Troppo spesso si sente dire in giro che i reati non vengono puniti e che le Forze dell’ordine non ci sono mai quando servono, ma come sempre cominceranno le sfilate dei maniaci delle statistiche con le loro innumerevoli cifre sui reati puniti e nello specifico, sui quantitativi di droga sequestrati e di quale tipo, dove e quando hanno operato e... dulcis in fundo, quanto si è operato di più degli anni precedenti. Tutte le statistiche di questo mondo vengono giusto a proposito per sapere quando si possono fare determinate operazioni e quando mettere a segno vittorie repressive di tutti i generi, ma forse sarebbe il caso di chiarire quale compito le Forze dell’ordine devono andare a svolgere per garantire la sicurezza.
Le Forze dell’ordine devono tutelare il precetto o la sanzione? Devono difendere un diritto o comminare una pena? Quando si è agito in prevenzione ed una operazione repressiva, giusto fatto scaturente dalla violazione di un precetto e prima di ulteriori conseguenze, fallisce chi si deve sentire responsabile? O meglio, non è più gratificante un risultato preventivo che ha evitato un furto, uno spaccio o altro reato che se avrebbe minato la percezione di sicurezza della socialità?
Si fa un gran parlare della mobilitazione di un settore delle Forze di polizia in contestazione aperta alle proposte contrattuali dell’attuale governo che sembrano indubbiamente miserrime, ma chi parla della professionalizzazione di quei soggetti che dovrebbero studiare e trarre vantaggio da quei numeri dai quali si potrebbe imparare il modus operandi e lo scacchiere malavitoso? La sicurezza è un bene comune dal quale si trae un vantaggio tale da rendere possibile quella fruibilità del benessere sociale che solo in tranquillità si gode, questo punto salta all’attenzione dei più solo quando accadimenti eccezionali esaltano la percezione di fragilità che la società attuale offre.
Nel contesto consumistico attuale, fatto di incertezze e di precarietà, non solo lavorativa; nel mondo in cui l’emulazione è la regola ed il certo è un’utopia, fatto di fantocci e di scarsi miti; lavorare fabbricando tranquillità, fiducia nel prossimo, misura di sé stessi, dovrebbe essere un merito per chi osserva ed un vanto per chi opera.
Potrebbe passare attraverso questo il processo di investimenti che si innesca solo quando si è sereni che il fallimento di certe scelte, sia economiche che sociali, è legato all’errore come fatto umano, e non alla fregatura dal prossimo in quanto lupo arrivista schiavo del tutto e subito!
Ecco perché forse l’attività repressiva dovrebbe essere considerata solo come eccezionale giacché una volta avvenuto il fatto, la percezione di sicurezza è ormai minata, mentre nella prevenzione e nella conoscenza del mondo che ci circonda potremmo trovare quello stimolo in più per sopravvivere e reagire.
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