L’altra notte ho assistito, presso il teatro Sant’Andrea di Pescara, alla prima del film di Giuseppe Ferrara “Guido che sfidò le Brigate Rosse”. Mi ero precipitato da Roma per esserci. L’avevo promesso all’organizzatore, ma soprattutto volevo vedere com’era stata resa la storia di questo sindacalista comunista, uomo eccezionale. Sento sempre doveroso testimoniare come uno dei “vecchi” poliziotti idealisti che hanno visto tante cose di questo tormentato Paese; trasferire un po’ di memoria, specie ai giovani. Anche per Guido Rossa le cui strade si sono incontrate a Genova dove mi sono laureato, e dove sono stato a metà degli anni ’60 sottotenente dei Carabinieri e dei ’70 commissario della Squadra Mobile della questura. C’era lui quel giorno del ’73 mentre dirigevo un servizio di ordine pubblico davanti ai cancelli dell’ Italsider a Cornigliano.
Operai in tuta con cartelloni urlavano slogan pesanti contro i “padroni”. Qualche insulto “servi in uniforme!”arrivava anche a noi poliziotti. Gli uomini in grigioverde scalpitavano, alcuni impazienti del comando: “caricare”. I capi dei manifestanti si erano avvicinati. Parlammo anche non di servizio; della loro vita pesante davanti alla fresa, ai torni, agli alti forni; io un po’ di quella dei poliziotti, forse non meno sfruttati. Comunicammo. Gli insulti cessarono.
La dimostrazione continuò, poi si sciolse tranquillamente. Dopo qualche giorno mi giunse in questura un pacchetto: l’aveva portato un operaio dell’Italsider, dentro un crocefisso di pezzi di ferro e bulloni saldati. L’ho sempre avuto con me da quando il questore di Genova, già repubblichino di Salò, che aveva sostituito Emilio Santillo mi fece trasferire nel ’74: ero un poliziotto carbonaro del movimento democratico di Polizia. Appena usciti avevo divorato i libri su Guido Rossa, da quello di Feliziani “Colpirne uno educarne cento” a quello della figlia Sabina che aveva 15 anni quando il papà venne ucciso, scritto con Giovanni Fasanella. Avevo sobbalzato scoprendo che quel sindacalista, che diceva non credere in Dio, creava crocefissi saldando pezzi di ferro di scarto. Ero andato ad Oriolo Romano per conoscerla. Una comunicazione breve, intensa: poi sul libro la dedica “a Ennio con affetto”. L’aveva colpita la frase: “Tuo padre è stato ucciso perché guardava alto nel cielo”. Pieno di sentimenti ero salito impacciato sul palco l’altra notte. Mi tremavano le parole, persino le gambe. In che condizione lavoravano allora le forze di polizia? aveva chiesto il moderatore.
La risposta amara: nel gennaio 1978 viene sciolto l’Ispettorato antiterrorismo del questore Emilio Santillo. Sia lui che il generale dei carabinieri Alberto Dalla Chiesa che hanno già inferto duri colpi alle Br, ai Nap, alle varie sigle del terrore, vengono mortificati. Non loro ma i generali Santovito e Grassini, vanno a dirigere nel 1977 i nuovi Servizi Segreti: Sismi ( militare) e Sisde (civile). La storia rivelerà: entrambi erano della P2. In questa situazione matura nel marzo ’78 il sequestro Moro conclusosi con la sua uccisione; il 24 gennaio ’79 l’omicidio di Guido Rossa, sindacalista comunista; cinque giorni dopo quello di Emilio Alessandrini, magistrato che indaga sulla Strage di piazza Fontana.
Diversi investigatori dell’Antiterrorismo di Santillo, ormai dispersi, vengono braccati e uccisi dalle Br: il film ricorda il commissario Antonio Esposito trasferito da Torino ad un commissariato di Genova, crivellato in autobus con 10 colpi di pistola dagli stessi assassini di Rossa.
Quante cose da dire alla gente che ascolta! Ma il tempo è breve. In sala ho salutato Marco Alessandrini il figlio e Paola la moglie di Emilio. Strano lei che chiusa nel dolore rifugge ogni occasione di memoria, ora é lì! Quanto soffrirà, penso preoccupato, vedendo quel film. Il commando dei tre assassini, Riccardo Dura alias “Pippo”, Lorenzo Carpi alias “Elio”, Vincenzo Guagliardo alias “Roberto”, esplode sei colpi alle gambe, poi Pippo torna indietro e ne aggiunge altri due: al cuore.
Pianificazione accurata, il loro covo in via Fracchia è a soli 300 metri dalla casa di Guido Rossa. Sarà la stessa cura per Emilio Alessandrini. Il 29 gennaio a Milano il gruppo di fuoco “Prima linea” sparerà numerosi colpi; Sergio Segio, ora libero, tirerà quelli alla testa. In sala come saranno echeggiati quei colpi? L’urlo di Sabina, la figlia quindicenne che torna da scuola? Come saranno scese le lacrime di Silvia, la moglie di Guido? Come per Marco, per Paola Alessandrini, per le vedove, i figli dei tanti uomini uccisi dalla follia e dall’odio degli anni di piombo?
Il film è finito. Un lungo applauso, quasi represso, liberatorio. Poi silenzio, la gente esce senza porre domande. Deve elaborare, da sola. Cerco con lo sguardo Marco e Paola, sono andati via, subito. Chiedo a una ragazza di liceo, sedici anni: allora? “Il messaggio é forte, chiaro: vigliacchi, imbecilli, assassini. Odiando e uccidendo non si risolve nulla!”. Il viso è fresco, imbronciato, sicuro.
Grazie Guido Rossa, operaio scalatore di vette nel cielo, sindacalista comunista dalla vista più ampia in terra. Non ti lasceranno più solo, né i compagni né altri.
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