Santo Panzarella, il figlio di Angela, era tornato
in Calabria per nostalgia della sua terra, ed era finito
con l’affiliarsi a una cosca. Ucciso dai suoi stessi
compagni per uno sgarro, il suo corpo
non è stato mai ritrovato
Il secondo libro di Cristina Zagaria (L’osso di Dio, Flaccovio 2007, pag. 319, euro 14,40) è ancora una volta un romanzo al femminile, dove la passione, la disperazione e l’amore si uniscono per arrivare alla soluzione.
E’ la storia vera di Angela, donna dell’entroterra calabrese, che vede suo figlio entrare nel tessuto mafioso di quella realtà e diventare un affiliato di una cosca della ’ndrangheta. Egli commette però un grave errore, uno sgarro tale per cui viene condannato dai suoi stessi compagni e da loro ammazzato. Il cadavere del ragazzo non viene però ritrovato e Angela non si rassegna a questa morte bianca.
Zagaria ricostruisce il lavoro disperato che Angela fa, insieme ai poliziotti dell’Ufficio Criminalità organizzata di Catanzaro, per riavere il corpo del figlio.
Cosa vuole dire vivere il territorio al punto tale che questo può solo inghiottirti e uniformarti a sé? Angela cerca di sottrarre il figlio a quella stessa sorte che, pur come donna, è toccata a lei. Lo allontana mandandolo a studiare al nord, vuole per lui un futuro fatto di lavoro, fatica, ma speranza. Santo, il figlio, vuole invece tornare in Calabria, la sua terra gli manca e l’attività che ha avviato fallisce.
A poco a poco il ragazzo si allontana sempre più dalla madre, per frequentare gli amici, con strane scorribande notturne. Angela nota che le notti che il figlio trascorre con gli amici, spesso, sono appiccati degli incendi, ella non può non notare questa strana coincidenza. Interroga il figlio, ma egli tace e reagisce infastidito.
Questo non è che l’inizio che porta Santo ad essere ucciso, senza che il suo cadavere sia ritrovato. Suo figlio si è innamorato della donna sbagliata e per questo viene ammazzato.
Inizia dunque la lotta di Angela per ritrovare il corpo del figlio.
Cristina Zagaria, che ha parlato con Angela e con i poliziotti che hanno seguito e risolto il caso, racconta questa storia alternando frasi brevi, ritmate e incalzanti, con altre poetiche, che intensificano la durezza della storia.
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“Una storia nata rivivendola in diretta”
La Calabria e la ’ndrangheta. Prima domanda d’obbligo. Perché scrivere un libro come L’Osso di Dio?
Non mi sono messa a tavolino e ho deciso: ora scrivo un libro sulla ’ndrangheta. L’“Osso” è nato da una serie di coincidenze.
Tutto è partito dalla marcia delle donne di Filadelfia, nel 2006, per chiedere alla ’ndrangheta i corpi dei loro figli. Sono partita per la Calabria con in mano solo il racconto di quelle donne e di quella marcia. Seguendo le madri e le mogli calabresi, ho scoperto Angela Donato e la sua storia.
Angela Donato, donna di ’ndrangheta, diventa il simbolo della lotta alla mafia. Come ha lavorato per ricostruire la sua storia?
Ho lavorato sul campo. Sono stata a Catanzaro, a Lamezia e nei paesini dove si è svolta la vita di Angela: Curinga, Filadelfia, Acconia. È stato un lavoro lento.
Prima di tutto ho parlato e sono andata in giro con Angela, per vedere i posti dove lei ha vissuto e i volti delle persone di cui mi parlava. Certo, girare con Angela Donato per la piana Lametina non è stato facile: è una donna “guardata a vista”, perché ha osato sfidare apertamente la ’ndrangheta, denunciare gli assassini di suo figlio. Ma avevamo un’ottima scorta.
Una volta finito il lavoro da cronista, è arrivato il momento più difficile. Interviste, documenti, ordinanza di custodia cautelare, perizie mediche e scientifiche sono diventate un romanzo, un racconto dall’ampio respiro, amalgamato in paragrafi brevi, con un ritmo incalzante, proprio come la vita di Angela.
Angela Donato vive sotto scorta?
Scorta non proprio. Diciamo che per lei la questura di Catanzaro ha un livello di attenzione molto alto, dovuto sia al serio pericolo di vita che corre, sia al legame fortissimo che si è creato tra questa madre e i poliziotti della Squadra Mobile.
Appunto i poliziotti di Catanzaro: nel libro lei descrive la Squadra che indaga sulla scomparsa di Santo: Alfonso l’uomo di mare, Sabrina, Francesco. Poliziotti descritti al lavoro, ma anche raccontati nella loro quotidianità...
L’indagine sulla morte di Santo Panzarella dopo quattro anni era arrivata a un punto morto.
La Squadra Mobile di Catanzaro, il suo dirigente, Francesco Rattà, e il capo della sezione Criminalità organizzata, Saverio Mercurio, l’hanno ripresa in mano e in due anni hanno fatto “miracoli”. Dico miracoli perché lavorare su un caso di lupara bianca è sempre una scommessa, se poi si è una manciata di uomini, senza mezzi, con gli straordinari bloccati e decine e decine di indagini aperte diventa una “scommessa suicida”. Perciò l’amore nel descrivere il lavoro di Alfonso e degli altri ragazzi della “Squadra”, un racconto ovviamente non solo positivo, ma con i dubbi, le paure, lo sconforto, che spesso assalgono gli investigatori.
(Intervista a cura di Simona Mammano)
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