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Aprile/2007 - Contributi
La mia vita nella Polizia
di Dante D’Ascola Reggio Calabria

Sin da ragazzo ero appassionato di atletica, in particolare della marcia. Conciliavo il lavoro con lo sport; con mio fratello eravamo titolari di una azienda di costruzioni di mattonelle per pavimenti.
Nel 1960, anno delle Olimpiadi, che vennero disputate a Roma, in occasione di una mia partecipazione, al “Trofeo Olimpico Giovanni Scavo”, che si tenne a Napoli, dopo la gara, un ufficiale della Polizia dirigente delle Fiamme Oro, mi propose di gareggiare con i suoi colori. Accettai, e, a fine anno, fui assunto, in qualità di Guardia aggiunta. Fui mandato al Centro Sportivo di Padova e, successivamente, alle Fiamme Oro di Bari. Rimasi per quattro anni, partecipando a tutte le gare nazionali e internazionali e arrivando sempre ai primi posti.
Nel 1964 partecipai a tutte le gare regionali, vincendole. A fine anno, sia per l’età sia per l’aumento dei servizi di ordine pubblico, mi dimisi dal Centro Sportivo, anche se i dirigenti erano contrari.
A Bari chiesi il trasferimento per Messina. All’epoca il Capo della Polizia Vicari, era contrario che i dipendenti svolgessero servizio nelle province di nascita e fu respinta la mia richiesta. Conferii con un Generale, che ne parlò al Ministero e, per i miei meriti sportivi, fui assegnato alla Compagnia Mobile di Messina, e successivamente alla questura e all’autocentro. Vi rimasi dal ’65 al ’75.
Prestai servizio per i terremotati del Belice (Agrigento). Nel ’70 fui aggregato alla Squadra Mobile di Reggio Calabria e, a seguito dei moti di Reggio, vi restai per 5 mesi. Nel ’75 fui trasferito alla questura di Reggio Calabria. Assegnato all’autoparco, nel ’78 alla Squadra Mobile, sezione Volanti. In questo periodo, si parlava tanto di smilitarizzazione e di riforma della Polizia. Ritenni utile aderire alle organizzazioni per la nascita del sindacato di Polizia.
Negli anni ’80, per sollecitare la Riforma, partecipai alle riunioni clandestine di noi poliziotti. Al di fuori del servizio ci confrontavamo recandoci presso partiti politici e nelle sedi sindacali. Durante lo sciopero nazionale ci riunimmo con i tre segretari del vertice del sindacato unitario. Durante i nostri scambi di vedute, caratterizzati da interventi alquanto animati, la squadra politica della questura ci ascoltava per riferire al questore. Finalmente nel 1981, legge 121, il Parlamento approvò la Riforma. Tutti noi che avevamo lottato, ci candidammo al sindacato Siulp. Risultai primo nelle elezioni riportando 800 voti in provincia.
Successivamente, la Segreteria nazionale mi candidò al Consiglio nazionale di Polizia. Fui eletto a livello nazionale con 3.150 voti. La prima convocazione del Consiglio di Polizia avvenne nel dicembre 1982.
Nel triennio della mia carica di Consigliere, io ero scomodo ai miei superiori della questura di Reggio Calabria. Alle Volanti in cui ero capo servizio, i funzionari di turno davano ordini illegittimi, tanto che la notte del 2 dicembre 1982 mi sottrassero il gregario della mia Volante per altro servizio. Restai solo con l’autista e venni chiamato in questura perché il funzionario di notturna mi doveva consegnare il foglio con i nominativi dei “liberi vigilati”.
Gli feci notare che sulla macchina eravamo rimasti in due e quindi quel tipo di servizio non si poteva fare. Lui mi ordinò di eseguire l’ordine ed io gli chiesi di farlo per iscritto. non volle farlo ed io mi rifiutai di eseguirlo. Ripetei che quel servizio era molto pericoloso, si doveva andare in strada al buio, entrare nei palazzi in costruzione di proprietà dei vigilati e firmare il libretto, lui mi rispose che aveva avuto l’ordine dai suoi superiori e non volle darmi una Volante di ausilio.
Era stato tutto programmato dall’alto, tanto che mi arrivò la notifica dalla Procura: dovevo rispondere di “rifiuto d’obbedienza”. Seduta stante organizzai una riunione sindacale, spiegando i fatti avvenuti; in base al reato di cui mi avevano accusato, mi dovevano sospendere dal servizio e se lo avessero fatto mi sarei incatenato al Ministero ed avrei convocato i giornalisti raccontando loro tutte le malefatte del Capo della mia provincia.
Venne il giorno della causa di primo grado: la Pretura era stracolma di poliziotti liberi dal servizio, tanto che all’ingresso un funzionario prendeva i nomi dei presenti. Dopo un lungo dibattito dei miei difensori, avv. Davide Pelaia e Fausto Felletti, a chiusura dei verbali feci inserire a verbale, 4 nominativi di funzionari che in precedenza, in altri servizi di vigilanza ai “liberi vigilati”, a mia richiesta essendo l’equipaggio di due persone, avevo chiesto l’ausilio di altra macchina e mi era stata concessa. Comunque il Pretore sentenziò un anno di carcere e l’interdizione dai pubblici uffici.
