La missione Unifil, per la quale Italia e Francia
hanno inviato i contingenti più numerosi, finora
ha permesso la fine delle ostilità, il ritorno
dei profughi nel sud del Paese, lo sminamento
e il riposizionamento alla frontiera
dell’Esercito libanese
Il 12 luglio 2006, Hezbollah portò un attacco coordinato con il lancio di razzi oltre la blue line verso le posizioni dell’Esercito israeliano, vicino alla città di Zarit. In parallelo, gli uomini del Partito di Dio attaccarono una pattuglia, catturando due soldati israeliani ed uccidendone tre. La conseguenza di questa azione, fu quella che è stata ribattezzata la guerra tra “Israele ed Hezbollah” che ha visto uno scambio di bombardamenti ed una serie di combattimenti tra lo Tshal e gli sciiti del sud del Libano. Sono stati bombardati da Israele, tutti i punti nevralgici dell’organizzazione Hezbollah, comprese le infrastrutture che permettevano la mobilità agli uomini di Hasan Nasrallah sia nel sud del Libano, sia a Beirut. La risposta degli sciiti si è concretizzata con una tattica mordi e fuggi di guerriglia e bombardamenti con razzi sulle città israeliane. La mobilitazione internazionale non si è fatta attendere, mentre i libanesi, vivendo giorni di paura, ostaggi di una guerra combattuta da Hezbollah, si vedevano rappresentati da una milizia ma non dall’Esercito regolare libanese. Quest’ultimo non ha esploso neanche un colpo contro gli israeliani ma non è mai stato, a sua volta, bersagliato.
Dopo settimane di consultazioni internazionali, la risoluzione Onu 1701 ha portato la pace.
Il governo italiano ha inviato circa 2.400 soldati, a rinforzo di quella che è diventata Unifil 2 (United Nations Interim Force in Lebanon-phase2), missione armata, con più ampi poteri rispetto alla precedente, da considerarsi come un completo fallimento.
La fase 2 è nata tra le polemiche, a causa dei fallimenti delle missioni a guida Onu precedenti (es. Somalia), dell’ambiguità della risoluzione e per le paure di dover disarmare Hezbollah. I malumori e le tensioni sia sul versante interno italiano sia a livello internazionale erano esplosi prima della partenza del primo soldato.
Unifil 2 è una missione di peacekeeping di seconda generazione, i soldati sono armati ma non hanno compiti di enforcing, in pratica, non devono attuare nessuna attività di repressione (come ad esempio in Kosovo) e sono nel sud del Libano con il consenso di tutte le parti. Israele compreso.
La zona di operazioni è compresa tra il fiume Litani ed il confine con Israele e Siria, divisa in parte est a guida francese ed ovest a guida italiana. Il quartier generale sede del comandante in capo a rotazione italo-francese è a Naqoura, il massimo responsabile sul campo è il Generale italiano Claudio Graziani.
I compiti della missione Unifil
L’operazione Unifil è stata intrapresa dal Consiglio di Sicurezza dell’Onu nel 1978, attraverso le risoluzioni 425 e 426, per intimare il ritiro israeliano dal territorio libanese e permettere al governo libanese di ristabilire la propria autorità nella zona occupata.
Sebbene le risoluzioni prevedessero un ingaggio dei caschi blu limitato nel tempo, l’operazione Unifil è andata avanti per 28 anni, attraverso continue proroghe e nell’indifferenza della Comunità Internazionale. Durante la missione Unifil (fase 1) sono morti 249 militari, 2 osservatori militari, 3 operatori civili internazionali e 4 operatori locali. Come hanno dimostrato, l’invasione israeliana del 1982, i continui attacchi in Israele da parte di Hezbollah e la guerra dell’estate del 2006, la prima fase della missione è stata un completo fallimento.
