La definizione di “polveriera” si addice
ai Paesi dell’ex Jugoslavia per la dinamica
con cui gli effetti di crisi localizzate
si propagano velocemente. In tal senso
la situazione del Kosovo potrebbe
incendiare anche la vicina Macedonia
Izet Mexhiti, sindaco di Cais, la più popolosa circoscrizione a maggioranza albanese di Skopje, ha recentemente detto che, “il fiume Vardar assomiglia sempre di più all’Ibar”.
Il fiume Vardar è il più importante della Macedonia e divide in due parti la capitale Skopje; la parte occidentale a predominanza slava e quella orientale ove la maggioranza è costituita dall’etnia albanese. In Kosovo, il fiume Ibar, un corso d’acqua secondario dal punto di vista idrografico, attraversa la città di Kosovska Mitrovica, tagliandola in due: a nord i serbi, a sud gli albanesi. Il fiume Ibar è diventato l’emblema della guerra fredda kosovara, costituendo un muro divisorio di due reatà che non riescono a conciliarsi.
Anche in Macedonia, 6 anni dopo la fine degli scontri etnici, non si vede ancora il superamento della contrapposizione tra la comunità albanese e quella slavo-macedone. Tutt’altro, la distanza tra le due comunità, storicamente contrapposte, cresce e si identifica sempre più con il divario creato tra le due sponde della capitale dal fiume Vardar.
Il Kosovo: cenni storici
In Kosovo la storia ha posto in contatto gli illiri, da cui discenderebbero gli albanesi e gli slavi nel VII secolo d.C. La maggioranza illira sopravvissuta al dominio romano e bizantino fu sommersa dalle migrazioni slave, con una prevalenza politica dell’etnia serba (chi i Greci chiamavano Scaviniai). Tale egemonia si portrasse sino al 1389, quando la compagine serba, e le sue componenti illiriche, veniva sopraffatta dagli Ottomani nella battaglia di Kosovo Polje. Alcune popolazioni balcaniche inglobate nell’Impero turco accettarono di venire islamizzate, altre invece mantennero la fede degli avi. Più che le convinzioni religiose contò una valutazione di opportunità basata sul diverso trattamento fiscale cui erano soggetti i fedeli musulmani rispetto ai cristiani e agli ebrei. In tale ottica gli albanesi si convertirono all’Islam senza rinunciare alle regole del Canun, il codice di consuetudini tribali compilato dal leader cristiano (anti ottomano) Lek Dukagjini. Le difficili condizioni di vita a cui erano soggetti i non convertiti provocò nel 1690 un forte esodo dal Kosovo delle popolazioni serbe cristiano ortodosse, sostituite dalla popolazione albanese.
La decadenza dell’impero Ottomano vedeva risorgere le aspirazioni delle popolazioni sottomesse. Alla fine delle guerre balcaniche del 1912 – 1913 i serbi si riappropriarono dell’area centrale del Kosovo, lasciando però la parte occidentale (che i serbi chiamano Metohjia e gli albanesi Dukagjini) sotto il controllo del Regno del Montenegro, ove si concentrarono gli Albanesi. Dopo la Prima Guerra mondiale il Kosovo e la Metohjia furono incorporati nel Regno della Jugoslavia. Nel Secondo Conflitto mondiale questo territorio fu nuovamente scisso in aree di influenza: la Metohjia entrò a far parte della grande Albania a reggenza italiana, mentre il resto del terriorio kosovaro fu diviso nelle zone di influenza tedesca e bulgara.
Dopo la guerra la Jugoslavia dichiarò il Kosovo regione autonoma (1946) e quindi provincia autonoma (1963). La costituzione del 1974 garantì al Kosovo un ampio autogoverno, che risvegliò il sogno albanese della creazione di un territorio etnicamente e culturalmente unificato.
Tale sviluppo condusse a una recrudescenza dei contrasti tra quella etnia, numericamente dominante, e la serba, demograficamente meno competitiva (vedi la tabella).
