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Aprile/2007 - Articoli e Inchieste
Sport
La boxe in rosa: i pregiudizi vanno al tappeto
di Eleonora Fedeli

Il vocabolario delle pari opportunità si arricchisce di un nuovo dubbio linguistico: c’è chi le chiama donne pugili o pugilatrici, chi le definisce pugilesse e chi opta per un internazionale boxeuses. Certo è che negli ultimi dieci anni il numero delle donne che hanno infilato i guantoni e sono salite sul ring è aumentato vertiginosamente. Chi immagina corporature massicce e nasi rotti è fuori strada: ne è la prova la pluricampionessa mondiale WBO Stefania Bianchini, una biondina che sfiora il metro e sessanta per appena cinquanta chili. La femminilità non è messa a repentaglio da un paio di guantoni: la maggior parte di queste atlete di femminilità ne ha da vendere, al pari della grinta, della determinazione e del coraggio con cui passano sotto le corde e sfidano l’avversaria.
Nonostante la perplessità iniziale di molti colleghi uomini, questi si sono dovuti ricredere di fronte ai numerosi successi ottenuti dalle atlete italiane, che non si limitano al solo pugilato, ma si cimentano anche negli altri sport da combattimento, come la Kickboxing, il Full Contact, la Thai boxe e la Savate. Assaporato il gusto delle gare, molte si sono distinte nelle competizioni internazionali, arrivando a conquistare titoli importanti. Come Maria Moroni, la prima donna italiana a disputare e a vincere un match da professionista negli Usa, la “patria della boxe”, e Sonia De Biase, altra veterana del pugilato in rosa, che, dopo una prima sconfitta, ha inanellato 13 vittorie consecutive fino ad aggiudicarsi il titolo europeo. Dietro questi successi ci sono mesi di duri allenamenti: intenso lavoro aerobico, potenziamento muscolare e un’accurata preparazione tecnica. La forza fisica, infatti, non basta da sola a risolvere un match, se non è sostenuta da concentrazione, precisione e tattica. La fatica e i sacrifici non sono pochi, soprattutto se consideriamo che queste atlete non vivono del loro sport. Ma sono anche molti i benefici fisici che ne derivano: il pugilato è un ottimo sistema per stimolare la circolazione, aumentare il fiato, migliorare l’elasticità dei muscoli e tonificarli.
Molti si domandano se esistano delle controindicazioni a questo sport. In Italia si discute da tempo sui rischi e sul pericolo della boxe e degli sport da combattimento praticati a livello professionistico dalle donne, tanto che nel 2001 è stata formata un'apposita Commissione dal ministero della Sanità Veronesi. Il verdetto ha mandato ko la legge che regolamentava soltanto il pugilato maschile (decreto ministeriale del 5 luglio 1975), definita dal deputato dei Comunisti Italiani Katia Belillo “anacronistica e discriminante”. Questa vittoria ha consentito al pugilato femminile di uscire dalla clandestinità: molte atlete fino a quel momento erano state costrette ad emigrare per disputare i match nelle riunioni internazionali. Secondo le norme stabilite dal nuovo decreto, le atlete sono obbligate ad indossare una protezione per il seno e a sottoporsi a esami di gravidanza prima di ogni incontro: l’unico rischio è tornare a casa con qualche livido. Almeno sul ring, però, dovranno rinunciare al make up e all’uso di forcine e fermagli per capelli.
Un colpo dopo l’altro, le donne del pugilato stanno abbattendo l’ennesimo tabù che le riguardava: con passione, tenacia e tanta voglia di vincere dimostrano che il pugilato non è uno sport riservato ai soli uomini, ma a tutti coloro che ne hanno il coraggio.

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