Una grande esposizione, alle Scuderie
del Quirinale, dal titolo “Dürer e l’Italia”, illustra
il confronto tra l’opera dell’artista
di Norimberga e i maestri della Penisola
C’è qualcosa di affascinante ed inquietante nelle opere di Albrecht Dürer. C’è uno sconfinato senso di nostalgia, c’è umana compassione per animali e piante, c’è il mistero della vita e della morte, l’aspirazione a un’arte, e quindi ad una vita, migliore. E c’è tutta l’ansia dell’uomo. Un’ansia esistenziale che anticipa lo spleen dei secoli a venire e che, all’epoca, non poteva che definirsi Malinconia. E c’è altrettanto chiara, tutta la lotta interiore tra la percezione dell’inadeguatezza, artistica e umana, e il desiderio di essere parte del divino. I suoi autoritratti somigliano, senza ombra di dubbio, al volto di Cristo, figlio di Dio, cioè una creatura perfetta, eppure di umana sostanza, e quindi corruttibile e votata alla morte. Ma si potrebbe affermare che tutto ciò che Dürer ha disegnato, inciso, acquerellato, dipinto, non sia stato altro che un perenne autoritratto.
L’incisione dell’anima
Se Dürer non hai mai smesso di imparare, di guardare ad altro tipo di pittori e artisti, se ha scritto libri di teoria e proporzioni, ha sperimentato tecniche nuove, ha registrato il meglio di ogni Paese e forma artistica con cui si è trovato in contatto, è vero pure che il mondo lo ricorda in primo luogo per le sue mirabili incisioni. E che cos’è l’atto dell’incidere se non una forma di scavo che sottende all’analisi interiore, al voler andare e vedere oltre?
Vedere, viaggiare, imparare, vivere e lavorare con “appassionata impassibilità”, come ha scritto qualcuno. “Appassionata” in quanto all’indole e al carattere, “impassibilità” in quanto alla capacità, propria degli artisti del Nord, di non lasciarsi sfuggire il minimo dettaglio realistico, nemmeno in esseri o cose immaginari. Le teorie di lettura dei suoi lavori sono molteplici e nessuna di queste ha posto la parola fine.
In questi ultimi anni l’interesse per Dürer si è espresso anche per quello che attiene le esposizioni. A parte quella monografica di Norimberga del 1971 e nel 1999 a Venezia “ Il Rinascimento a Venezia e la pittura del Nord ai tempi di Bellini, Dürer, Tiziano”, ci sono state nel 2003 una mostra all’Albertina di Vienna, ripresa nel 2005 al Museo del Prado di Madrid, un’altra al British Museum di Londra e, infine, a Praga nel 2006 una esposizione incentrata sulla “Festa del Rosario”. Alla fine del 2007 sarà inoltre organizzata al Museo Thyssen- Bornemisza a Madrid una mostra sull’arte nel periodo delle contese politico religiose in Germania intorno al 1500, con speciale accento su Dürer e Cranach.
L’esposizione alle Scuderie
L’esposizione che si va ad aprire il 10 marzo, per chiudersi il 10 giugno, alle Scuderie del Quirinale di Roma, pone l’accento, già nel titolo “Dürer e l’Italia”, sui rapporti che il genio di Norimberga ebbe con il nostro Paese, sia in termini di apprendimento sia di lascito negli artisti a lui successisi. Nel percorso espositivo della mostra vengono proposti al pubblico più di 20 dipinti originali, 10 acquerelli, 33 disegni, 58 stampe originali, 3 dipinti di controversa attribuzione, messi a confronto con opere italiane, per un totale di circa 200 opere.
La presenza di diverse sculture in questa occasione vuole sottolineare che Dürer le osservava con particolare interesse (essendo anche lui progettista di sculture) in quanto strumenti per studiare il rilievo, le proporzioni e il “contrapposto all’antica” dei corpi in modo da giungere alla perfetta plasticità delle figure nei suoi dipinti e nelle stampe.