Mentre i serbi lamentavano di essere discriminati e vessati dalla dirigenza albanese kossovara, nonché di essere dimenticati da quella serba di Belgrado, le spinte centrifughe albanesi si scontrarono con la politica nazionale del nuovo leader jugoslavo, Slobodan Milosevic, che fece della difesa dei serbi del Kosovo un punto fermo; come conseguenza, nel 1989 l’autonomia del Kosovo venne drasticamente ridotta. Gli albanesi boicottarono le Istituzioni statali e le elezioni, istituendo un governo sotterraneo incaricato della gestione delle scuole e delle Istituzioni locali, e che nel luglio 1990 dichiarò l’indipendenza del Kosovo albanese (solo l’Albania riconobbe tale atto di autonomia).
Ormai la Jugoslavia si stava disgregando e iniziava una stagione di violenze. Mentre le Istituzioni federali implodevano trascinando nel baratro le ex Repubbliche federali (risparmiando la Macedonia e, per un soffio, la Slovenia), il Kosovo entrò in una profonda crisi. Attenzioni esterne si intrecciarono con gli eventi locali. Questa situazione permane tuttora.
La Macedonia: cenni storici
L’area geografica della Macedonia ha vissuto travagli storici simili a quelli del confinante Kosovo. Le comunità umane dei traci e degli illiri sono le prime di cui si ha traccia. Questo territorio diviene l’antica Macedonia sotto Alessandro Magno. Seguono le dominazioni romana e bizantina; bulgari, serbi e Ottomani completano il panorama dei dominatori dei secoli successivi.
Nel VII secolo d.C. le tribù slave muovendo da est scacciano alcune popolazioni ed assimilandone altre, tra cui quelle illiriche, trace e greche. La presenza slava si estende su tutti i balcani e gran parte della Grecia, tanto che l’Impero bizantino finisce per optare per la loro ellenizazione, anzichè tentare di distruggerle. Questo scopo fu parzialmente raggiunto, anche se una cospiqua percentuale di abitanti mantenne la propria autonomia e indipendenza da Bisanzio.
La costituzione del primo Impero bulgaro nell’anno 1018 rafforzò il carattere slavo del territorio, le cui tribù si convertirono al cristianesimo nel IX secolo. Per tre secoli i Bizantini erano ancora in grado di contendere il definitivo controllo della regione a bulgari e serbi poi, nel XIV secolo, la Macedonia diviene parte dell’Impero serbo e Skopje diventa la capitale dello zar Stefan. Poi la supremazia ottomana allontana quest’area dall’Occidente per 500 anni.
I primi cenni di indipendentismo macedone appaiono alla fine del 1800 con il Comitato rivoluzionario bulgaro macedone di Adrianopoli. Tale movimento, che si sviluppa e trasforma agli inizi del 1900, non presenta inizialmente alcuna coloritura etnica, rivolgendosi piuttosto “a tutti gli elementi insoddisfatti in Macedonia, indistintamente dalla loro nazionalità”, come recita l’atto costitutivo. Invero la maggioranza dei membri di tale movimento sono di lingua slavo/bulgara. L’iniziativa indipendentista del 1903, detta sollevazione della regione di Ilindia, viene repressa nel sangue dai turchi.
Nonostante la sua breve vita, tale moto dà luogo all’istituzione della Repubblica di Krushevo (dal nome della cittadina situata a sud di Skopje, presso Prilep, ove tale governo aveva la sua sede), primo vero tentativo indipendentista dell’area posta a cavallo del fiume Vardar. Questo è tuttora considerato il fondamento della richiesta di riconoscimento internazionale della moderna Repubblica di Macedonia (attualmente conosciuta come Former Yugoslavia Republic of Macedonia (Fyrom), per ovviare al contenzioso sul nome, aperto con la Grecia e la Bulgaria che rivendicano diritti sull’antica regione di Alessandro il Grande.
