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Novembre-Dicembre/2007 - Interviste
Immigrati
Auspicabile l’integrazione, ma per chi rispetta le regole
di Intervista a cura di Paolo Pozzesi

Intervista al Sottosegretario
dell’Interno Marcella Lucidi sui problemi posti
dalla presenza di rom e romeni. “Una risposta
ferma per chi commette reati, e non possiamo
trascurare la direttiva Ue nella libera
circolazione di cittadini comunitari”


Onorevole Lucidi, la sicurezza, la protezione quotidiana dei cittadini contro la cosiddetta microcriminalità è un tema concreto di attualità, al di là delle polemiche e delle strumentalizzazioni. In questa situazione, si inserisce pesantemente il “dossier romeno”. L’afflusso di rom provenienti dalla Romania suscita un allarme messo in evidenza dal ministro Giuliano Amato. Quali sono in proposito le cifre disponibili e le possibili previsioni per l’immediato futuro?

La domanda di sicurezza è questione seria e non va sottovalutata. In questo, la politica ha una doppia responsabilità: quella di non voltare le spalle alla paura che molti cittadini esprimono e quella di non usare la paura, di non fomentarla per guadagnare consenso. Il dovere di rispondere all’insicurezza passa certamente da una pluralità possibile di interventi, ma non c’è dubbio che conta quanto il cittadino, nel contrasto alla criminalità che teme, sente che lo Stato, le Istituzioni sono al suo fianco.
Non credo che si debba ragionare, per l’attualità, di un “dossier romeno”. Si rischia molto, in questo tempo, di ricorrere a generalizzazioni che sono fuorvianti e in alcuni casi pericolose o dannose.
L’Italia registra da tempo un flusso migratorio proveniente dalla Romania. E’ interessante cogliere come negli anni trascorsi i romeni sono stati al primo posto per gli ingressi illegali ma anche i più richiesti dai nostri datori di lavoro (soprattutto nel lavoro domestico e di cura). Si tratta, quindi, di un popolo abbastanza conosciuto e vicino, che è stato ed è ancora congeniale, con il suo lavoro, alla nostra economia. Ciò che questo anno, nel quale ben volentieri abbiamo salutato l’ingresso della Romania in Europa, ci ha costretto a verificare è stato, purtroppo, un aumento crescente della delittuosità di origine romena in Italia, ragion per cui dovremmo semmai parlare di un “dossier criminalità romena”. Anche per non offendere la sensibilità e l’onestà di tanti romeni per bene che vivono e lavorano con noi e, da cittadini europei, si sentono anche essi parte di una comunità che ci unisce.
E serve ancora distinguere. Perché non tutti i rom che vivono in Italia hanno origini romene, così come non tutti i romeni sono rom. Non ci sono numeri certi della presenza in Italia di rom di origine romena, mentre le stime complessive sulle comunità rom presenti, anche di origini diverse, o di origine italiana, non superano le 200.000 unità. E’ credibile che, quest’anno, la componente romena sia cresciuta.
Ora, che in tutto questo ci siano persone che vogliono vivere di espedienti o commettono reati è stato certamente motivo di preoccupazione e di una risposta ferma. Nessuno, tuttavia, può trascurare che il contesto normativo nel quale dobbiamo muoverci è strettamente delimitato dalla direttiva Ue sulla libera circolazione dei cittadini comunitari: uno strumento che deve valere per l’italiano che va o vive in Germania o in Spagna, come per il romeno o il francese che viene o vuole vivere in Italia.

Lei ha avuto recentemente incontri con le autorità di Bucarest, in particolare con Dania Varga, consigliere del Primo ministro romeno per le questioni riguardanti i rom. Sono stati raggiunti accordi operativi, e credibili, per una effettiva collaborazione da parte romena? Ed è possibile chiarire i motivi di questo flusso migratorio, che sembra andare oltre il tradizionale nomadismo?