In accordo con la risoluzione 1.701 dell'11 agosto 2006 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, la missione denominata Unifil è stata ristrutturata in una seconda fase, con lo scopo di:
- supportare le Forze Armate libanesi nell'attuazione di quanto previsto con la risoluzione 1.701;
- facilitare il dispiegamento delle Forze Armate regolari libanesi nel sud del Libano fino alla blue line, mentre Israele ritira le sue forze dal Libano, coordinandosi con i governi di Israele e del Libano;
- monitorare la fine delle ostilità fra Israele e Hezbollah;
- contribuire alla creazione di condizioni idonee alla realizzazione di una situazione di pace e sicurezza;
- assistere le Forze Armate libanesi nella loro dislocazione nella zona meridionale del Paese fino al confine con Israele, consentendo il completo ritiro delle forze israeliane dai territori nel sud del Libano;
- assicurare la libertà di movimento/azione al personale delle Nazioni Unite e dei convogli umanitari;
- stabilire le condizioni necessarie per un accordo permanente di cessate il fuoco e per favorirne la sua implementazione;
- assistere, su richiesta, il governo libanese nel controllo delle linee di confine per prevenire l'immissione illegale di armi.
Sono attualmente presenti 12.167 militari, che includono 165 ufficiali di comando, 10.230 militari di truppa 1.772 marinai, assistiti da 53 osservatori militari della missione Untso (United Nations Truce Supervision Organization), supportati da 108 civili internazionali e 304 locali.
Oltre alle truppe italiane, partecipano alla missione Unifil soldati provenienti da Belgio, Cina, Cipro, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Ghana, Grecia, Guatemala, Ungheria, India, Indonesia, Irlanda, Repubblica di Corea, Lussemburgo, Malesia, Nepal, Olanda, Norvegia, Polonia, Portogallo, Qatar, Slovenia, Spagna, Svezia e Turchia. Italia e Francia hanno inviato i contingenti più numerosi e si alternano alla guida della missione.
Lo sforzo italiano
“Operazione Leonte” è il nome dell’impegno italiano per la missione Unifil. Il settore ovest, di competenza italiana, (il settore est è di competenza francese mentre il pattugliamento marino è affidato ai tedeschi) di cui il generale Paolo Gerometta è comandante, si trova a sud del fiume Litani ed ha una grandezza di 30 Km per 35.
Il settore è per 2/4 controllato dal contingente italiano mentre il restante, è controllato da Francia e da Ghana, contingenti attualmente alle dipendenze dal generale Gerometta.
Le principali basi Italiane sono a: Tibnine dove, nella base “Ficuciello”, ha sede il quartier generale del contingente italiano e del settore ovest di Unifil nonché il Reparto Comando e Supporti Tattici della Brigata di Cavalleria “Pozzuolo del Friuli”.
La base di Ma’raka dove ha sede il comando del primo battaglione di manovra italiano su base Reggimento Lagunari “Serenissima” (Italbatt 1) e dove ha sede anche un’aliquota del 3° Reggimento Genio Guastatori di Udine.
La base di Chamaa dove ha sede il comando del 2° Battaglione di manovra italiano (Italbatt 2) su base Reggimento “Lancieri di Novara” (5°) con piccole aliquote di bersaglieri e parà del IX Col. Moschin e dove ha sede il comando del 3° Reggimento Genio Guastatori ed il Gruppo Supporto e Aderenza costituito dal 10° Reggimento di Manovra.
Sempre a Chamaa hanno sede aliquote del 6° Reggimento Genio, 8° Reggimento Bersaglieri, Reggimento “Genova Cavalleria” (4°) e Reggimento Artiglieria a Cavallo “Voloire”.
Alla missione partecipa anche una compagnia Carabinieri di oltre 40 uomini con mansioni di polizia militare, nonché ufficiali e sottufficiali, inseriti nelle varie branche della marina militare e della aeronautica militare.
La missione
Dopo aver conosciuto missioni come Kfor, Antica Babilonia (Iraq Freedom) o Isaf, la missione Unifil fa una certa impressione. E’ la prima missione del III millennio che non possiede caratteristiche di enforcing.