La dissoluzione dell’Impero turco portò a una suddivisione della regione che era stata la patria di Alessandro Magno, tra la Grecia, la Bulgaria e la Serbia; quest’ultima si aggiudicò la porzione più consistente, chiamata Serbia del Sud.
Alla fine del Primo Conflitto mondiale la nascita del Regno di Jugoslavia portò al cambio del nome della Serbia del Sud in Provincia del Vardar. La Seconda Guerra mondiale provocò l’ennesima suddivisione di tale provincia, spartita tra Bulgaria e Albania italiana. La sconfitta dell’Asse portò all’inclusione della rinominata Repubblica popolare federale di Macedonia tra le sei repubbliche della nuova Repubblica socialista federele di Jugoslavia. Nel 1991, rimosso il suffisso federale, la Repubblica macedone dichiarò in maniera indolore la propria indipendenza dalla agonizzante Jugoslavia.
Nonostante il distacco morbido, la nascita del nuovo Stato portava con se l'agitazione autonomista della componente di origine albanese che, in un contesto sociale multietnico, raggiunge oggi il 25,2%, su una popolazione totale di circa 2.000.000 di abitanti.
Nel 1992 la crisi inter-etnica veniva evitata mediante una accorta mediazione operata dalla classe dirigente macedone, che trovava un compromesso con i leader della comunità albanese garantendo loro un forte grado di controllo dell'area nord occidentale del Paese, quella al confine con il Kosovo e con l’Albania.
La situazione rimaneva calma fino al 1998, quando un'eterogenea coalizione di Destra sostituiva alla guida del paese il Partito socialista, erede della Lega dei comunisti. All'interno di quella coalizione, il cui perno era costituito dall'Organizzazione rivoluzionaria della Macedonia interna (Vmro), era anche presente il Partito democratico degli albanesi (Dpa), espressione maggioritaria della popolazione albanese di Macedonia.
La crisi del Kosovo del 1999 incideva pesantemente sulla Macedonia, considerando che 360.000 rifugiati di etnia albanese cercarono rifugio entro i suoi confini. In tale momento la presenza nel governo del Dpa garantì la stabilità del Paese; grazie alla sua azione mediatrice il Paese, pur invaso dai profughi kosovari appartenenti sostanzialmente agli stessi clan di quelli macedoni, non cadde in preda alla guerra in atto oltre i suoi confini.
Nonostante la massa umana fosse rientrata in Kosovo subito dopo la fine della campagna aerea della Nato, la Repubblica cominciò a risentire della radicalizzazione di alcune componenti albanesi, che si prefiggevano, allora come oggi, l’unificazioni delle aree etnicamente albanesi in una grande Albania, comprendente il Kosovo, la valle del Preshevo in Serbia e la fascia nord occidentale della Macedonia.
La guerra del 2001
Alla fine del conflitto in Kosovo, la guerriglia albanese ha spostato a sud-est l’area di operazioni della “sua guerra”. In Macedonia si è costituito l’Esercito nazionale albanese (Ushtria Çlirimtare Kombëtare – Uçk) anche conosciuto come Uçk macedone, assai simile al precedente Uçk kosovaro (Ushtria Çlirimtare Kosovës o Esercito di liberazione del Kosovo), in cui la K rappresenta Kosovo anziche Nazionale.
Nonostante la dichiarata separazione delle milizie (l’Uçk macedone, quello kossovaro e l’Ucpmb, l’Esercito di liberazione di Preshevo, Medveja e Bujanovac, area della Serbia meridionale), le stesse hanno stretti collegamenti politici e operativi. Gli anelli di congiunzione stanno nei legami, anche di parentela, tra i leader dei vari clan, mentre comuni supporti logistici e direttivi sono facilmente intuibili. L’amalgama è quello del background storico della nascita dell’Uçk kosovaro quale movimento che mirava, sin dalla sua costituzione, a liberare tutti i territori albanesi della ex Jugoslavia ed unirli in una sola repubblica.
