Il barman sta preparando un mojito. Frantuma la menta sul fondo del bicchiere, scandendo il ritmo di una musica incalzante. Il locale si riempie. Donne bellissime ballano sui tavoli, muovono i fianchi ai battiti delle casse. L’atmosfera si riscalda, la gente si avvicina. Sono tutti attraenti, ben vestiti, sicuri di sé. Poi il barman si ferma, e la musica improvvisamente s’interrompe. Si voltano tutti verso di lui, decisamente contrariati. Il barman sorride e riprende allegramente a pestare la menta. Solo a quel punto la festa può riprendere.
Probabilmente, guardando questa pubblicità di una nota marca di rum, quasi nessuno avrà notato che sullo schermo in basso a sinistra, verso la fine, compare una piccola scritta bianca: “Drink responsably”. Qualcuno, forse, ci avrà fatto caso, ma molti altri saranno stati troppo distratti dal tripudio di anche che si agitava a ritmo di musica.
In questa, come nella stragrande maggioranza delle pubblicità che promuovono alcolici, il bere viene associato a una situazione di festa, in cui tutti sono belli e a proprio agio, hanno soldi, successo e belle macchine, e riescono sempre a conquistare dei partner estremamente attraenti. E’ chiaro che, se uno spot mostrasse un alcolizzato che da di stomaco sul ciglio di una strada o la foto di un fegato cirrotico, nessuno comprerebbe più alcolici.
Secondo uno studio statunitense, le pubblicità di bevande alcoliche alle quali i giovani americani sono sottoposti sono di gran lunga superiori a quelle che promuovono altri prodotti. Solo nel 2004 i ragazzi tra i 12 e i 20 anni sono stati esposti a pubblicità di birra in una misura del 48% superiore rispetto agli adulti con un’età legale per bere. Percentuali analoghe per altri superalcolici, ma con un dato eclatante, il 92%, per i cosiddetti alcolpops, bevande alcoliche dolci e colorate, pensate per sedurre i più giovani. Esaminando le riviste statunitensi emerge, poi, che le pubblicità di alcolici appaiono più frequentemente in quelle a target adolescenziale. Dal 2001 al 2005 c’è stata 1,6 volte più pubblicità per ogni milione di lettore tra i 12 e i 19 anni, trend che si osserva anche nelle tv o alla radio.
La domanda che si sono posti i ricercatori è quanto le pubblicità condizionino l’approccio all’alcol dei giovani. Chiaramente, come in passato avevano risposto le multinazionali del tabacco, i produttori di bevande alcoliche hanno dichiarato che la pubblicità non influenza il consumo di alcolici tra i giovani, ma rispecchia una situazione che loro si limitano a riproporre nei loro spot. Da una ricerca sistematica del Center on Alcohol Marketing and Youth, emerge che l’esposizione a un continuo messaggio pubblicitario sia correlata a un aumento del 13% del consumo minorile di alcolici.
L’abuso di alcol da parte dei giovani, dunque, non può essere arginato solamente con leggi più restrittive o con l’aumento dei prezzi delle bevande, ma anche con una drastica riduzione dell’appeal dell’alcol sui giovani promosso dagli spot pubblicitari.
In Italia, pochi mesi fa è stato presentato al Consiglio dei Ministri un disegno di legge che limita la pubblicità degli alcolici in televisione e sui giornali e che prevede sulle confezioni etichette che avvertono sui pericoli per la salute connessi all’abuso di alcol. Il ministro della Solidarietà Sociale, Paolo Ferrero, ha dichiarato di voler vietare gli spot che coniugano l’uso di sostanze alcoliche al successo della persona e rompere, in tal modo, il legame che esiste nell’immaginario giovanile tra il bere e la capacità di costruire relazioni significative all’interno del gruppo sociale. L’idea è quella di riportare la pubblicità degli alcolici al puro elemento informativo, rendendo note l’esistenza di un prodotto alcolico e le sue caratteristiche.
L’iniziativa, sostiene Ferrero, è sulla falsariga di quella già avviata in Francia e punta non alla repressione e al proibizionismo, ma ad intervenire sulla prevenzione. L’alcol, infatti, è una tra le maggiori cause di morte e danneggia gravemente la salute di chi ne abusa, soprattutto quando il metabolismo è ancora acerbo per assimilarlo.
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