Nel 1984 ci fu la causa di Appello, ma dopo continui rinvii e cambi di giudici non si riusciva ad avere una sentenza. Era una causa che scottava.
Si concluse nel mese di maggio 1984, il mio legale era Calvi del Foro di Roma, inviato dal Siulp. Quel giorno vennero convocati 5 commissari, in quanto io avevo dato i nominativi in Pretura.
L’avvocato Calvi domandò alla Corte se si fossero presentati i 5 commissari come testi e chiese a me chi fosse il più anziano dei testi, dicendomi: “Ho intenzione di far cadere prima lui e poi tutti gli altri con delle domande a trabocchetto, gli chiederò se esistevano circolari ministeriali”, a questa domanda il commissario interrogato rispose che non era a conoscenza.
La Corte non ritenne necessario proseguire con l’interrogatorio degli altri testi rimasti. Fu data la facoltà al Presidente di interrogarmi ed egli mi fece una sola domanda, ovvero se fossi a conoscenza delle circolari ministeriali; io risposi che alla questura di Reggio Calabria non le vedeva alcuno perché le tenevano chiuse nel cassetto dell’Ufficio Gabinetto. Mi chiese pure se io, in qualità di sindacalista, avevo richiesto di divultarle al personale e metterle in bacheca, ma loro non avevano alcun interesse a tenere informato il personale. Questa fù la mia risposta.
Dopo 30 minuti la Corte uscì dalla Camera di Consiglio pronunciando la sentenza di assoluzione perché “il fatto non costituisce reato”, trattandosi di persona non punibile per aver erroneamente ritenuto di esercitare un diritto. Seduta stante l’avv. Calvi mi disse: “Abbiamo vinto, ma si deve andare in Cassazione, ora è un fatto politico, la sentenza deve essere più chiara perché i poliziotti ne giovino”.
La prima convocazione del Consiglio avvenne nel dicembre ’82, nel salore delle conferenze al Viminale, si doveva discutere e dare un parere sullo schema decreto Presidente della Repubblica, che stabilisce requisiti psico-fisico attitudinali appartenenti ruoli di Polizia di Stato. Sin dalle prime convocazioni, tra gli eletti del Siulp, incominciammo a conoscerci. Le convocazioni nel triennio furono tante e rimanevo a Roma per parecchi giorni. Nelle pause e durante i lavori di Consiglio, i colleghi delle varie fasce, chiedevano il mio appoggio.
La prima richiesta fu quella riguardante gli idonei non ammessi al concorso per vice brigadiere degli ultimi 10 anni. Il nuemero era alto, circa 15.000, ma la proposta passò con la ricostruzione di carriera e diventarono tutti mareschialli, anche con carenze di professionalità. Caso esclatante fu quando un maresciallo capo mi confidò che era sufficiente un colloquio per entrare nei ruoli di vice ispettore. Mi chiese la mia collaborazione per fare un nuovo simbolo sul berretto, da distinguersi dai marescialli.
Gli suggerì di fare tanti schizzi, tra le tante idee proposte c’era il simbolo della greca. Gli feci notare che quel simbolo era in dotazione nei cappelli dei generali. Alla fine il Ministero acconsentì per una striscia argentata sul cappello.
Successivamente lo ebbero tutti i Corpi delle Forze di polizia, compresi i vigili notturni.
Il ruolo d’ispettore, così come la Riforma stabilita, andava bene. Un ispettore che esplica tale funzione, deve essere preparato professionalmente per dirigere con responsabilità un commissariato o altri posti di Polizia. Ma i dirigenti, per sminuirne la qualifica, dettero libero accesso a tutti, anche a coloro che erano privi di tali requisiti. Alcuni di essi, con il grado di ispettore, facevano gli austisti alle varie Prefetture e questure!
Tra i nominati dal Ministero a far parte del Consiglio vi erano anche donne che espletavano mansioni di assistenti e di ispettrici di Polizia femminile. Le prime erano diplomate e le seconde laureate. Si batterono per entrare nei ruoli dei funzionari. I primi ottennero i gradi di vice commissario, le ispettrici a vice questore. Successivamente la prima donna promossa questore fu mandata a dirigere la questura di Ancona.
Al Viminale, nelle riunioni, facevo pressione affinché si stilasse un Regolamento di Servizio, come contemplato nella legge 121. Chiedevo l’istituzione del poliziotto di quartiere ed il coordinamento delle Forze di polizia.
Riguardo il Regolamento di Servizio, i dirigenti ministeriali contravvenivano deliberatamente alle norme della legge 121, tenendo i poliziotti allo sbando per poi poterli denunziare.
Col passare degli anni, la situazione Siulp peggiorò tanto che i poliziotti, pur gestiti da più sindacati, non erano in grado di far valere i diritti dei tutori dell’ordine ed in particolare quelli del personale in congedo.
In epoche passate, il distacco sindacale non esisteva, noi del direttivo per gli ideali liberi dal servizio ci adoperavamo affinché il sindacato funzionasse.

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