I combattenti dell’Uçk macedone e di quello kossovaro, sono stati spesso i medesimi che si sono spostati da un fronte all’altro con armi e bagagli. Tipico è il caso di Gezim Ostreni, nativo di Debar in Macedonia, ex uffciale dell’Esercito federale jugoslavo e poi comandante di spicco prima dell’Uçk kossovaro e poi di quello Macedone (qui, dopo la guerra del 2001, si è candidato al Parlamento nelle file del partito albanese Democratic union for integration - Dui.
In Macedonia l’insurrezione dell’Uçk ha inizio nel febbraio del 2001, interessando l’area nord-ovest del Paese, soprattutto le province di Tetovo e Kumanovo. I morti hanno superato le 100 unità, tra cui 60 appartenenti alle Forze di sicurezza. Tralasciando l’analisi delle operazioni militari, basti ricordare che queste riassumono a grandi linee le strategie di ingaggio già usate dall’Uçk in Kosovo, con attacchi a sorpresa seguiti da sganciamento per evitare lo scontro in campo aperto.
Come per il Kosovo, anche in Macedonia è stato provvidenziale l’intervento diplomatico europeo e statunitense che ha imposto il cessate il fuoco, scongiurando un`escalation militare. L’accordo di pace firmato il 13 agosto 2001 (Ohrid framework agreement) poneva fine agli scontri e portava allo scioglimento delle milizie albanesi. Il governo, sempre con il sostegno del maggior partito di rappresentanza albanese, il Dpa, garantiva un maggior peso politico e culturale alla minoranza albanese, mentre quest’ultima si impegnava al pieno riconoscimento delle Istituzioni macedoni, rinunciando alle pretese indipendentistiche dell’Uçk.
L’analisi della guerra del 2001 ripropone alcuni quesiti, fondamentali per interpretare scenari attuali e futuri: accertato che lo stesso partito di maggioranza Dpa era contrario all’offensiva dei guerriglieri, quali potevano essere le spinte e le ragioni della campagna militare albanese?
Queste possono essere state almeno due: una che si rifà alla guerra interna tra i clan albanesi e una di ordine internazionale.
Il primo aspetto si collega allo scontro inter-albanese che si svolgeva in quel periodo in Kosovo, area di provenienza e di riferimento di interessi della maggioranza della popolazione albaese in Macedonia. In quel periodo la provincia serba (ormai, di fatto, ex tale) era divisa tra il clan Rugova, il cui partito (Ldk) aveva vinto le prime elezioni non jugoslave nella provincia, il clan Thaci che ha guidato l’Uçk nel corso della guerra d'indipendenza sotto la ali della Nato e che ora guida il partito Pdk, e il clan Haradinaj, leader dell'Alleanza per il futuro del Kosovo (Aak). La vittoria di Rugova alle elezioni amministrative nel Kosovo del settembre 2000 (con un buon risultato anche dell’Aak) aveva scatenato la guerra aperta tra i clan, con alcune decine di morti in agguati e alcune vittime eccellenti.
Da questo punto di vista, la destabilizzazione della Macedonia nel 2001 offriva agli sconfitti sul terreno elettorale (ossia ai clan, sia kosovari che macedoni, legati a Thaci) la possibilità di riportare lo scontro sul terreno militare dove essi, forti anche dell'armamento ereditato dal recente conflitto, erano avvantaggiati. Inoltre, la possibile secessione dell'area occidentale della Macedonia, avrebbe ribaltato i rapporti numerici di forza tra i clan, riportando in vantaggio il clan Thaci e la sua espressione politico-militare, ossia l'Uçk.
