A Nomadelfia, in maremma c’è un “popolo nuovo” come lo aveva sognato don Zeno, un prete nato a Fossoli di Carpi in provincia di Modena, il 30 agosto del 1900.
Quest’uomo nel 1931 accoglie un ragazzo uscito di prigione; l’anno successivo fonda l’“Opera dei piccoli apostoli” per dare una famiglia ai bambini abbandonati.
Nel 1947, sono tanti i bambini che nessuno vuole, che don Zeno è costretto ad occupare l’ex campo di concentramento di Fossano. In suo aiuto viene una benefattrice, Maria Giovanna Pirelli che dona a Nomadelfia una tenuta. Qui nasce il “popolo nuovo”.
Aiutano don Zeno donne di buona volontà e coppie di sposi che sostengono questo sacerdote considerato all’inizio un po’ stravagante.
Don Zeno s’ispira alla vita che si conduceva nelle prima comunità cristiane, basate sulla condivisione e la comunione dei beni. Nasce la prima parrocchia comunitaria nel modo riconosciuta dalla congregazione del clero nel 1961.
Il cammino della comunità di Nomadelfia è stato lungo ed attualmente ospita circa 50 famiglie (340 persone) divise in undici comunità che comprendono quattro nuclei familiari ciascuna.
La struttura esterna ricorda i fondi agricoli. Al centro sorge una costruzione con i servizi comuni che comprendono la cucina, la sala da pranzo, i laboratori, soggiorni per gioco, lavoro e preghiera. Intorno sono ubicate tante casette con le camere da letto; esse accolgono volontari che hanno scelto di fare da genitori ai bambini soli, e tra loro non mancano coppie di sposi. Ogni famiglia accoglie più figli, adottati oppure affidati dai Tribunali.
Chi vive in questa comunità non ha beni propri e obbedisce solo alle regole del luogo, giura e chiede di diventare cittadino di Nomadelfia che gli verrà concesso dopo un periodo di prove di tre anni.
Gli alimenti e l’abbigliamento vengono prelevati da un unico magazzino. Il denaro non circola e la vita è regolata come una democrazia con leggi contemplate nella Costituzione. I mezzi per la sopravvivenza si ottengono attraverso il lavoro: tipografico, elettronico, meccanico, agricolo ed edile.
Tutti partecipano secondo le proprie competenze o secondo le loro possibilità inclusi anziani e disabili. Per tutti si intendono giovani, uomini e donne, insegnanti e tecnici, colti o meno colti.
L’istruzione avviene all’interno della comunità secondo i programmi dell’istruzione pubblica e gli studenti si presentano come “privatisti” ai vari esami di maturità.
Nomadelfia ha accolto quasi cinquemila figli. Non sono mancati periodi bui, e scetticismo da parte di autorità politiche ed ecclesiastiche, che stentavano a riconoscere Nomadelfia come un popolo civile di volontari.
Don Zeno e la sua Opera, contrastati da tutti, hanno superato tempi molto duri: negati i sostegni economici da parte dello Stato, il sant’Uffizio ordinò a don Zeno di lasciare Nomadelfia. Quest’uomo, certo della validità della sua Opera, chiese ed ottenne la riduzione allo stato laicale fino al 1957, quando tornò a fare il prete. Fu papa Giovanni a riconoscere Nomadelfia che diventò la prima parrocchia comunitaria al mondo.
La tristezza per l’opposizione da parte della Chiesa spinse don Zeno a constatare che Nomadelfia disturbava tutto il clero, ma il Papa, nei momenti più difficili mandava aiuti per i Nomadelfi che si trovavano in difficoltà.
Questa, in breve, la storia di un sacerdote, don Zeno Saltini, che si prese cura dell’infanzia abbandonata dandole una famiglia.
Nel maggio del 1989, Giovanni Paolo II ha visitato Nomadelfia e battezzato l’ospide più piccolo e l’ha riconosciuta come centro ispirato alla legge della fraternità.
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