Il periodo considerato spazia tra il Cinquecento e il Seicento: secoli caratterizzati da una particolare inclinazione verso lo studio della natura e dell’espressione, in sintonia, quindi, con gli obiettivi principali del maestro di Norimberga.
Nel motivare la scelta scientifica di quest’esposizione la curatrice, Kristina Herrmann Fiore, scrive: “Il caso di Dürer sotto il profilo dei riflessi reciproci rispetto all’arte italiana è assolutamente unico nel suo genere e risponde a un duplice problema: quanta importanza ha rivestito l’ispirazione italiana per la formazione dello stile del Dürer, concorrendo a inverare la sua cifra personale? E, al contrario, quanto devono gli artisti italiani del Cinquecento e Seicento alle opere grafiche del Dürer? L’arte di Albrecht Dürer non sarebbe stata possibile senza la formazione e la sfida continua costituita dall’esempio dei maestri del Rinascimento italiano”.
Ispirazione e lasciti
E proprio il primo piano espositivo sarà dedicato a questa tematica con opere di Bellini, Mantegna, Leonardo, Agostino da Lodi, Jacopo de’ Barbari, ed altri, in cinque sale articolate secondo i seguenti temi: l’arte del ritratto - la scoperta della figura umana attraverso l’arte antica - lo studio della natura, delle piante, degli animali e del paesaggio - la pittura religiosa - i lavori per l’imperatore Massimiliano I.
Il secondo piano espositivo illustrerà invece la seconda tematica molto sinteticamente attraverso alcuni esempi. La produzione di Dürer, infatti, attraverso la diffusione delle stampe in tutta Europa, e non solo, era diventata la miniera ricca di invenzioni da sfruttare nelle più varie occasioni dagli artisti del ’500 e del ’600 anche in Italia, e proprio la mostra fa comprendere come dal microcosmo delle stampe, spesso anche molto piccole, si sia potuta trasmettere un’invenzione compositiva ad opere di grande formato.
E questo è un fenomeno generale in Italia che non si limita a Venezia, ma raggiunge immediatamente, all’inizio del ’500, anche regioni molto lontane, includendo la Sicilia. Questa mostra cerca in sostanza di essere una sorta di “illustrazione” del giudizio del Vasari (1568) nella vita di Jacopo Pontormo: “Né creda niuno che Jacopo sia da biasimare, perchè egli imitasse Alberto Duro nelle invenzioni, perciochè questo non è errore, e l’hanno fatto e fanno continuamente molti pittori”.
Certo le reciproche influenze tra Germania e Italia hanno appassionato migliaia di studiosi. Gli acquerelli di Dürer testimoniano tutta la sorpresa dell’uomo nordico che vede il sole e la luce, che sta scendendo nel Paese dove fioriscono i limoni.
E in questa primavera del 2007, sul colle più alto di Roma, prende forma il teorema che ha riempito intere biblioteche: arte italiana e arte tedesca, Norimberga e Venezia, Raffaello e Dürer, il genio di due popoli che si cercano, si contaminano e si rispecchiano l’uno nell’altro. E’ stato così nei tempi buoni e saggi dell’arte, ma è stato così anche in quelli del terrore e della perdita di senso che ha generato il connubio infausto e sanguinario del nazi-fascismo.
Il volto della giovane donna veneziana di Dürer fa pensare a Bellini e a un connubio perfetto tra arte germanica e arte italiana; le sue Apocalissi, l’occhio sbarrato di Proserpina, la carcassa macilenta del cavallo della Morte, presagiscono invece la barbara calata del non senso, che ha sconvolto l’Europa del secolo scorso, lasciando milioni di morti sul terreno e altrettanti passati dalla “canna dei camini”.
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“Dürer e l’Italia”, Scuderie del Quirinale (viale XXIV Maggio 16, Roma), dal 10 marzo al 10 giugno. Info e prenotazioni: 06 39967500. Orari: da domenica a giovedì: dalle 10 alle 20; venerdì e sabato: dalle 10 alle 22.30. Costo del biglietto: euro 10 intero; 7.50 ridotto.
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