A tale superiorità sul territorio è inoltre legato l’aspetto del controllo di un crocevia di traffici illegali verso l'Unione Europea. Come spesso capita tra i partiti albanesi, anche dell'Albania e del Kosovo, l’attività politica si coniuga con gli interessi clanici nella gestione dei traffici che scorrono lungo gli assi est-ovest / sud-nord e che hanno proprio nell'area balcanica uno degli snodi più importanti. Anche l'accordo del 1992 tra il governo macedone e Arber Xhaferi, il leader del Dpa, che riguardava il diritto alla lingua, alle scuole e all'Università albanesi, apriva la via a una forma di autogoverno locale albanese della Macedonia occidentale, cioé un forte controllo sul territorio del clan politico locale.
La seconda ragione era invece legata a poteri esterni alla regione. Di tutti i moventi è questo quello che, più probabilmente, ha messo in moto le milizie armate. Esso si proponeva di destabilizzare la Macedonia, creando così i presupposti per nuove ingerenze esterne. La situazione venutasi a creare in quell’area nel 2000, dopo le vittorie elettorali di Rugova a Pristina e di Kostunica a Belgrado, aveva creato le precondizioni per un possibile accordo serbo-albanese sul futuro dell'area. Le cancellerie europee, prima fra tutte quella tedesca, premevano per questo accordo. Contrari invece altri soggetti, esterni alla politica europea, che avevano puntato sulla vittoria dell'Uçk e sul mantenimento di una situazione d'instabilità nell'area quale indispensabile presupposto per garantire una propria presenza strategica nella regione.
Il presente imperfetto
Nonostante questi problemi, la Macedonia, anche grazie alla spinta del trattato di Ohrid, ha fatto notevoli passi in avanti nel garantire i diritti delle minoranze.
La Fyrom assicura la protezione dell’identità etnica, linguistica e religiosa di tutte le componenti, riconoscendo il diritto di istituire propri soggetti culturali e artistici, oltre che scolastici. In campo educativo è assicurato l’accesso all’istruzione a tutti i livelli dei gruppi minoritari; non di meno la Repubblica riconosce i titoli conseguiti, in lingua albanese, all’Università di Pristina (dove si sono laureati quasi tutti i Ministri albanesi della Macedonia). Riguardo alla facoltà di espressione, molte tv e radio trasmettono programmi albanesi, mentre vi sono numerosi quotidiani e riviste in lingua albanese, sia privati sia sovvenzionati dallo Stato, come del resto il teatro, che ricevono contributi pubblici per mettere in scena rappresentazioni in lingua albanese.
Dal punto di vista sociale e lavorativo, nell’apparato dell’Amministrazione pubblica vi è una discreta rappresentanza della minoranza albanese, mentre dal 2001, nelle municipalità dove un gruppo etnico supera il 20% dei residenti, la sua lingua diviene lingua di comunicazione ufficiale. Attualmente, 30 dei 120 membri del Parlamento macedone sono delegati della minoranza albanese, appartenenti ai diversi partiti d’opposizione o di governo.
Sebbene conclusa con un accordo sostanzialmente recettivo delle richieste albanesi, il cessate il fuoco non ha completamente disinnescato il dispositivo esplosivo costituito dall’agguerrita compagine albanese. A più di 6 anni dalla fine delle ostilità in Macedonia si respira un’aria di tregua, piu che di disarmo.
Mentre il gruppo macedone stenta a recepire totalmente le richieste dell`Unione europea in fatto di decentralizzazioni dei poteri governativi (tanto da vedere postposta la candidatura di adesione all’Unione Europea), quello albanese non è più deferente. I partiti, sia al governo sia all’opposizione, non perdono occasione per evidenziare posizioni populiste o radicali, dogmatiche e, spesso, incoerenti, dettate più da interessi di parte che da una visionie di un Paese con aspirazioni di integrazione europea. A complicare il tutto vi è l’estrema rissosità della compagine albanese, come dimostrato il 25 settembre 2007 quando, nel Parlamento di Skopje, delegati del Pda, del Pdp e del Dui si sono azzuffatti; l’intervento di collaboratori armati dei tre partiti, con successivo blocco di alcune strade cittadine, ha creato uno stato di forte allarme.