Le regole d’ingaggio sono segrete e questo, ingenera il sospetto che siano piuttosto blande, ma tutti assicurano che sono adeguate alle esigenze e non sono affatto contenute. Ad inizio ottobre 2006, il ministro della Difesa Arturo Parisi, di fronte alla Commissioni riunite Esteri e Difesa del Senato, aveva reso l’idea delle regole d’ingaggio. Esse prevedono che sia consentito l’uso della forza, contro chiunque tenti di impedire ad Unifil di espletare i propri compiti o tenti di limitarne la libertà di spostamento. È consentito l’intervento attivo anche nel caso, sia messo in pericolo l’incolumità della popolazione civile. Pertanto, l’Unifil potrà agire con i mezzi a disposizione, per impedire che qualsiasi attività ostile, venga effettuata nell’area di competenza. “La dinamica di un eventuale incontro nella propria area e competenza di unità Unifil con personale armato non facente parte delle forze regolari libanesi passerà quindi - ha spiegato Parisi - attraverso le fasi di identificazione, di intimidazione a deporre le armi e a sottoporsi agli accertamenti necessari e di sequestro di tutti gli armamenti”. Le scelte tattiche ed il modus operandi dettagliato saranno responsabilità dei comandanti militari sul campo.
Dal vivo
La prima pattuglia con cui ho l’onore di uscire, automontata su un mezzo blindato tipo “Puma”, è armata di fucili d’assalto e mitragliatore 7.62 sulla torretta dei mezzi, con i caricatori riforniti al seguito ma non inseriti nelle armi. In pratica, prima di sparare bisognerebbe prendere i caricatori nella giberna o nel vano delle munizioni, inserirli, armare e poi fare fuoco. Tre secondi circa, che sotto il fuoco nemico sarebbero un’eternità, soprattutto se non si è aiutati dalla mitragliatrice in torretta, la quale, richiede molto più tempo e allo scoperto, per essere caricata. Senza contare il tempo per indossare il giubbotto antiproiettile e l’elmetto.
Il compito delle pattuglie è di controllare il territorio fino al confine israeliano e di informare per ogni cosa che possa destare sospetti. Nel caso di un ritrovamento di un bunker ad esempio, la pattuglia Unifil informa la Sala Operativa che ha un ufficiale di collegamento libanese, il quale, fa intervenire l’Esercito libanese direttamente sul posto. Ad un ipotetico sequestro di armi procederebbe l’esercito regolare libanese. Sembra poco ma in effetti, come dichiarato dal ten. col. Marco Cenni, comandante di Italbatt 2 – “non dobbiamo sostituire Esercito o Polizia, dobbiamo semplicemente aiutarli”.
Un’altra novità di Unifil è lo “static point”. La pattuglia si ferma per alcuni minuti, in un punto di sua scelta ma non procede a nessun controllo, dei veicoli o delle persone, semplicemente osserva. Spesso non c’è nulla da osservare, lo static point è in realtà un punto di raccolta d’informazioni. I militari si fermano e si lasciano avvicinare dalla popolazione, ricevendone le richieste o le indicazioni, come ad esempio, il luogo di un Uxo, o di un bunker abbandonato. Per chi non lo sapesse questa cosa si chiama confidence building ed è uno dei momenti fondamentali delle operazioni di peacekeeping. Eccellente il ruolo dei militari italiani anche nelle attività CiMiC: sono stati messi a disposizione della popolazione ambulatori mobili, formati da unità sanitarie militari composte da medici e aiutanti di sanità dell’Esercito italiano per visite e consulti medici, nonché per la distribuzione all’occorrenza di medicinali per le prime cure; distribuite tonnellate di aiuti umanitari; realizzate strade; panificatori professionisti della “Pozzuolo del Friuli”, si trovano ogni mercoledì presso un istituto della zona per insegnare agli studenti le tecniche di panificazione.
Considerazioni su Unifil
Appare chiaro che, se per assurdo, una delle parti in conflitto, cioè Israele o Hezbollah, decidessero di attaccare le truppe Unifil, farebbero dei notevoli danni.
