Non è un’utopia ambientalista né – come
ha affermato l’ex sindaco di New York
Rudolph Giuliani – una “moda capricciosa”
ma una rivoluzione industriale avviata dai Paesi
più avanzati, in cui ogni tonnellata di rifiuti messi
in discarica o inceneriti è indice del fallimento
del sistema. Che la strategia “Rifiuti Zero”
sia la nuova frontiera dei Paesi industrializzati
lo dimostrano i fatti
“Rifiuti Zero” è un’alternativa agli inceneritori concreta e largamente praticata, intrapresa a partire dagli anni Ottanta dai maggiori Paesi industrializzati, in particolare dagli Stati Uniti e dal Giappone. La parola d’ordine in questa rivoluzione è “Qualità Totale”, raggiungibile attraverso la combinazione del sistema di produzione delle merci, un ridotto utilizzo di materia e di energia e la riduzione dei rifiuti, in particolare di quelli pericolosi.
La strategia “Rifiuti Zero” ha permesso alle numerose città e regioni che l’anno adottata di ottenere, in un arco di tempo relativamente breve, riduzioni molto significative dello smaltimento in discarica, senza ricorrere all’uso di impianti di incenerimento. E’ il caso di Edmonton, una cittadina canadese di 900.000 abitanti, che in pochi anni ha raggiunto il 70% di riduzione della quantità di rifiuti destinati allo smaltimento finale. Risultati incoraggianti, ottenuti attraverso politiche ambientali che hanno promosso la raccolta differenziata, il blocco delle produzioni nocive e la sospensione delle sovvenzioni agli impianti di incenerimento, dirottate verso programmi di riduzione e riciclaggio.
L’affermarsi di questa soluzione è il frutto di decenni di battaglie legali e culturali condotte da comitati di cittadini, associazioni ambientaliste e a difesa dei consumatori, ricercatori indipendenti contro le resistenze delle Amministrazioni pubbliche e delle potenti lobby dello smaltimento. Prendiamo il caso del New Jersey. Tra gli anni ’80 e ’90, nonostante l’opposizione dei cittadini, lo Stato Federale promuoveva la costruzione di diversi inceneritori; questa scelta si dimostrò ben presto un disastro economico per il concomitante successo del riciclo e del compostaggio che sottraeva materiale da bruciare e per l’apertura di nuove discariche “low cost” che rendevano più economico esportare i rifiuti. Il colpo di grazia venne definitivamente inferto dalla Corte Suprema, che abolì le sovvenzioni statali agli inceneritori. Gli impianti, a quel punto, furono costretti a chiudere, non prima di chiedere (e ottenere) il pagamento dei danni per inadempimento degli accordi contrattuali (2 miliardi di dollari, pagati dai contribuenti). Situazioni analoghe si crearono in numerosi altri Stati, con la chiusura di diversi impianti e la cancellazione di nuovi progetti: in un celebre articolo del 1993, il Wall Street Journal invitava i suoi lettori a non investire negli inceneritori, prevedendone un inarrestabile e rovinoso fallimento.
E’ a questo punto che negli Stati Uniti alcune città cominciano a percorrere la strada dei “Rifiuti Zero”. San Francisco costituisce forse la più affascinante esperienza dell’applicazione di questo programma; con circa 800mila abitanti, è una delle città americane con la più alta densità di popolazione, in cui si parlano tre lingue diverse (inglese, spagnolo e cinese). Qui si è rinunciato alla realizzazione degli inceneritori e si è puntato, in collaborazione con le aziende private, al riciclaggio e al compostaggio, con forme di raccolta differenziata domiciliarizzate. Già nel 2002 San Francisco riciclava il 62% dei materiali di consumo.
A fianco del vasto movimento di opinione pubblica a favore della politica “Rifiuti Zero” si trovano anche numerose aziende, che hanno compreso come la riprogettazione dei prodotti, finalizzata all’uso di materiali riciclati come materie prime, e il riuso degli oggetti, sia la strada vincente in un mercato competitivo in cui energia e materie prime sono sempre più costosi.
Diverso è stato il percorso di New York. Fino ad alcuni anni fa, l’Amministrazione trovava più conveniente esportare i propri rifiuti, facendo resistenza passiva all’attivazione di una seria politica di riciclo e non nascondendo la propensione alla realizzazione di impianti di incenerimento. Sia Giuliani (che ha definito il riciclo una “moda capricciosa”) che il suo successore Bloomberg ritenevano che la discarica fosse una soluzione più economica e conveniente del riciclo. Le cifre, però, li hanno decisamente smentiti: i costi di trasporto e smaltimento, infatti, ammontavano a circa 100 $ alla tonnellata (a New York se ne producono 20.000 al giorno). Le associazioni di cittadini della Grande Mela tornarono alla carica, forti anche dell’appoggio di diverse aziende di riciclo che avevano avviato fiorenti attività, che davano lavoro a più di 40 mila persone. Alla fine, i nuovi conti e i contratti a lunga scadenza con i riciclatori (che assicurano costi meno elevati) hanno convinto il sindaco Bloomberg che, anche per New York, il futuro è “Rifiuti Zero”.
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Libri consigliati
Sul consumo responsabile si può leggere:
Francesco Gesualdi, Manuale per un consumo responsabile. Dal boicottaggio al commercio equo e solidale (Feltrinelli, Universale Economica Saggi, 1999, 6.50 euro)
Autori vari, Guida al consumo critico. Informazioni sul comportamento delle imprese per un consumo consapevole (Emi, 2003, 15 euro
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