La guida politica albanese ha, in Macedonia come in Kosovo, un ruolo particolare in questa situazione di crisi. Il loro uditorio, su entrambi i lati del confine, è poco scolarizzato, con poche capacità di analisi razionale degli avvenimenti. La società albanese, inoltre si basa tuttora sulla mediazione clanica ed è spesso vittima di facili esplosioni di entusiasmo militante, facilmente strumentalizzato da leader che perseguono cosí i propri interessi di affermazione personale. Come durante la crisi del 2001, allorché la massa albanese si è mossa su input dei capi clan locali, cosí l’attuale politica partitica albanese ha qualche responsabilità nella crescita della tensione inter-etnica. Alcuni recenti fatti mostrano come la sicurezza in questa regione viva un momento delicato.
Luglio 2007: Fazli Veliu, parlamentare del partito albanese di opposizione Ndp e presidente dell’associazione dei veterani di guerra dell’Uçk macedone, afferma che “12.000 veterani sono immediatamente disponibili per prendere le armi in difesa dell’indipendenza del Kosovo e per la protezione dei diritti degli albanesi in Macedonia”. Contestato da più parti, Veliu ribadisce che “le armi ritorneranno in Kosovo e Macedonia se necessario”.
Agosto 2007: la stazione di Polizia di Gosince, un villaggio nella provincia di Kumanovo al confine con il Kosovo, viene attaccata con armi pesanti da ignoti che poi si dileguano. La matrice dell’attacco non viene chiarita ma la zona stessa dell’attacco fa propendere gli investigatori per una matrice estremista e/o criminale albanese.
Nello stesso periodo, nell’area di Tetovo, durante la festa nazionale non vengono esposte le bandiere macedoni. La popolazione ritiene infatti che la bandiera esposta dovrebbe essere quella albanese.
Ancora agosto: due colpi di lanciarazzi Rpg vengono sparati da ignoti nei pressi del palazzo del governo a Skopje. Ignoti gli attentatori ed i moventi. A fine mese, a voce di un ex parlamentare locale, Xheazair Shaqiri, il villaggio di Tanusevici (da cui era cominciata la guerra del 2001), rivendica il proprio diritto di annessione al vicino Kosovo. Il leader che pronuncia tale richiesta è in attesa di convocazione da parte della magistratura macedone per fatti di criminalità ordinaria, cosí che questo fatto viene ufficialmente presentato come puramente opportunistico. Nondimeno la provocazione crea agitazione tra le due comunità.
Ad agitare le acque, sempre in agosto, si pronuncia un gruppo ribelle con base in Kosovo, l’Esercito nazionale albanese (Albanian National Army o Aksh in albanese), il quale accusa i politici albanesi di Macedonia di lavorare per i colonialisti slavo macedoni. Il comunicato si conclude affermando che “la prossima guerra sarà per l’unificazione di tutti i territori albanesi”.
Settembre 2007: nei pressi del villaggio di Vaksince, area di Kumanovo, una pattuglia della Polizia cade in un’imboscata. Il comandante della locale stazione muore e altri due poliziotti sono uccisi. Dal lato opposto due assalitori rimangono sul terreno mentre il leader del commando, ferito, si rifugia in Kosovo. Si tratta di soggetti albanesi “ben conosciuti”, che costituiscono l’ala più intransigente dell’opposizione alle Istituzioni. Nonostante il fatto costituisca una seria escalation, il partito di opposizione del Dui non perde occasione per sostenere la teoria del complotto macedone.
Il 14 settembre a Tetovo si incontrano i rappresentanti dell’associazione World Albanian Union, provenienti da diversi Paesi europei, oltre che dall’Albania, dal Kosovo e dalla Macedonia. Nell’occasione il presidente, Simeon Kuzani, chiama tutti gli albanesi all’unione spirituale ed amministrativa, mentre Miljaim Fejzi che insegna all’Università di Tetovo, denuncia la “discriminazione nazionale e religiosa a cui sono soggetti gli albanesi in Macedonia”. Conclude dicendo che “la nazione albanese, che è ora divisa in 5 diveri Paesi (Albania, Kosovo, Macedonia, Montenegro e Grecia), come ogni nazione al mondo ha il diritto di vivere in un unico Stato” e che “noi guardiamo alla Macedonia come al terzo Stato albanese dei balcani e ci batteremo per una forma di unificazione di tutti gli Stati albanesi nei balcani”.