Non sarebbero i “Centauro” o i “Dardo” a spaventare gli “Apache” israeliani, o i volenterosi ghanesi a dissuadere gli uomini di Nasrallah. Il punto è che, attaccare Unifil, sarebbe come uccidere la gallina dalle uova d’oro. Nessuno ne ha interesse. Ci potrebbe provare al-Qaeda ma come confermato da tutti, appena un membro dovesse mettere piede in Libano sarebbe “carne morta” e non tanto per la bravura delle forze di sicurezza governative ma per l’efficacia dell’Intelligence di Hezbollah.
Le nostre truppe rappresentano un muro, grazie a questo, i due contendenti riescono a prosperare senza avere guai dall’altro.
Israele dorme sonni tranquilli, la blue line è sigillata dalle truppe Unifil e forse, è anche troppo chiusa. La missione Unifil è una missione interamente dispiegata in Libano, senza nessun contatto con i militari israeliani. Sarebbe auspicabile aprire anche ai militari con la stella di David, le attività di confidence building che le truppe Onu hanno messo in campo con l’Esercito libanese. Compito difficilissimo, ma di un’estrema utilità, per non far percepire agli israeliani di essere distanti da loro. Essere imparziali vuol dire familiarizzare o non farlo, ma con tutti gli attori in gioco.
Il compito di disarmare Hezbollah, è stato affidato alla volontà politica e all’Esercito libanese che non ne ha la benché minima intenzione. Infatti, nonostante la risoluzione Onu 1.559 richiami al disarmo di tutte le milizie libanesi, il Partito di Dio, come sostengono tutti i libanesi con cui ho parlato, non è una milizia, ma una legittima forma di resistenza, perciò, deve essere armato. Nasrallah dorme sonni tranquilli, senza fastidi da nessuno, Unifil, Israele o il governo libanese.
Sulla missione italiana piovono le critiche di tutti. Dai pacifisti che vorrebbero il ritorno di tutti i militari in Italia e dai sostenitori della pace che passa attraverso il disarmo di Hezbollah, i quali invece, vorrebbero un ruolo delle Forze Armate più attivo, di peace-enforcing.
I primi hanno i loro interessi, perché i 240 milioni di euro l’anno, spesi per l’Esercito, compresi quei “succosi” 180 euro al giorno (in Iraq erano solo 150) di indennità per i singoli soldati, andrebbero nelle tasche di Ong, volontari e cooperanti che, a mio giudizio (e per quello che ho visto con i miei occhi) non sono così produttivi come invece sono i militari (o i Cavalieri di Malta ma lo scopriremo nel prossimo numero).
I sostenitori delle coalition of willings, che ancora devono dimostrare di funzionare meglio dei disastri Onu (anche se peggio sarebbe difficile), del disarmo “forzato” di Hezbollah, di impegno poliziesco per le Forze Armate, probabilmente non conoscono i sentimenti dei libanesi.
Hezbollah è il Libano ed il Libano è Hezbollah, in tutte le famiglie ed in tutti i ceti sociali. Chi non li vota e magari li combatte, comunque li rispetta.
La risoluzione 1.701 è una soluzione di compromesso, come quelle risoluzioni Onu nel periodo della guerra fredda. Serve a dividere i due contendenti, non deve far altro. E’ inutile ed anche molto ipocrita, accusare le nostre Forze Armate di non fare bene il proprio lavoro, perché, i nostri ragazzi, stanno facendo bene, esattamente quello per cui sono stati mandati. Se qualcosa non funziona non è a livello militare ma politico ed internazionale.
La missione Unifil ha permesso la fine delle ostilità, il rientro dei libanesi del sud nelle proprie case, la bonifica degli ordigni inesplosi ed il riposizionamento del grosso dell’Esercito regolare libanese a sud del fiume Litani come non succedeva da 20 anni.
La missione costa cara ed in tempo di ristrettezze da Finanziaria, può dare fastidio, ma almeno non sono soldi buttati al vento. O forse lo sono, dipende dal peso che diamo ad un’altra guerra in Libano. Anche per quanto ci riguarda direttamente.
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