici di Sicilia e Sardegna. Incarico che ricopre contestualmente a quello di capo di gabinetto dell’Alto Commissario per la lotta alla mafia Emanuele De Francesco (che era anche direttore del Sisde) e del suo successore, Riccardo Boccia. Nel gennaio 1986 è trasferito a Roma e promosso a responsabile del terzo reparto operativo. Tra l’agosto del ’91 e l’agosto del ’92 coordina i centri Sisde del Lazio e dirige il gruppo “Roma 3” sulla criminalità organizzata. Poi torna in Sicilia per coordinare un gruppo di indagine dei servizi segreti sulle stragi di Capaci e via D’Amelio.
È arrestato la vigilia di Natale di quello stesso anno, per concorso esterno in associazione mafiosa: 5 collaboratori di giustizia – Buscetta (le sue dichiarazioni risalgono al 1983), Mutolo, Marchese, Spatola e Scavuzzo – lo accusano di avere fatto svariati favori ai boss. L’inchiesta della Procura è affidata ad Antonio Ingoia, magistrato molto vicino a Paolo Borsellino, e ad Alfredo Morbillo, fratello di Francesca, la moglie di Giovanni Falcone, morta con lui nella strage.
Il processo inizia il 12 aprile del 1994, con l’imputato ancora in carcere. Contrada torna in libertà alla fine di luglio dell’anno successivo, dopo 31 mesi di carcerazione preventiva e ben sette istanze di scarcerazione rigettate dal Tribunale della Libertà, a conferma della solidità dell’impianto accusatorio. Il dibattimento si conclude il 5 aprile del ’96 con una sentenza di condanna a dieci anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa.
Cinque anni dopo, il 4 maggio del 2001, la sentenza d’appello lo assolve: «Il fatto non sussiste». Un anno e mezzo dopo (12/12/2002), accogliendo il ricorso del Procuratore generale, la Cassazione demolisce i motivi d’appello, bollando la sentenza (assai stringata) come «incompleta», «parziale», «inesatta», «incomprensibile», «illogica», «disarticolata».
Il nuovo processo d’appello si conclude il 25 febbraio del 2006 e conferma il verdetto di primo grado: 10 anni di carcere. Confermati, definitivamente, dalla Cassazione il 10 maggio del 2007, con motivazioni depositate l’8 gennaio di quest’anno, proprio mentre infuriava la polemica per la possibile concessione della grazia all’ex 007, detenuto nel carcere militare di Santa Maria Capua Vetere, vicino Napoli.
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