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Ottobre/2007 - Contributi
Il vaso di Pandora
di Tommaso Di Gaudio - Segr. gen. Siulp - Novara

Il 14 giugno 2007, come tutti i giorni, sono andato in edicola per acquistare la solita copia del quotidiano La Stampa, per essere quotidianamente informato di quanto accaduto nel territorio nazionale e più specificatamente nel territorio novarese. Giunto in edicola, sono stato colpito da una notizia. Un vero e proprio pugno alla bocca dello stomaco. “G8 a Genova, la testimonianza di un vice questore pentito”. Quindi, come ho sempre fatto dal luglio 2001, per apprendere una notizia che fosse la più equilibrata possibile, ho acquistato anche una copia del Corriere della Sera. Mentre leggevo le dichiarazioni rese ai giudici da parte del vice questore Michelangelo Fournier “Sembrava una macelleria messicana”, “Ho gridato basta, ma non hanno smesso subito, uno ho dovuto spintonarlo”, “Mentre una ragazza era a terra e intorno alla testa aveva dei grumi che mi sembravano materia cerebrale, uno dei due si è afferrato le parti genitali e ha mosso il bacino mimando un atto sessuale”, “Ho taciuto per vergogna e per spirito di appartenenza”, ho capito che il vaso di Pandora era stato scoperchiato e che nessuno poteva più porvi “rimedio”. Ho subito capito che queste poche parole, in special modo le ultime, avrebbero avuto un effetto domino dirompente, un vero e proprio tzunami. Infatti il 21 giugno su tutti i giornali capeggiava in prima pagina la notizia “G8 De Gennaro indagato”.
Improvvisamente, quello che sospettavamo era suffragato da dichiarazioni testimoniali rese durante un dibattimento processuale. In quei giorni “sembra” che qualcuno avesse un progetto che, per motivazioni varie, è sfuggito di mano, “forse” qualcuno ha cercato di mettere una pezza e qualcun altro “sembra” che abbia perso la testa e “sembra” sempre che qualcuno non abbia saputo pensare di meglio che mettere tutto a tacere, convincendo tutti i protagonisti che fosse meglio così.
Come cittadino, perché non sono “solo” un poliziotto, apprendere che funzionari e dirigenti di Polizia possano aver taciuto e/o omesso ciò che sapevano in verbali ufficiali e/o di fronte la magistratura inquirente “per vergogna e per spirito di appartenenza” e leggere di un questore della Repubblica che ad ogni deposizione modifica la versione dei fatti, mi ha sconvolto e profondamente deluso.
Immediatamente ho immaginato quali potessero essere le reazioni del cittadino comune di fronte ad una notizia del genere e l’immagine riflessa è stata tutt’altro che gradevole. L’aspetto più sgradevole di quella mattina è stato il momento del caffé, quando chi mi conosce per l’attività professionale e sindacale, mi ha detto: “Con la storia della Diaz e Bolzaneto avete perso dei punti, potremo fidarci ancora!?” Questa, pur essendo una battuta da opinion-bar, traccia il quadro della situazione.
In quei maledetti 3 giorni, grazie a “qualcuno”, la Polizia democratica si è “mangiata” 20 anni di consenso civile e politico. Improvvisamente i poliziotti non erano più quelli di Valle Giulia con cui solidalizzava Pasolini. Molti si sono chiesti, ma dov’erano i poliziotti democratici, quelli sempre pronti a denunciare le negligenze, le inefficienze e le nefandezze commesse dall’Amministrazione? Possibile che nessuno abbia sentito il dovere morale di denunciare quanto stesse accadendo in quei giorni? Possibile che tutti siano stati assaliti dal senso di vergogna e dallo spirito di appartenenza?
Visto l’andamento processuale, penso che debba essere fatta piena chiarezza su quanto accaduto in quei giorni e non solo rispetto ai fatti della Diaz e Bolzaneto, ma anche su “tutte” le cose strane accadute durante i tre giorni del G8. Ritengo che il progetto di “carabinierizzazione” della Polizia di Stato, pensato e praticato durante il mandato del precedente Capo della Polizia, iniziato in quei giorni infausti, sia stato fallimentare e dobbiamo sperare che lo stesso sia accantonato. Personalmente l’ho sempre stigmatizzato, denunciandone i pericoli all’opinione pubblica.
Ritengo che sia giunta l’ora di una nuova stagione riformatrice, che sia capace d’innovare la Polizia con uno spirito e un linguaggio nuovo che guardi comunque all’esperienza e ai valori del Movimento della sindacalizzazione e smilitarizzazione del Corpo delle Guardie di Ps e della legge 121/81. Ritengo inoltre che, al fine di rendere sempre più democratica, trasparente e permeabile la Polizia di Stato alla società civile, sia giunta l’ora di aprire un dibattito politico serio sull’abolizione dei limiti imposti dagli articoli 82 e 83 della legge 121/81 e garantire, a 26 anni dalla riforma, le piene libertà sindacali. Quindi garantire ai lavoratori di Polizia i diritti costituzionali, già ottenuti dai lavoratori del Corpo Forestale dello Stato e della Polizia Penitenziaria, quindi la possibilità di potersi iscrivere direttamente ai sindacati confederali. Se ciò dovesse accadere, ritengo che non si dovrebbe perdere l’occasione per ritrovare, attraverso un sodalizio federativo, le dinamiche, il contronto e lo spirito unitario fondatore del Siulp. Tutte le altre possibili operazioni di facciata e/o di bottega che dovessero essere pensate nelle stanze romane, calate dall’alto e/o messe in opera senza il preventivo ottenimento delle piene libertà sindacali, sarebbero un bluff. Questo risultato attenuerebbe il rapporto tra apparati e politica, in quanto anziché essere la politica ad uniformarsi agli apparati, devono essere questi ultimi ad uniformarsi alla politica.
Adesso, dopo il cambio al vertice, mi auguro che inizi una nuova era per la Polizia di Stato, anche se la cerimonia del passaggio di consegne fra il Capo uscente e quello entrante sull’altare della Patria, più che un normale avvicendamento fra due alti dirigenti del Dipartimento della Ps, sembrava qualcos’altro. Pensando alla nomina del nuovo dirigente generale della Ps mi vengono in mente due romanzi di scrittori italiani, uno è “Il Gattopardo” di Tomasi di Lampedusa ove una celebre frase recita: “cambiare tutto per non cambiare niente”; il secondo, un romanzo di Andrea Vitali, “Una finestra sul lago”, in cui uno dei personaggi, nonostante la sua provata “militanza” nel partito e capacità politiche, per il solo fatto di chiamarsi Benito, non veniva mai nemmeno candidato alla nomina di Segretario della sezione cittadina del Pci, perché i dirigenti e la base ritenevano che fosse quanto meno inopportuno.
Quindi, per sdrammatizzare e senza voler mancare di rispetto a nessuno, dopo tutto quello che è successo, nominare un nuovo Capo della Polizia che si chiama Manganelli.

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