In ottobre la Corte costituzionale dichiara l’incostituzionalità di esporre sugli edifici pubblici bandiere diverse da quella nazionale Macedone. Il provvedimento provoca uno scontro politico che vede quasi tutti i partiti albanesi schierati contro il provvedimento, considerato come un attacco diretto alla comunità albanese. Il 25 ottobre l’ennesimo agguato alle Forze di polizia. Una pattuglia della Guardia di frontiera viene mitragliata nella zona del villaggio di Brest, non distante da Tanusevci. Uno degli agenti muore, altri due rimangono gravemente feriti. Gli assalitori si dileguano prima dell’arrivo dei rinforzi. La matrice e il movente dell’attacco non sono conosciuti.
Operazione “Mountain Storm”
Alle ore 00.30 del 30 ottobre 2007 scatta l’operazione di Polizia denominata Mountain storm. Con il dispiegamento di 830 uomini mira a neutralizzare un gruppo estremista che effettua apparizioni armate, disponendo posti di blocco e controllo sulle strade della zona di Tetovo. La tattica usata ricalca esattamente quella adottata sin dal 2003 in Kosovo dai guerriglieri dell’Aksh e mira principalmente a dimostrare agli abitanti della zona che la stessa non è sotto il controllo del governo ma degli indipendentisti.
In un cruento combattimento all’interno dell’abitato di Brodec (Tetovo) vengono uccisi 6 militanti ed altri 13 catturati, mentre alcuni riescono a darsi alla fuga. Non ci sono perdite tra la popolazione civile.
L’operazione rappresenta un successo per le forze di sicurezza macedoni che, per l’occasione, schierano un dispositivo altamente professionale, multietnico (alcuni degli operatori delle forze speciali sono di etnia albanese) ed attento ai contraccolpi politici a cui potrebbe condurre una tale operazione condotta nelle ex zone di crisi del 2001.
Il risultato è positivo e consente il ritrovamento di un imponente arsenale a disposizione del gruppo, utile ad alimentare vere e proprie azioni di guerra.Cosa ancora più importante, questa volta le Forze dell’ordine sono state appoggiate dalla popolazione locale, stanca delle continue sopraffazioni da parte di insorgenti con interessi più criminali che politici.
Anche questa volta il Dui ha criticato le Istituzioni macedoni, accusando la Polizia di un uso sproporzionato della forza. Dopo alcuni giorni il pubblico albanese, sensibile al richiamo nazionalistico, ha risposto in sintonia: il villaggio di Kondovo, vicino alla capitale Skopje, ha dichiarato che “se la Polizia attaccherà ancora la comunità albanese, questa non esiterà a prendere le armi per difendersi”.
Epilogo
I Balcani possono essere tranquillamente definiti una polveriera a causa della rapidità con cui le crisi locali si propagano. In questo momento il “fattore Kosovo” costituisce una miccia a combustione rapida che potrebbe far detonare le “polveri nere” degli Stati confinanti. Con quel Paese la Macedonia presenta una contiguità fisica e storica, con problemi e forse destini comuni; se ill fiume Vardar avrà un destino simile a quello dell’Ibar, dipende da fattori non ancora pienamente sviluppati e sfruttati da parte delle leadership e delle popolazioni interessate.
FOTO: La statua dell’eroe albanese Gjergj Kastrioti Skenderbeu (1405-1468),
eretta sul lato orientale del fiume Vardar e, sullo sfondo, la grande
croce eretta sul Monte Vodno (lato occidentale della città) nell’anno 2000
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