Nel 1980 l’Italia ratifica la Convenzione internazionale per la protezione delle specie in via di estinzione e, più o meno nello stesso periodo, con la riforma dei Corpi di Polizia (legge 121/81) decide di ammettere le donne a far parte dei Corpi di Polizia ad ordinamento civile, quasi anch’esse fossero una specie da tutelare prima dell’estinzione.
Ci vorranno ancora circa vent’anni affinché questo ambito traguardo si realizzi nei Corpi di Polizia militari e nelle Forze armate. Tuttavia, mentre nel 1982 venivano ammesse nelle carriere iniziali della Polizia di Stato le prime donne, nel Corpo Forestale dello Stato infuriava la polemica che farà slittare le prime assunzioni femminili al 1992.
Nonostante la grande rilevanza data alla presenza delle donne nei Corpi di Polizia e nei Corpi militari, in realtà questa è poco più che un’operazione di immagine per dimostrare lo sforzo fatto dall’Italia per raggiungere questo utopico obiettivo della parità tra i sessi. Guardando più nello specifico le singole situazioni, ci si rende conto che proprio l’ultimo arrivato, ovvero il Corpo Forestale dello Stato, detiene la palma della presenza femminile con una percentuale che si avvicina al 14,5%, seguito a ruota dalla Polizia di Stato (14%) e come fanalino di coda la Polizia Penitenziaria (2,7%), mentre nei corpi di Polizia ad ordinamento militare (Arma dei Carabinieri e Corpo della Guardia di Finanza) e nelle Forze armate, la presenza femminile si attesta su una percentuale che si aggira intorno al 3-4%.
Bisogna specificare che il sorpasso del Corpo Forestale rispetto alla Polizia di Stato è da imputarsi ad una operazione svoltasi nel silenzio assoluto e che non viene mai citata, neanche durante le melense ed ipocrite celebrazioni dell’8 di Marzo. Infatti, dopo il 1996 non sono più stati banditi concorsi pubblici nella Polizia di Stato e le uniche assunzioni di personale sono state operate attraverso l’assorbimento del personale ausiliario che svolgeva il periodo di leva presso il Corpo. Ovviamente, tale personale era esclusivamente maschile e ciò ha permesso di limitare la presenza femminile divenuta, a dire di alcuni, ingombrante.
A ben vedere i numeri, risulta evidente il successo di questa operazione, infatti se nel ruolo degli assistenti capo (15 anni di anzianità) le donne rappresentano il 17%, nel ruolo agenti (da 0 a 5 anni di anzianità) scendono bruscamente al 6,4%, per arrivare infine al 3,7% nel ruolo allievi agenti, neo assunti.
Con l’abolizione della leva obbligatoria, lo stesso risultato è stato perseguito con una legge poco conosciuta e poco pubblicizzata, la Legge 226 del 2004, con la quale si impone a tutti i corpi di polizia l’assunzione di personale nelle carriere iniziali dai ruoli del personale militare in ferma volontaria, dando così la spallata definitiva alla questione femminile nella polizia, viste le percentuali irrisorie delle donne nelle Forze armate. Nell’anno 2000 Valdo Spini, presidente della Commissione Difesa della Camera, dichiarava il proprio accordo sulla programmazione di queste "quote di entrata" sottolineando che l'obiettivo era di arrivare al 10 per cento di presenza femminile nelle Forze Armate, di fronte all'11 per cento degli Stati Uniti, al 2,5 per cento della Francia e al 6,5 dell'Inghilterra.
Secondo gli ultimi dati disponibili, risalenti al 31 dicembre 2003, le donne in divisa erano 1.736 di cui: 465 ufficiali, 384 sottufficiali e 887 volontarie in ferma breve, concentrate soprattutto nell' Esercito (1.042), seguito da Marina (335), Aeronautica (165) e Carabinieri (194). I dati dimostrano che nelle forze armate non sarà possibile superare le quote attuali se, a sette anni di distanza dalla legge di immissione delle donne nell’Esercito, la percentuale si è assestata intorno al 3%.
Tutto ciò contrasta con quanto più volte affermato circa la volontà di arrivare ad una effettiva parità tra i sessi anche nei settori considerati tradizionalmente maschili. Contrasta anche con l’articolo apparso su “La Stampa” di domenica 18 marzo 2007 nel quale si annuncia l’invio a Monrovia, la tormentata capitale della Liberia di un contingente Onu di sole donne le quali, a dire di Alan Doss, rappresentante speciale del segretario generale dell’Onu Ban Ki-Moon, "dall’esperienza della polizia nel mondo si sa che gli agenti donne sono brave a gestire le situazioni potenzialmente violente".
Terminiamo infine con un dato dal rapporto (Global Gender Gap) del World Economic Forum del 2006 dove, per opportunità economiche e di partecipazione delle donne, l’Italia si piazza ad un misero 87° posto su 115 paesi, preceduta addirittura da Sri Lanka (84°), Paraguay (80°), Bolivia (77°), Angola (69°), Zambia (64°), Zimbabwe (62°) ecc.
La norma introdotta con la legge 226 del 2004 è quindi discriminatoria verso una fetta della popolazione italiana, che non rappresenta una minoranza, ma supera il 50% del totale, risultando anche discriminatoria per il restante 48-49% (di uomini), per i quali l’accesso alle carriere iniziali dei corpi di Polizia non potrà più avvenire in condizione di equità e parità con gli altri cittadini italiani come previsto dalla Costituzione italiana.
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