In America le scuole per sole ragazze sono di gran moda. Non solo tra i conservatori, ma anche fra i liberali e le femministe.
Fino a dieci anni fa, negli Stati Uniti le scuole pubbliche per studenti dello stesso sesso erano tre. Oggi sono 262, disseminate per tutto il paese, dal ghetto di Bedford Stuyvesant di New York al quartiere più trendy di Los Angeles, Beverly Hills.
L’idea di separare i ragazzi dalle ragazze non solo piace agli ultraconservatori americani, ma ha conquistato anche i liberali: ad una di loro, la ex governatrice democratica del Texas, è stata intitolata una delle più quotate scuole femminili dello stato, la Ann Richards School for Young Women Leaders. La divisione tra i sessi, del resto, non ha una motivazione etica e tanto meno religiosa. A detta di molti esperti della comunità didattica, nelle scuole miste la presenza dei ragazzi interferirebbe con il potenziale accademico delle loro compagne, penalizzandone il rendimento. Alla base di questa affermazione sta la convinzione che le strutture cerebrali dei due sessi siano profondamente diverse e, di conseguenza, anche i rispettivi metodi di apprendimento. Il cervello dei maschi ha più materia grigia, sede dei centri di elaborazione delle informazioni; quello delle ragazze ha più materia bianca, responsabile della relazione tra le aree cerebrali. Gli scienziati parlano di un’intelligenza “emotiva” delle donne, che consiste in un approccio intuitivo alla conoscenza, e di un’intelligenza “pratica” degli uomini, fondata sull’esperienza. Uno studio dell’Università di Alberta ha confermato che uomini e donne non solo mettono in funzione diverse parti del cervello per compiere la stessa attività, ma che, in processi logici differenti, usano la medesima area cerebrale. Della stessa opinione è la neuropsichiatra Mona Lisa Schultz, autrice del libro “The new feminine brain”, in cui afferma che l’evoluzione della tecnologia e della società negli ultimi cinquant’anni ha fortemente penalizzato le donne, costrette a vivere in un mondo a immagine e somiglianza del cervello maschile. Questa è la tesi su cui si fonda il separatismo scolastico di stampo “progressista” e femminista. La divisione, spiega la Schultz, è uno strumento per imparare in modo meno ortodosso rispetto ai colleghi maschi come si usa il computer, come si affronta una riunione d’affari o una questione finanziaria. Proprio come nell’antichità, le donne dovrebbero tornare ad imparare da altre donne e non essere costrette, come nel mondo moderno, a sviluppare un’intelligenza ad hoc per compensare questo squilibrio.
I risultati, secondo alcune ricerche, sembrerebbero dar ragione ai “separatisti”: in assenza dell’altro sesso, i ragazzi imparano meglio le lingue straniere e le ragazze raggiungono risultati migliori in algebra e in scienze.
Ma se i conservatori gongolano e le femministe esultano, c’è chi, come Stephanie Monroe, capo della divisione per i diritti civili del ministero dell’Istruzione di Washington, definisce anticostituzionale la separazione dei sessi nelle scuole. E si dichiara preoccupata per la sempre maggiore influenza della potente lobby National Association for single sex public education (Nasspe), fervente sostenitrice della diversità biologica del cervello maschile da quello femminile. Preoccupati si dicono i membri dell’American Civil Liberties Union (Aclu), che temono il ritorno di anacronistici stereotipi di identità sessuale. Inoltre, accettato che il cervello degli uomini è diverso da quello delle donne, si potrà impedire che qualcuno riaffermi anche la differenza tra quello dei bianchi e dei neri? Il rischio non è solo una pericolosa svolta di tipo conservatore, ma anche il vagheggiamento di improbabili utopie femministe, che mettono al centro della struttura sociale la donna, relegando l’uomo a una mera funzione produttrice e riproduttrice. Idea, questa, che ha ispirato “The Cleft”, l’ultimo romanzo del premio Nobel Doris Lessing, e “Knock yourself up”, in cui Louise Sloan spiega come costruire una famiglia senza padre.
In Italia, qualcuno ha proposto di seguire l’esempio americano come efficace rimedio al problema del bullismo. Il ministro Fioroni, però, ha subito liquidato la questione in maniera inequivocabile, ribadendo che la scuola deve garantire equità, favorire l’integrazione e l’interculturalità, formare i futuri cittadini del mondo.
Gli america dimenticano, forse, che la buona riuscita di una persona è una fatto più complesso della sola performance scolastica.
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