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Aprile/2007 - L'angolo del 'giallo'
Un bambino e la sua “famiglia”
di Simona Mammano

Questo libro entra nella sicilianeità, con quella
consapevolezza che Sciascia sperava di vedere
nei suoi conterranei


E’ lo sguardo di un bambino quello che Giacomo Cacciatore ci propone con Figlio di Vetro (Einaudi, 2007 – pagg. 163, euro 14.00), un bambino che vive negli anni ’70 a Palermo.
“Famiglia” è la parola chiave di questo libro, ed è esplorata in tutte le sue connotazioni.
Il romanzo è scritto in terza persona, con protagonista Giovanni, un bambino che diventa adulto non capendo cosa accade veramente attorno a sé e all’interno del suo nucleo familiare.
Il lettore viene trascinato dalla ricerca di comprensione, la stessa ricerca che fa Giovanni.
Nelle ultime cinque righe la narrazione diventa in prima persona. Non è più lo sguardo di Giovanni che vaga alla ricerca di spiegazioni, è la sua consapevolezza che si fa strada e con quelle cinque righe mette la parola fine a una storia personale che è la metafora di un periodo che ha fatto la storia di Palermo, che i palermitani dividono in pre e post Capaci.
Quello è il punto di svolta che ha permesso a Giovanni e, in senso più ampio, alla Sicilia di fare i conti con una parola che prima di allora non si voleva accettare di usare, la si ignorava.
Adesso Giovanni e la Sicilia sanno che la mafia esiste e loro per primi ne rivendicano la conoscenza.
E’ un libro che entra nella sicilianità che intendeva Sciascia, una sicilianità ora consapevole, una consapevolezza che lo scrittore Racalmuto avrebbe voluto vedere nei suoi conterranei, prima di morire.
E’ un libro che richiede un patto con il lettore, il quale deve dimostrarsi parte attiva, attore mai secondario, per uscire da una mentalità accecata dai luoghi comuni.
__________________________________________
“A Palermo si dice che una persona è ‘intisa’”

Come è nato questo libro? Non sono andato incontro a questo libro, è lui che mi ha cercato.
Ero poco convinto di affrontare il tema della mafia, secondo me era già stato detto tutto in proposito, non vedevo cosa potessi aggiungere di nuovo. Inoltre non volevo essere etichettato come uno che scrive solo di mafia, non mi piacciono le specializzazioni in tema di scrittura.
In realtà ho voluto raccontare un periodo ben definito, dagli anni ’70 alla strage di Capaci, un periodo in cui a Palermo non si parlava apertamente di mafia.
Ho sentito la necessità di parlarne come individuo vissuto a Palermo proprio in quegli anni.
Voglio definirmi solo una nuova voce che ha scritto di mafia.
Cosa c’è della tua esperienza di vita in questo libro?
La mia esperienza è la mia vita, quella di qualsiasi palermitano.
L’aria che si respirava a Palermo nel periodo pre - Capaci, perché è stato proprio quello il vero punto di svolta per la città e tutta la Sicilia. Prima non si parlava né si analizzava il fenomeno mafioso, tutto era intriso di mafia, ma i suoi atteggiamenti non erano letti in quella chiave.
La mafia era nei salotti, nella politica, ma si preferiva non connotarla come tale, non pensarci.
Cosa percepiscono della mafia le persone comuni a Palermo ma anche fuori dalla Sicilia?
A Palermo si riconosce il modo di fare tipicamente mafioso, tanto che da noi per esprimerlo si dice che una persona è “intisa”.
Fuori dalla Sicilia mi chiedo cosa possano percepire, visto il successo che ha avuto “L’ultimo dei corleonesi”, film che dava l’idea del mafioso come quella dell’eroe romantico.
Al contrario è stato interessante “Scacco al re”, io stesso ho capito che si trattava di un documentario tratto da un’indagine reale. Infatti alla sua realizzazione ha partecipato Piergiorgio Di Cara, poliziotto e scrittore palermitano.
Non amo la spettacolarizzazione dell’evento, la caricatura del boss. E’ una visione stereotipata da opera dei Pupi.
E’ il marchio esclusivo che si porta con sé il Sud; noi sappiamo che la verità sta nel mezzo, come sempre.
Quanto tempo dedichi alla scrittura dei tuoi romanzi?
Faccio l’editor per una casa editrice, collaboro con La Repubblica, infine scrivo.
Cosa c’è di te in questa storia?
Sono figlio di un poliziotto e, quando ero bambino, respiravo due atmosfere differenti: quella di Palermo, città complessa, e la tensione che percepivo in casa a causa del lavoro di mio padre.
Per me era tutto enigmatico.
Come è stato accolto Figlio di Vetro?
Bene, ho avuto ottime recensioni da parte di scrittori.
Verrà pubblicato in Francia e in Germania. Anche il mio precedente romanzo (L’uomo di spalle, ed. Flaccovio, 2005) è stato tradotto in tedesco.
(Intervista a cura di Simona Mammano)

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