Le origini del pugilato affondano nel mito. Secondo gli antichi greci fu Teseo, il leggendario re di Atene che uccise il Minotauro, ad introdurlo come tecnica di combattimento. Un’importante testimonianza di questo sport è contenuta nel XXIII canto dell’Iliade, in cui viene descritto un combattimento organizzato da Achille durante i giochi funebri in onore dell’amico Patroclo. I greci consideravano il pugilato una disciplina completa e ideale, con la quale un uomo poteva sviluppare una mente vigile in un corpo sano e robusto, tanto che fu introdotto come disciplina sportiva già nella XIII Olimpiade antica, divenendo uno degli spettacoli più amati e seguiti. Anche il mondo romano ha lasciato un’illustre testimonianza di questa disciplina, descritta da Virgilio nel VI canto dell’Eneide; sebbene allora il pugilato fosse una pratica piuttosto cruenta, nella quale spesso la vittoria di uno era decretata dalla morte dell’altro, già da queste prime attestazioni emergono la nobiltà d’animo e il coraggio di chi la praticava.
Attraversata una fase di declino durante il Medioevo, il pugilato rifiorisce nell’Inghilterra del Settecento, dove cominciano a svilupparsi le prime tecniche che fecero del pugilato un vero e proprio sport. Fu l’inglese James Figg, ricordato spesso come il padre della boxe, il primo a sostenere l’importanza della difesa più che dell’attacco, formulando la celebre definizione di noble art. Certo, il pugilato di quel periodo era ben diverso da quello che siamo abituati a vedere oggi: i pugili si battevano a mani nude senza mai fermarsi, proseguendo ad oltranza senza l’intervallo fra le cosiddette “riprese”. Con i soldi accumulati durante la carriera pugilistica, Figg fondò la prima Accademia di boxe, un importante serbatoio di idee e di innovazioni che ebbe un ruolo fondamentale nella diffusione e nella promozione di questo sport. Il successo delle sue iniziative determinò una crescita esponenziale non solo dei praticanti, ma anche dei sostenitori: nasce in questo periodo la figura del pugile professionista, per il quale conquistare il titolo di campione d’Inghilterra significava guadagnare non solo ingenti somme di denaro, ma anche un impareggiabile prestigio.
Fu un allievo di Figg, Jack Broughton, a codificare le prime regole della boxe in un libro pubblicato nel 1743. Famoso per l’onestà che dimostrava durante e dopo i suoi incontri, Broughton conquistò, pur non dotato di una particolare forza fisica, il titolo inglese battendo il campione in carica: egli capì che il pugilato non era l’espressione di una cieca violenza, ma di una precisa armonia tra difesa e attacco.
Bisognerà aspettare un secolo, però, per arrivare alla formulazione delle principali regole della boxe moderna. Divenuta polo di attrazione di interessi economici, fu regolamentata da un preciso sistema di norme, che stabilivano l’obbligatorietà dei guantoni, la divisione del match in round e la differenziazione delle categorie di peso.
Verso la fine dell’Ottocento il centro d’interesse del pugilato mondiale si spostò dall’Inghilterra agli Stati Uniti; soprattutto nella categoria dei pesi massimi, attorno alla quale ruotavano i maggiori interessi economici e i giri di scommesse, gli atleti americani si aggiudicavano un titolo dopo l’altro. Solo Primo Carnera nel 1933 riuscì a sottrarre la cintura all’egemonia statunitense, rimanendo campione del mondo per un anno.
Negli anni Sessanta la popolarità del pugilato raggiunge il suo apice: nel 1964 il ventiduenne Cassius Clay si aggiudica il titolo mondiale, distinguendosi non solo per le sue impareggiabili doti di pugile, ma anche per il suo impegno politico. La fine del Novecento vede prevalere gli atleti di colore, come Mike Tyson, divenuto campione del mondo a soli vent’anni, famoso non solo per i suoi devastanti ko, ma anche per vicende personali poco encomiabili.
Anche se per il grande pubblico la storia del pugilato è stata scritta dai pesi massimi, molti sono stati i campioni nelle altre categorie, tra i quali l’italiano Nino Benvenuti, che conquistò il titolo mondiale dei pesi medi nel 1967 al Madison Square Garden di New York, facendo sognare i milioni di italiani che si erano svegliati per seguire l’incontro raccontato alla radio da Paolo Valenti.
Una storia affascinante, quella del pugilato, in cui risuona l’eco degli eroi omerici, dei valorosi combattenti delle arene romane, dei gentlemen dell’Inghilterra vittoriana; la storia di uno sport che Pierre de Coubertin, durante la prima edizione delle Olimpiadi del 1896, adottò come modello universale di lealtà e di rispetto assoluto dell’altro.
|