“Dopo tutti questi anni dalla sua morte, non c’è ancora una statua alla sua memoria”, hanno dichiarato Dominique de Fontenay e Xavier de Fraissinette, promotori di una pubblica sottoscrizione per erigere un monumento a Lady Diana, da collocare sul ponte parigino dell’Alma, nei pressi del tunnel dove, il 31 agosto 1997, l’ex moglie del principe di Galles morì in un incidente stradale insieme al fidanzato Dodi al Fayed.
De Fontenay lavora nel settore della comunicazione e delle pubbliche relazioni, Xavier de Fraissinette è scultore e designer, ex direttore artistico di Morabito, gioielliere, e profumiere della Place Vendÿme: ovviamente sarebbe lui l’autore della statua, che nel suo progetto “dovrebbe rappresentare la principessa in atteggiamento naturale, ad esempio nell’atto di camminare, mentre posa la mano sulla testa di un bambino che la guarda ridente”. Comunque, anzitutto si dovranno raccogliere i fondi necessari al costo dell’operazione, che si calcola tra gli 80.000 e i 150.000 euro, a seconda della complessità del monumento. A questo proposito qualcuno ha espresso delle riserve sull’impatto estetico del monumento: “Il ponte dell’Alma è già abbastanza brutto così, senza bisogno di ulteriori interventi”.
Mentre a Parigi ci si occupa della statua a Lady D., a Londra si riapre giudiziariamente il “giallo” della sua morte. Lord Baker, giudice dell’Alta Corte della capitale, di fronte alla quale in ottobre si aprirà un processo di parte civile sull’incidente dell’Alma, ha accettato tra le prove acquisite in giudizio una lettera autografa scritta da Diana al suo ex maggiordomo Paul Burrell nel novembre 1996. “Questa fase della mia vita è molto pericolosa – scrive la principessa – Mio marito sta pianificando un incidente d’auto con la mia macchina, un guasto ai freni e una ferita mortale alla testa, in modo da sgombrare il campo per sposarsi di nuovo”.
Burrel sostiene che Lady D. gli aveva raccomandato di rivelare il contenuto della lettera se lei fosse capitato qualcosa di tragico, ma lui aveva atteso fino al 2003 per inserirla in un suo libro di memorie.
L’ipotesi di un falso incidente, organizzato da agenti britannici, è stata sempre sostenuta da Mohammed al Fayed, - padre di Dodi e ricchissimo imprenditore egiziano, proprietario dei famosi grandi magazzini londinesi Harrod’s – e periodicamente ripresa dalla stampa popolare britannica. La versione più accreditata (ma priva di qualsiasi elemento di prova) attribuisce a Filippo di Edimburgo, principe consorte della regina e padre di Carlo, la responsabilità di aver ordinato ad agenti di un servizio segreto l’eliminazione mascherata di Diana: sempre secondo questa tesi, la famiglia reale britannica temeva che la principessa potesse avere un figlio dalla relazione con Dodi al Fayed, dando a William, figlio di Carlo e Diana e futuro re, un fastidioso fratellastro.
Due inchieste giudiziarie – una francese e l’altra britannica – hanno escluso l’attentato. Inoltre, al momento della morte Diana non era incinta, e voci bene informate assicurano che si stava stancando del fidanzato egiziano e aveva deciso di lasciarlo. Non è insomma facile prevedere quali chiarimenti possano venire dal processo, ma il giudice Baker ha escluso che Filippo e Carlo saranno chiamati a testimoniare. E a stabilire la sentenza non sarà una giuria popolare, ma lo stesso Lord Baker.
|