Il Presidente del Consiglio, i singoli Ministri, ciascuno per propria competenza, hanno avuto frequenti incontri in questo anno con le autorità romene. Il tema della criminalità romena è sempre stato oggetto del confronto bilaterale, così come la realtà delle comunità rom romene.
Più volte è stato chiesto alla Romania di fermare l’esodo di famiglie rom dal suo territorio verso l’Italia, per non renderci ancora più difficile l’offerta di un percorso di integrazione che per non essere discriminatorio deve anche essere sostenibile.
E’ vero, non è quasi più attuale l’immagine nomade dei rom. Molte famiglie tendono alla stanzialità, molti bambini o giovanissimi rom sono nati in Italia. Eppure, come un mito indelebile, i rom restano ai margini della nostra società, e sono causa di conflitto, lontani da noi per le loro tradizioni, vicini quando ci chiedono l’elemosina o ci rubano il portafogli.
Oggi la politica discute molto dei rom e va bene, purchè non si dimentichi che la questione non è nuova. E non è nemmeno facile. Per onestà andrebbe detto. Personalmente, avverto un paradosso: nelle sedi internazionali è addebitato all’Italia un atteggiamento discriminatorio verso i rom, mentre i nostri Comuni investono risorse per “gestire” la loro presenza. Può essere un passo avanti importante riconoscere le comunità rom come minoranza, e passare da una logica assistenzialista a progetti o addirittura ad un piano nazionale per l’integrazione. Ma è certo che questo l’Italia non può farlo da sola. A Dania Varga ho chiesto un impegno più forte della Romania a favorire l’inclusione sociale dei rom sul suo territorio, quell’impegno che Romano Prodi ed il premier romeno hanno richiesto all’Europa di sostenere.

Il commissario Ue romeno Leonard Orban, in un’intervista a “la Repubblica”, ha sollecitato l’Italia ad attivare delle politiche di integrazione nei confronti di questi rom, a somiglianza di quanto sarebbe stato fatto in Romania, dove sono il 10% della popolazione. Ritiene che sia una prospettiva logica, e attuabile nella pratica?

La via dell’integrazione è certamente quella più auspicabile. E propone un percorso impegnativo. Richiede che siano offerte opportunità alle quali corrisponda una effettiva, visibile, volontà dei rom di integrarsi. Ho detto, giorni fa, a Maud de Boer Buquicchio vice presidente del Consiglio d’Europa, che l’Italia è molto interessata a conoscere le buone pratiche di integrazione che altri Paesi hanno già realizzato, pur se abbiamo l’impressione che, altrove, si ragioni intorno a cifre più contenute. E se possiamo osservare che per troppo tempo si è trascinata una questione che ormai si rivela anche con espressioni drammatiche (penso ai bambini che muoiono per gli incendi nei campi), è pur vero che, ora, abbiamo bisogno di poterla governare e per questo è necessaria, prima di tutto, la collaborazione della Romania, da cui molti rom sono partiti e continuano a partire. E’ buona cosa che la Romania abbia ideato politiche di integrazione per i suoi concittadini rom. Va incoraggiata a proseguirle, a rafforzarle, l’Unione Europea deve sostenerla perché ciò significherebbe una riduzione certa dei flussi da quel Paese verso gli altri, in particolare l’Italia.

Rom a parte, nel nostro Paese si registrano di continuo episodi criminali legati a immigrati romeni. E accanto alla delinquenza “spicciola” di singoli individui appaiono anche forme di criminalità organizzata, come il racket della prostituzione e lo spaccio di droga. Qual è il livello di collaborazione delle autorità di Polizia romene con quelle italiane nel reprimere questo fenomeno?

C’è una buona collaborazione tra le Forze di Polizia italiane e romene, impegnate, insieme, ad indagare e a contrastare le organizzazioni criminali che agiscono nel nostro come nel loro territorio. Le operazioni denominate “Ita.Ro”, avviate nel 2006, si sono rafforzate attraverso l’accordo di cooperazione che i Ministri dell’Interno italiano e romeno hanno firmato lo scorso mese di dicembre, ancor prima che la Romania entrasse nell’Unione europea. Le stesse operazioni hanno prodotto finora 389 arresti, tra cui 5 di pericolosi latitanti, 278 denunciati, 1.100 provvedimenti di espulsione e 771 soggetti rimpatriati mediante accompagnamento alla frontiera. It.Ro è arrivata alla sua quarta fase, e nel corso dell’ultimo incontro tra il ministro Giuliano Amato e il ministro Cristian David, si è deciso di proseguire incrementando il numero di ufficiali romeni operativi in Italia. Ad oggi il numero complessivo delle persone denunciate o arrestate nel periodo di gennaio-agosto 2007 è di circa 567mila, di cui circa 364mila italiani e 203mila stranieri. Tra essi, 32.468 sono di nazionalità romena. Nei primi otto mesi del corrente anno il totale delle segnalazioni riguardanti i cittadini romeni corrisponde al 5,71% del totale dei reati e al 15,92% del totale di quelli commessi dai cittadini stranieri. Nel 2006 il totale delle segnalazioni riguardanti i cittadini romeni è stato pari a 40.036 persone, che corrispondono al 4,89% del totale dei reati e al 13,99% del totale dei reati commessi dai cittadini stranieri. Questi dati evidenziano che c’è stato un incremento dei reati commessi da romeni, ma evidenziano anche che c’è una pronta risposta delle nostre Forze dell’ordine e che proprio la collaborazione con questo Paese può favorire importanti passi avanti soprattutto per sgominare le grandi organizzazioni criminali.

