Intervista a Sergio Pastore Alinante, magistrato
in pensone, ex avvocato cassazionista e docente
universitario. Fino a quando la legalità non sarà
diventata un obiettivo irrinunciabile della nostra
“politica”, avremo solo rimedi apparenti
di tipo classista-repressivo
Il problema delle carceri appare, da tempo, non solo di difficile soluzione, ma anche presentato con scarsa chiarezza. Gli istituti di pena sono sovraffollati, ma l’indulto fa gridare allo scandalo perché aumenterebbe il tasso di insicurezza. Si potrebbe ipotizzare un sistema che metta fuori i soggetti non pericolosi, e tenga dentro quelli che lo sono?
In un sistema sanzionatorio razionalmente diversificato, alla detenzione in carcere dovrebbero essere condannati (eccettuati gli autori di delitti gravissimi o i casi in cui sia impossibile o inutile applicare altri tipi di pena) soltanto soggetti socialmente pericolosi.
Forse sarebbe utile risalire a monte della situazione attuale, e chiedersi “che cosa” deve essere un carcere. Un luogo di rieducazione-riabilitazione? Un deterrente che distolga dal delinquere? Una forma di espiazione?
La pena della detenzione carcerararia deve assolvere sia la funzione espiativa (etico-retributiva) che quella preventiva (generale e speciale, in quanto deterrente collettivo e individuale) che - soprattutto - quella rieducativa, l'unica ad essere espressamente prevista dalla Costituzione (art. 27).
La funzione rieducativa è la sola capace di eliminare in radice le cause della pericolosità sociale dei soggetti detenuti in carcere e deve essere intesa come un servizio che costoro hanno diritto di ricevere perfino quando esso sia inutile ai fini del loro reinserimento sociale.
Un altro aspetto del problema riguarda la lentezza della macchina giudiziaria, che tiene preventivamente in carcere una folla di detenuti in attesa di giudizio. Si parla periodicamente, anche ad alto livello istituzionale, dell’esigenza di riformare la giustizia, ma l’opinione pubblica sa poco o nulla di come questo dovrebbe avvenire, con quali fini, e con quali prevedibili risultati. In parole semplici, che cosa occorrerebbe fare, e perché si continua a non farlo?
E ancora, il Parlamento, il responsabile o il capro espiatorio di tutte le mancanze. E’ certo vero che alla Camera e al Senato si discute, si dibatte nelle Commissioni, per arrivare alla fine di ogni legislatura senza nulla di concluso. Eppure, dovrebbe essere nell’interesse di tutti, senza divisioni di parte, trovare delle soluzioni idonee. O vi è sottotraccia qualcosa d’altro che non viene detto?
La lentezza della macchina giudiziaria è la causa principale della crisi di legalità che affligge il nostro Paese.
Una delle sue conseguenze è il prolungamento della durata della custodia preventiva in carcere. Il quale prolungamento, peraltro, è divenuto nella pratica un sostitutivo dell'inefficiente sistema sanzionatorio. E come tale viene percepito dall'opinione pubblica e trattato anche a livello istituzionale.
Il tutto avviene in aperto contrasto con la Costituzione che vieta di considerare l'imputato (e tanto più l'indagato) colpevole fino alla condanna definitiva.
Per riformare, sotto questo profilo, la "giustizia" occorre separare materialmente il sistema carcerario espiativo da quello cautelare, adeguando quest'ultimo ai diritti e alle esigenze di soggetti che la legge presume "non colpevoli".
Ma, prima di ogni altra cosa, occorre rendere efficiente la macchina giudiziaria, in modo che le pene - e non soltanto la detenzione in carcere - siano tempestivamente decise dai giudici all'esito di un giusto processo e non, in forme più o meno mistificate, dall'Ag incaricata delle indagini.
Il degrado della nostra giurisdizione - di cui fanno parte integrante le difficoltà del sistema carcerario - può essere sanato solo con una molteplicità di interventi normativi, strutturali e organizzativi che richiedono consistenti mezzi finanziari e consapevole determinazione.
Ma, nel suo complesso, la nostra attuale classe politica considera la giurisdizione - e continuerà a considerarla fino a quando non l'avrà adeguata alle sue esigenze - un ostacolo pericoloso e talvolta gravemente dannoso, di cui sarebbe irragionevole assicurare la piena efficienza.
Fino a quando la legalità non sarà divenuto un obbiettivo irrinunciabile della nostra "politica", il degrado della giurisdizione, che ne costituisce l'insostituibile presidio, proseguirà o troverà apparente rimedio in recuperi funzionali di tipo classista-repressivo.
Naturalmente, poichè viviamo in un regime di (irrinunciabile) democrazia formale, spetta al popolo sovrano selezionare e portare al governo del Paese una classe politica cosciente della necessità di difendere e restataurare lo stato di diritto.
Come spetta ad ogni persona civile di contribuire alla formazione di una siffatta classe politica e di agire personalmente sempre e comunque in difesa della legge.
Molti istituti di pena italiani sono in condizioni pessime, e i primi a ripeterlo sono quelli che ci lavorano. Sarebbe il caso di varare un piano di edilizia carceraria, secondo principi che potremmo definire etici e funzionali, che garantiscano la sicurezza e condizioni di vita sopportabili? E, magari, privatizzandone la gestione?
Ricordiamo che nella civilissima Svizzera si diceva: le nostre carceri sono tremende, così tutti eviteranno di esservi rinchiusi. Un deterrente estremo…
Sì, naturalmente, quanto alla prima domanda.
No, assolutamente, quanto alla seconda.
Spero che la citazione svizzera riporti soltanto la battuta di un buontempone.
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