Nel complesso, il problema è legato all’ingresso della Romania nell’Unione Europea, e quindi al libero ingresso dei suoi cittadini, rom e no. La direttiva 2004/38/Ce prevede che il soggiorno ai cittadini comunitari in Paesi Ue diversi dal loro è consentito se possono dimostrare di disporre di mezzi legali di sostentamento. Ritiene che sia necessario intensificare i controlli, e che per farlo siano sufficienti i mezzi attualmente disponibili?

L’Unione Europea stabilisce che la libera circolazione delle persone è una libertà fondamentale e inalienabile, riconosciuta ai cittadini dell’Unione dai trattati, nonché dalla Carta dei Diritti fondamentali, e che essa costituisce uno dei pilastri della cittadinanza europea. La direttiva 2004/38/Ce, pur prevedendo che uno Stato membro possa allontanare un cittadino dell’Unione, inquadra questa possibilità entro limiti ben precisi. La risoluzione approvata proprio su questo tema il 15 novembre dal Parlamento europeo ribadisce che tutte le legislazioni nazionali sono tenute a rispettare i principi e le disposizioni definite nella direttiva 2004/38/Ce.
Questa premessa serve a sgombrare il campo da molte cose che sono state dette nelle ultime settimane, e che hanno contribuito a creare confusione. Sono state date cifre sul possibile numero di romeni e comunitari da espellere che non corrispondono al vero, e che contribuiscono solo a dare l’idea che il nostro Paese stia facendo deportazioni di massa. Ad oggi non sono più di 50 i provvedimenti di espulsione varati dai Prefetti: espulsioni individuali, caso per caso.
E’ anche importante sapere che la direttiva consente l’allontanamento con accompagnamento coattivo solo nei casi motivati da esigenze di ordine pubblico o sicurezza pubblica. Non è possibile praticarlo in caso di insufficienza dei mezzi economici, né, per questa ipotesi, si può impedire il reingresso sul territorio. Per questo, già in fase di presentazione del decreto legge si era valutato che il limitato numero di espulsioni possibili non chiedesse un nuovo impegno di spesa.

Comunque, rimane forte il senso di inquietudine e di disagio dei cittadini, soprattutto di quelli che si trovano maggiormente a contatto con questi nuovi arrivati. L’urgenza di misure chiare, giuste ed efficaci appare evidente, anche per salvaguardare i tanti immigrati onesti, i quali ovviamente non fanno notizia. Ritiene che inquietudine e disagio possano pericolosamente sfociare in manifestazioni di xenofobia, o, peggio, razzismo?

E’ noto che il governo aveva avviato l’esame delle norme per l’allontanamento dei comunitari all’interno di un più complesso progetto di intervento, il cosiddetto pacchetto sicurezza. La brutale aggressione di Giovanna Reggiani ha fatto percepire il rischio che - come ha detto il ministro Amato - si svegliasse la tigre dell’odio. E non c’è dubbio che l’aggressione ai romeni a Tor Bella Monaca o l’assalto a un negozio romeno di Monterotondo ci hanno mostrato questa eventualità. Personalmente sono convinta che l’inquietudine e il disagio, così come il dolore e la rabbia, vanno considerati con attenzione per ciò che può derivarne. Alla politica spetta agire la giustizia nella società, attraverso l’impegno delle Istituzioni, perché la violenza subita non produca altra violenza. Per questo, anche il confronto politico si deve ben guardare dal seminare odio, perché questo sentimento non entri nella società e produca un clima di caccia alle streghe.
Entro dicembre il Parlamento dovrà convertire il decreto-legge se vorrà confermarne gli effetti. Ma mi auguro che prenda poi avvio l’esame di tutto il pacchetto sicurezza. Lì ci sono importanti risposte a tre bisogni che i cittadini esprimono: la certezza dell’arresto, la certezza del processo, la certezza della pena. Non credo che la criminalità ci debba insegnare a dividere gli italiani dagli immigrati, dai rom, dai romeni. Semmai, serve sempre di più dividere le persone che vivono nella legalità da quelle che delinquono, e stare e far stare lo Stato al fianco delle prime così come al fianco delle vittime, bandendo i comportamenti di chi ci vuole far vivere nella paura.

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